Il pellegrino polacco

Il pellegrino polacco NEL CENTENARIO DI MICKIEWICZ Il pellegrino polacco Cent'anni fa, sul finire del 1855, moriva di colera a Costantinopoli il poeta polacco Adam Mickiewicz. La guerra di Crimea aveva riacceso la sua febbre d'azione; come già la crisi del '48 lo aveva spinto a Roma, per fondarvi la « Legione polacca » che combatté in Italia e fu disciolta al cadere della Repubblica romana. Si chiudeva così, in malinconica amarezza, l'agitata esistenza di questo esule, che da più di trent'anni aveva abbandonato la patria, ed era diventato il profeta doloroso e sublime della nazione-martire, della nazione-messia: la Polonia. Non è facile, oggi, rendersi conto di quel che significò questo nome per le generazioni del nostro Risorgimento. Mazzini, dopo averlo salutato come « la natura poetica più ricca deljse* colo», scrisse di lui nel 1838: «Per noi è più che un poeta, egli è un grande profeta come i grandi poeti d'Israele ». Uno spirito chiaro e positivo come Cattaneo lo portava alle stelle; e Cavour, perfino un Cavour, pronunciava nel 1848 queste parole sorprendenti: «Allorché la Provvidenza inspira uno di questi geni quali Omero, Dante, Shakespeare e Mickiewicz, allora le nazioni ove essi nacquero sono chiamate ad alti destini ». Iperboli, d'accordo; ma.che avevano pur la loro ragione, e profonda. Perchè Mickiewicz era legato al grande moto romantico delle nazioni, un moto percorso da fremiti e sogni messiar nici, da immensi ardori mistici. E in. questa temperie' confusa e incandescente, l'alata parola del pellegrino polacco si illuminava di sensi arcani, di virtù animatrice. Vaticinio e poesia facevano tutt'uno, e rischiaravano le coscienze. Era fatale che, con l'allontanarsi dall'età romantica e dalle grandi lotte nazionali, quel vivo entusiasmo per Mickiewicz si affievolisse, convertendosi in rispettoso omaggio, in ammirazione convenzionale. L'uomo, con le sue singolari dissonanze e i suoi acerbi contrasti, si componeva nella rigidità marmorea del monumento. E la sua opera, anche in Polonia, era letta sempre meno. L'attuale ricorrenza centenaria ha sollecitato un fervore di ripensamenti e riletture, di traduzioni e commemorazioni. E la figura affascinante del pèlerin des nations ci appare nei suoi esatti contorni. Nato nel 1798 nei pressi di Nowogrodek, una cittadina liB] tuana ai confini della Polonia, aveva studiato all'università di Wilno. Qui, con alcuni giovani compagni, aveva fondato la società dei Filomati. Il nome ci indica da quale humus culturale egli avesse preso le mosse: il razionalismo e le dottrine scientifiche della Francia del Settecento. Una Société des Philomates aveva prosperato a Parigi sulla fine del secolo, sopravvivendo alle tempeste della rivoluzione e spargendo qualche seme anche in Lituania. E' un fatto degno di nota, in molti patrioti russi e polacchi del primo Ottocento, questo solido fondo settecentesco, questa originaria devozione all'illuminismo. Poi, anche a Wilno e per Mickiewicz, nel giro di pochi anni si era avuta la grande iniziazione al romanticismo letterario e politico. Società segrete, ispirazioni che risalivano probabilmente al Tugendbund, alla Burkkenschaft delle università tedesche, alla Carboneria occidentale; ingenue cospirazioni, arresti, prigione, e, nel 1824, l'esilio a Pietroburgo. Appartiene a questi primi anni di fervore patriottico la celebre Ode alla giovinezza, che circolerà manoscritta e risuonerà nel 1830 per le strade di Varsavia insorta: «Suvvia, spalla contro spalla. Formiamo una catena intorno al globo... Esci dai tuoi