Il problema del Mezzogiorno negli ultimi sessant'anni di Paolo Serini

Il problema del Mezzogiorno negli ultimi sessant'anni GLi «SCRITTI,, 01 «,IBT.!\« Siti 1'BMf Xi Il problema del Mezzogiorno negli ultimi sessant'anni Duplice è l'interesse che presenta il grosso volume nel quale Gaetano Salvemini ha raccolto i propri Scritti sulla questione meridionale (Torino, Einaudi). Quello, anzitutto, di permetterci di seguire, passo passo, nel suo svolgimento, tutt'altro che semplice e unilineare, il pensiero dello studioso pugliese intorno al problema, o complesso di problemi, che fu sempre al centro dei suoi interessi politici e sociali. E poi, quello di riproporci, nei loro precisi termini e per così dire allo stato nativo, molti dei temi e delle idee di cui si alimenta anche oggi la problematica meridionalistica. ,* Il volume si apre con uno scritto, ancora vibrante della recente « scoperta » di Marx e di Labriola, sulla situazione di un comune del Sud — il comune nativo dell'autore, Molfetta — nel lontano 1896; e si chiude con un'analisi delle condizioni dello stesso comune nel 1954. Separati nel tempo da un intervallo di cinquantotto anni, i due scritti appaiono tuttavia collegati dalla continuità di un impegno intellettuale e morale che non ha' mai conosciuto soste e cui l'irrequieto problemismo e il senso e l'amore del concreto hanno conferito in ogni tempo incisiva efficacia e sorprendente vitalità. Formatosi nello scorcio dell'Ottocento, e per certi aspetti sotto l'influsso del positivismo, Salvemini non s'è mai lasciato attrarre e fuorviare dalla tendenza, comune in quegli anni, ad attribuire i mali del Mezzogiorno all'invincibile povertà naturale del paese o ad una presunta inferiorità raz siale degli abitanti. Ha visto sùbito che essi eran dovuti prevalentemente a fattori storici, antichi e recenti; e che, quindi, non erano né fatali né irrimediabili. E ha additato sùbito il maggiore ostacolo al loro risanamento, — oltre e più che nell'accentramento statale e nella egemonia politica ed economica del Nord, determinatasi dopo il 1860, — nella struttura semifeudale della società meridionale : con la sua grande proprietà terriera, inerte e chiusamente conservatrice; la sua piccola borghesia priva d'idee e di intendimenti moderni, sempre in lotta contro il bisogno e sempre alla caccia d'impieghi e di favori; e il suo « enorme proletariato, servo, se non nella forma, nella sostanza ». Ha inteso cioè che la questione meridionale andava posta essenzialmente in termini politici e sociali: di difesa e di emancipazione delle classi contadine; di radicale trasformazione, in senso democratico e moderno, dei ceti dirigenti; e di attiva inserzione del problema del Sud in quel più vasto problema del rinnovamento democratico di tutta la vita nazionale della cui soluzione il decentramento federalistico ed i' suffragio universale gli apparivano come le indispensabili premesse politiche. Di qui il suo socialismo. Un socialismo tutto permeato di spirito liberale e di istanze democratiche (destinato anzi, col maturar degli anni, a chiarirsi sempre più, secondo l'espressione di Gobetti, come « difesa liberale dei contadini ») ; preoccupato di realizzazioni positive più che obiettivi finalistici, ma non perciò disposto a sacrificare le riforme politiche ri vantaggi economici o sindacali. E inteso, soprattutto, a promuovere e sviluppare nel Partito socialista, il quale aveva le sue roccheforti nel Nord, la coscienza dei problemi e dei bisogni specifici delle plebi rurali del Sud e (punto essenziale, che Salvemini ha il merito di aver fatto valere per primo) della necessità di una alleanza delle forze operaie e delle forze contadine, del proletariato del Nord e di quello del Sud, in una comune azione unitaria, espressione di tutta la classe lavoratrice. E di qui la sua tenace, appassionata battaglia per il suffragio universale. Senza il quale non sarebbe stato possibile spezzare il cìrcolo chiuso in cui si aggirava la vita politica del Mezzogiorno, dominata da ristrette consorterie attraverso il monopolio delle amministrazioni locali e della rappresentanza politica, il compiacente appoggio dei rappresentanti del governo centrale e i favori di varia natura elargiti da quest'ultimo in cambio della loro docile fedeltà parlamentare. In quegli anni, Salvemini riteneva anzi che quando, per mezzo del suffragio universale, le forze contadine e popolari del Sud avessero cominciato ad impadronirsi della amministrazione degli enti locali ed avessero finalmente ottenuto nel Parlamento una rappresentanza autonoma, esse non avrebbero tardato a nortar si al livello del più maturo e progredito proletariato del Nord. E avrebbero, in pan ttmpo, contribuito in modo decisivo a promuovere e garantire lo sviluppo della democrazia italiana, sino allora rallentato e impedito dalla « palla al piede » Iella situazione meridionale. Egli stesso sottolinea oggi quanto c'era di illusorio e di eccessivo in questa sua speranza, come in "ltre delle sue posizioni politiche e ideali del primo Novecento. Tuttavia, se oggi Salvemini riconosce, per esempio, l'inattuabilità e i -pericoli del « federalismo assoluto » da lui propugnato sulle orme del Cattaneo, e la persistente necessità, per « sorvegliare e consigliare le amministrazioni locali minorenni », di funzionari delegati del governo centrale, non perciò ha abdicato alla propria fiducia nella virtù educatrice delle autonomie locali. Se non attribuisce più al suffragio universale l'efficacia taumaturgica di un tempo, continua tuttavia a ravvisare in esso « la sola arma politica da cui il contadiname possa ricavare vantaggi, via via che imparerà a farne uso » (e la sola che abbia prodotto sinora, nel Mezzogiorno, taluni benefici effetti politici). E se, infine, non crede più, come mezzo secolo fa, che il Mezzogiorno possa rinnovarsi senza l'aiuto del Nord, e anzi, nel valutarne le possibilità, inclina a volte verso un certo pessimismo, riconosce nondimeno i fermenti di vita nuova che agitano il mondo meridionale, e specialmente i giovani. E sottolinea il progressivo emergere, dalla massa indifferenziata, « di caporali e sergenti e anche di ufficiali », dotati, oltre che di generoso impegno morale, di « senso della realtà », e capaci in un non lontano domani di assumerne la guida. Scarsa considerazione egli continua a fare invece dell'azione dello Stato: cui rimane anzi sostanzialmente ostile. Sta qui indubbiamen¬ te (oltre che nell'insufficiente considerazione delle nuove possibilità offerte da "ma politica economica d'intervento e dai progressi della tecnica) uno dei limiti 1el suo riformismo, ancora legato a situazioni che non sono più interamente quelle odierne. Ma si tratta di un limite riscattato da quel senso, tutto liberale, Jel progresso come progresso dall'interno, frutto di sforzi e di energie autonome, che gli fu sempre peculiare. E che, oggi occorre ravvivare se si voglia, per esempio, che le iniziative della riforma fondiaria e della Cassa del Mezzogiorno attecchiscano veramente e diano tutti i loro frutti. O, più in generale, che l'inerte attesa dell'azione statale non distolga i singoli dal fare — come ammonisce il vecchio Maestro — « ognuno il fuoco che può, con quella legna di cui dispone ». „ Paolo Serini

Persone citate: Cattaneo, Einaudi, Gaetano Salvemini, Gobetti, Labriola, Marx, Salvemini

Luoghi citati: Molfetta, Torino