Iniziativa necessaria
Iniziativa necessaria Iniziativa necessaria Il ministro degli Esteri canadese, Pearson, ha detto testé in una intervista giornalistici. : « Noi dovremmo smetterla di interrogarci con tanta insistenza circa le risposte da dare alle iniziative sovietiche, e in compenso preoccuparci molto di più di prendere per conto nostro iniziative tali da costringere i sovietici a rispondere. Se noi agissimo di più, non ci troveremmo nella posizione di dover perpetuamente agire ». Sono parole che vanno meditate e « realizzate » da chi ne ha il potere e il do vere. Nessuno, \n questo momento, avevi, diritto e autorità per pronunciarle più di Pearson, alla cui iniziativa, secondata dal fondamentale buon senso di Eisenhower, e ripresa (quando tutto sembrava perduto) dal rappresentante sovietico alle N. U., si deve uno dei fatti più gran* diosi — più distensivi — di questi, ultimi tempi: l'entrata contemporanea alle N. U. di sedici Nazioni, conformemente al principio di universalità dell'istituto, senza distinzione di credi e di regimi. Pearson ha formulato il suo monito in risposta al quesito sul come all'Occidente convenisse rispondere agli sforzi spiegati dall'U.R.S.S. per guadagnarsi, nell'Oriente prossimo e nel Sud-Est asiatico, i governi fuori blocco. Per quanto riguarda la prima di quelle due regioai asiatiche, non si tratta solo di mancanza di iniziativa, ma anche di iniziativa sbagliata. Su queste colonne sono stati indicati ripetutamente, anche qualche giorno fa, gli errori della politica rappresentata dal Patto di Bagdad. Ma si tratta di approfondire, e al tempo stesso ampliare, la critica, riconducendola a una considerazione più generale, che serve anche per l'altro settore, il Sud asiatico, e in genere per tutto il mondo internazionale. La considerazione è che nulla sarebbe più sbagliato, più pernicioso, di una politica ispirata, anche solo apparentemente, dal principio : chi non è con me, è contro di me. La pretesa di dividere tutti i popoli della terra in due schiere, buoni da una parte, cattivi dall'altra (oves et haedi, come nella rappresentazione evangelica del Giudizio Universale) significherebbe ,la realizzazione contemporanea di un cumulo d'errori. Si perderebbero tempo e sforzi per un obbiettivo irraggiungibile; si creerebbero dissapori con quei popoli che non rispondessero agli appelli e non amassero le pressioni; mentre le combinazioni parziali eventualmente riuscite produrrebbero conseguenze dannose per altre situazioni, e riflessi ostili presso altri popoli, o altri strati del popolo medesimo. I tumulti odierni della Giordania, le reazioni convulse dell'Egitto e della Siria sono visibili a tutti, a proposito del Patto di Bagdad. Non è soltanto l'accordo d'insieme, cercato dall'Inghilterra, fra e con i popoli arabi che sfuma nell'aria; è all'interno medesimo di codesti Paesi che si fa più difficile, più problematica, l'organizzazione efficiente e civile di cui codesti nuovi Stati hanno urgente bisogno. E non è tutto; anzi, non è ancora il più. Per l'obbiettivo di arrolare, in vista di una eventualità fortunatamente ipotetica e lontana, una serie di piccoli alleati — più bisognosi di ricevere aiuto, al momento buono (o cattivo), che capaci di darlo, — si approfondisce e si perpetua la scissione fra essi e un altro Stato, che per suo conto ha già largamente realizzato condizioni di solidità e di civiltà. Non basta ancora: l'avere esteso l'alleanza protocollare al Pakistan rischia di compromettere ulteriormente le relazioni dei Grandi occidentali con l'India, Stato di tanto maggiore del Pakistan. Diciamo « ulteriormente», in quanto le forniture d'armi americane al Pakistan avevano già destato in India un forte malumore. Se non ricordiamo male, a quel tempo in Inghilterra il procedimento americano era stato avvertito come un errore; adesso, Londra ha raddoppiato e triplicato l'errore per conto proprio. In Occidente si è assistito alla campagna propagandistica dei due viandanti sovietici in India (e Birmania, Afghanistan) con un misto di stupore, di indignazione, di timore. Naturalmente, ci si £ domandato se questa non fosse una ripresa formale della guerra fredda: domanda formulata dai più con preoccupazione, da taluni con speranza malamente dissimulata. Ma la cosa essenziale non è di catalogare le incriminate manifestazioni sovietiche sotto una rubrica piuttosto che sotto un'altra; bensì di vedere e valutare quel che c'è dietro, e quali possano essere, della novità, gli sviluppi ulteriori. Si è trattato, insomma, di una occasione colta da Mosca per trarre vantaggio dall'errore occidentale: errore principalmente di omissione — secondo la vigorosa denunzia di Pearson, — ma con mescolanza (come si è detto) di azione inopportuna. Mosca ha ' visto come fosse facile presentarsi al popolo indiano quale amica generosa e forte, disposta a provvedere ai più veri e maggiori bisogni dell'India, e in pari tempo a sostenerla almeno moralmente nella rivendicazione di ciò che essa crede suo diritto nazionale. L'infelice comunicato americano-portoghese su>'Goa, dopo l'inclusione del Pakistan nel sistema inglese del Medio Oriente, ha secondato il gioco sovietico. Giustissimamente è stato detto dai giornali inglesi che gli aiuti forniti dall'Inghilterra e dal Commonwealth all'India e Birmania sono ben più ingenti di quelli sovietici, per ora quasi unicamente promessi. Ma in certi argomenti non basta aver ragione: occorre, quella ragione, ficcarla nella testa altrui. E, più ancora, non ci si può riposare sulle benemerenze passate; ma offrire concretamente un piano <Ji provvidenze future. . Il punto quattro di Truman (ben più efficace, se realizzato, di qualsiasi propaganda ideologica, e altresì degli accordi sul tipo di Bagdad) è rimasto finora lettera morta; o almeno, il mondo nulla ha saputo di una sua attuazione. Adesso, Dulles si prepara a sostenere al Congresso americano un piano di aiuti economici ai Paesi bisognosi di assistenza; ma il China's Lobby a sua volta si prepara a combatterlo: quel che occorre, per esso, è mantenere i sussidi alla fantomatica Cina del KuoMin-Tang: non tanto fantomatica, tuttavia, da non essere capace di buoni servizi, come quelli ultimamente resi alle Nazioni Unite. Le Potenze occidentali dovrebbero decidersi a lasciare che i morti seppelliscano i loro morti — siano questi il colonialismo, o la Lega araba, o Chiang KaiShek; — e a concentrare i loro sforzi negli aiuti ai vivi, dentro e fuori dell'alleanza atlantica. Ciò facendo, dovrebbero sempre guardarsi bene di aver l'aria di dettar legge per la politica estera o interna ai popoli soccorsi, secondo le vedute di coloro che preferiscono Franco a Mendès-France. All'associazione atlantica non occorrono annoiamenti forzati di nuovi adepti; ma sostanziali consensi di popoli e di governi sinceramente amanti della pace, del progresso sociale, della libertà politica e spirituale. •
Persone citate: Chiang Kaishek, Dulles, Eisenhower, Pearson
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