cardini, vecchio universo ». Dopo cinque anni di esilio in Russia (ove fece in tempo ad avvicinare alcuni decabristi, prima che fossero ayviati al patibolo o in Siberia, e divenne amico di Puskin), nel 1819 an dava a Roma. Qui lo raggiunse, l'anno dopo, la notizia della tragica insurrezione della Polonia.' Questo fu l'evento culminante della sua vita. Dal rimorso di non avervi partecipato combattendo, dall'angoscioso spettacolo del rifluire di migliaia di esuli verso la Francia (ove anch'egli si stabili), dal disperato entusiasmo e dalla fede profetica del poeta nacquero, nel volgere di pochissimi anni, le sue opere più belle: la terza parte degli Avi, il Libro della Nazione e dei Pellegrini polacchi, il Pan Tadeusz. Si è molto discusso, a proposito del Libro della Nazione e dei Pellegrini, sulle reciproche influenze tra Lamennais e Mickiewicz. Sembra certo che se, da un lato, il poeta polacco attinse ispirazione alle opere religiose del Francese, e agli articoli dett'Ayenir, dall'altro lato le Paroles d'un croyant risentirono, e non poco, nei pensieri e nello stile, delle pagine dell'esule. L'eco sollevata dal piccolo libro di Mickiewicz fu im¬ mgmsrgsqzunncpsdddrvcitpdNcnsc«dmpc mensa, e non solo tra gl' emigrati polacchi. Scriveva Tommaseo a Gino Capponi: «Ier sera lo rilessi, e l'ultima preghiera con le litanie mi fecero piangere. Le gridai ad alta voce verso la mezzanotte ». Del Pan Tadeusz è uscita in questi giorni l'esemplare traduzione di Clotilde Garosci, con una bella introduzione di Cristina Agosti Garosci (Torino, Einaudi, 1955). Fu, dopo la tragica tempesta di quegli anni, dopo la caduta di Varsavia, il nostalgico rifugiarsi nella patria della sua giovinezza, come riveduta in sogno, nella sconfinata distesa di vergini foreste, sulle rive dell'azzurro Niemen. E' la vita gaia è appassionata della piccola nobiltà lituana, tra freschi idilli e cacce all'orso e banchetti, mentre sta per irrompere, preceduta da misteriosi presagi di natura, la Grande Armata di Napoleone, che porta ai Polacchi la speranza della risurrezione. Che cosa significasse quest'opera per lui, appare dalle commosse parole dell'epilogo : « Potessi io vivere fino al giorno di questa consolazione, che i miei canti giungessero ai tetti di paglia delle nostre capanne, e che le contadine volgendo il fi¬ lsmsdtst'11 ' 11111 ' 111 ■ 111 [ 1111 r 1 ! 1 si m 111 it 1 m 111 r i 11 m ; il 1111 ] ! 1 latoio prendessero in mano anche questi libri, semplici come le loro canzoni ». Non diremo qui dei suoi corsi al Collège de France, a fianco di Michelet e di Quinet, del misticismo attinto a Saint-Martin e a Towianski, del suo tardo e un po' ingenuo socialismo, di certi aspetti anche confusi e caduchi del suo pensiero. Ci preme piuttosto ricordare qualcosa, di lui, che lo avvicina a noi, a una vissuta, sofferta esperienza dei nostri tempi: la visione aspra, amara, pessimistica della lotta clandestina, della crudele macerazione dei corpi e delle coscienze sotto l'oppressione. La lirica Alla madre polacca, che Mazzini tradusse, sembra scritta per gli anni della Resistenza europea. Non a caso nel '39 i nazisti abbatterono la statua di Mickiewicz, ne distrussero le opere; e al suo nome si intitolarono diversi nuclei della Resistenza polacca. E forse a lui pensava l'ignoto partigiano che sul muro di una cella della Gestapo di Varsavia lasciò scritto : « Ricordati che dalla terra polacca sei nato, che alla terra polacca ritorni. Fa' che tu vi ritorni degno ». Sandro Galante Garrone 1111111m11 ri : ; i m 1 l : 1 < m11111 : ! 11 i i > 1 i 111 m 1111111 [ 1111