« Simon Boccanegra» di Verdi

« Simon Boccanegra» di Verdi —éà LE RAPPRESENTAZIONI ALLA SCALA ' « Simon Boccanegra» di Verdi Una regìa ligia, con freschezza e senza arbitrarie velleità, alle prescrizioni dell'autore; un'interpretazione corretta, opportuna e fervida (Dal nostro inviato speciale) Milano, 30 dicembre. Chi. è la Maria, chi è l'Amelia, i cui nomi tante volte ricorrono, attorno alle quali i lunghi fili dell'intreccio si avvolgono e arruffano, si che neppure un esperto di pasticciati libretti del Sei, del Sette o dell'Ottocento, o novecentisti, come nella Penelope del Liebermann, riesce a dipanarli? Bisogna arrivare alla fine dell'ultimo atto, precisamente alla pagina 229 dello spartito, per apprendere da un recitativo del morente Doge Simone chi siano le prefate signore. Egli dice ad Amelia: — In Fiesco il padre vedi dell'ignota Maria che ti die vita —. Notizia, questa, che non scioglie qualche altro groppo. La maggior parte degli spettatori, che non suole leggere e rileggere non dico il testo, un perpetuo rompicapo facilmente obbliato, ma almeno un confortevole sunto, resta confusa, soddisfatta e insoddisfatta. La cernita delle impressioni raccolte durante l'udizione è infatti difficile e penosa. Il frequente trapasso da espressioni fra le più intense ed evidenti dell'arte melodrammaturgica di Verdi a quelle opache e generiche in rapporto al dramma boccanegriano, e tuttavia attraenti con la focosità melodica e la tensione ritmica proprie di lui, quel trapasso, dicevo, cagiona stizza, insofferenza. Certamente colpevole è Verdi, più del Piave, che umilmente stese e completò l'ideasi.one scenica di lui, più del Boito, che con lui s'illuse di raddrizzare le < gambe storte > dell'organismo deficiente. E la sua colpa, essendo l'operista di tutto responsabile, è più grave, e strana, nel rifacimento, che avvenne al tempo dell'Otello, quand'egli, lontanissimo dall'inesperienza giovanile e dalla trascuratezza del buon guato, ascendeva alla perfezio¬ ne suprema. Per contro è merito interamente suo l'aver introdotto ed accentuato in quel viluppo di congiure ed esìli, assassinii ed avvelenamenti, morti misteriose e rapimenti e clausure, amori avversati e inattese conciliazioni, (viluppo che necessariamente gli impediva il lirico svolgimento delle passioni nei cuori dei personaggi e I'induceva a comodi e impressionanti colpi di scena), l'aver introdotto e accentuato quel sentimento dell'amor di patria e dell'umana socialità, che, fortemente senti, poetizzò, cantò, con un impeto di cui l'enfasi è realmente un pregio. Questo rude, cordiale, Simone Boccanegra, la cui musicale energia s'irraggia nel corale ambiente che più gli è caro, la grandezza di Genova unita nella concordia della plebe con l'aristocrazia, è tutto e soprattutto verdiano, magnifico, superbo. Sempre se ne ammira la drammatica consistenza e coscienza, dalla severità contro 1 malvagi al tenero rimpianto.del mare immenso, calmo o sconvolto, indimenticabile vita della sua corsaresca giovinezza. Contro la disuguaglianza artistica di questo o quello episodio o personaggio nulla può lo studioso intervento di un concertatore zelante o l'astuzia d'un regista; e deplorevole sarebbe l'artificioso tentativo, con modifiche, esasperazioni di valori, dissimulazioni di debolezze, svaganti apparenze illusorie, di far parere bello ciò che non è. L'opera difettosa va rispettata in ogni sua parte, affinchè gl'ignari ne abbiano sincera contezza culturale. D'altro canto è certo che la gagliarda impronta nello stile personale d'un grande artista tiene desta l'attenzione pure nelle pagine manchevoli. L'odierna corruttrice smania delle arbitrarie « interpretazioni > non ha offeso questa rappresentazione alla Scala. Più volte s'è detto della com¬ petente correttezza e dell'inclinazione al melodramma, fervide nel.'attività del maestro Molinari Pradelli. Tali osservazioni sono da ripetere qui, per la concertazione dei cantanti e dell'orchestra, e per l'opportuno, misurato risalto dell'espansione, della foga, o delle affettuosità e perfino di certe troppo facili leggiadrie, alterne nelle partiture precedenti il Falstaff. Le invettive, le invocazioni, le nostalgie, belle e possenti, del protagonista hanno vibrato negli accenti del baritono Aldo Protti, cui facevano buona compagnia Cesare Siepi (Fiesco), Anna Maria Rovere (Amelia), Aldo Bertocci (Adorno), Walter Monachesi (Paolo). E tutti i cooperatori hanno ottenuto applausi e parecchie chiamate alla fine del Prologo e dei tre atti. Anche la regìa di Mario Frigerio, con l'allestimento di Nicola Benois, è stata ligia alle prescrizioni di Verdi nella nota lettera al Piave, 1856, e alla data dell'opera rifatta. Scene fresche; ma realistiche, quali l'operista voleva nei particolari: della vista del Palazzo Fieschi, col sospeso « lanternino », che Simone « stacca per entrare in casa*; della «piccola gradinata praticabile avanti la chiesa di S. Lorenzo > ; della « tela di fondo della luna, i cui raggi battessero sul mare >, eccetera. La collocazione nella vastissima sala del Palazzo degli Abati, del dodici Consiglieri nobili e degli altrettanti popolani, vestiti di rosso e di nero, rigorosamente opposti ed allineati, era solenne e vistosa, quanto impetuosa, disordinata e minacciosa riusciva l'irruzione del Popolo, allorché Simone scaglia sdegnato l'esclamazione: — Ecco le plebi! Per lo più, cupezza, ombra; illuminazione velata. «L'opera — scrisse Verdi nell'81 — è triste perchè dev'esser triste, ma interessa >. Tale è. A. Della Corte

Luoghi citati: Amelia, Fiesco, Genova, Milano