E' difficile farsi un amico a Mosca

E' difficile farsi un amico a Mosca UNA CITTA' AL RIPARO DAGLI OCCHI INDISCRETI E' difficile farsi un amico a Mosca II tentativo di trasformare i rapporti ufficiali in relazioni amichevoli quasi sempre fallisce ■ Gli inviti a pranzo cadono nel vuoto ■ Lo straniero è un personaggio «curioso», guardato, osservato, e che suscita diffidenze e et itele - Ad ogni istante si corre il rischio di essere importuni • Gli acci dentali formano così un'isola borghese nel cuore della capitale sovietica - Spiragli: una giornalista americana e l'anellino delta ragazza del circi circo (Dal nostro corrispondente) Mosco, 19 dicembre. Arrivare a Mosca è facile, bastano poche ore di volo, difficile, al contrario, è penetrare nella città veramente, conoscere la sua vita intima. Io, per esempio, ho varcato tre settimane fa il confine che un tempo chiamavano cortina di ferro, ma sono entrato nell'Unione Sovietica solo per modo di dire. Ho lasciato alle spalle un confine, e me ne sono trovato davanti un al¬ tro, che non è fatto di ferro nè di cemento, anzi appare sottile come un velo. Somiglia al velo di ghiaccio che appanna le finestre della mia camera e impedisce la vista sulla strada; velo di ghiaccio che scherma le finestre degli uffici, dei restaurants, dei negozi, e le finestre delle case dove vivono i moscoviti; e fa di Mosca una città gelosa, nascosta dietro un paravento, al riparo da occhiate indiscrete. Da tre settimane cerco di insinuarmi in un « interno » moscovita, desideroso di conoscere i russi nella loro verità quotidiana, ma non ho avuto molta fortuna. Da tre settimane cerco di farmi, sinceramente e inutilmente, un amico sovietico. A Mosca io sono uno straniero, ma non.allo stesso modo che a Parigi o a Londra. Sabato scorso, verso le sei di sera, mi sono appostato in un angolo dell'atrio della Metropolitana di Ploscied Revoluzii, la stazione forse più battuta- di Mosca. Alle sei di sabato l'affollamento è spettacoloso, si sente passare come l'acqua di un fiume in piena. Si è come investiti da un vento che la moltitudine si trascina dietro, un vento caldo, riscaldato dal fiato, un vento umano. La folla passa e passa, e poi con la scala mobile discende nei sotterranei della città. Un fiume che s'interra in una voragine carsica, sollevando un cupo rombo. In mezzo alla folla Sotto sperduto in mezzo alla calca, nel cuore della metropoli. Eppure questa folla compatta, frettolosa e stanca, « mi guarda ». Ho indosso un loden, un berretto basco blu, acarpe di gomma. Eppure attiro V attenzione come se fossi vestito da Arlecchino, il volto dipinto come quello di un clown. Nella Metropolitana di Trafalgar Square o dell'Etoile, straniero annegherei nell'indifferenza. Qui a Mosca, in mezzo alla moltitudine anonima, ho la sensazione di essere in vetrina. I moscoviti mi guardano con discrezione, aspettano d'essermi alle spalle per osservarmi furtivamente; se mi giro di scatto sorprendo sempre due occhi curiosi, nè benevoli nè ostili". Conoscere qualcuno dei moscoviti che passano e spariscono nel sottosuolo è una aspirazione che dura quanto il mio soggiorno in Russia. Per ora ho avuto solo incontri ufficiali, accompagnato dalle interpreti dell'Inturist. Ragazze gentili e formali, cortesi macchine per tradurre. Gol loro aiuto avrò accostato almeno una ventina di personaggi^ovietici, ed ogni mio tentativo di trasformare rapporti ufficiali, non dico in amichevoli, ma in personali, è fallito sempre. Non mi è mai capitato di offrire tanti pranzi a vuoto come qui a Mosca e di figurare, senza spesa, come un magnifico anfitrione. L'altro giorno ho parlato col direttore dei magazzini Gum, uomo affabile, di modi signorili. Egli ha avuto la pazienza di spiegarmi, durante almeno quattro ore, non ' solo il funzionamento del più grande emporio dell'U.R.S.S., ma anche qualche difficile brano dell'economia sovietica. Alla fine, con un tratto di buon umorismo, mi ha detto: tll suo giornale dovrebbe pagare a me una parte del compenso destinato a questo articolo. Ho lavorato anch'io ». Ho risposto: « Giustissimo », ed ho aggiunto che sarei stato felice d'invitarlo almeno a pranzo. Il direttore del Gum, dopo qualche attimo di esitazione, ha esclamato: « Qui in Russia s'invito a pranzo solo nella propria casa>. Quando gli spiegai che l'albergo National è la mia casa, sorrise vago e lasciò cadere il discorso. Ho incontrato, al Teatro Stanislavskij, una delle più acclamate baverine dell'Unione Sovietica, e alludo a Vioto Boft, che molti considerano la delfina di Galina Ulanova. Il colloquio è avvenuto in un salotto dalle pareti foderate di damasco rosso. Viola Boft, una giovane donna magra, rapida, parla perfettamente l'inglese, avremmo potuto intenderci direttamente. Ma, accanto a noi, sedevano alcuni funzionari del teatro e ricorrere all'aiuto dell'interprete è parso inevitabile. Ad un tratto mi venne in mente di chiederle se avesse un'automobile. « Spero che non vorrà giudicare indiscreta la domanda che sto per farle ». La prima ballerina assoluta dello Stanlslavskij ebbe un guizzo vivace: « Posso, prima, farle una domanda a mia voltai », e volle sapere se noi giornalisti dell'Ovest avessimo l'abitudine di essere indiscreti con le nostre attrici. Consentii: « Talvolta, purtroppo ». « E perchè ciò accade? — incalzò Viola Boft. — Forse da voi le attrici non sono rispettate t ». Le spiegai che, al contrario, le attrici, specie se cinematografiche, vengono adorate dal nostro pubblico, in modo forse eccessivo, e talvolta certamente stupido. La mia esitazione nel fare una domanda di carattere personale, dipendeva dall'aria che si respira a Mosca. E le spiegai che nella capitale sovietica sembra di vivere in un collegio, in un istituto di belle maniere, dove non è possibile abbandonarsi al tono confidenziale. Meraviglia di Viola Boft: « Non è vero. Dovrebbe venire alla festa di Capodanmo, di noi artisti. Vedrebbe che baldoria, che allegria». Chiesi timidamente: « Mi invita?> Pausa, incertezza, sguardi ai due funzionari. Poi il discorso sci.volò su altri argomenti. Potrei ricordare altri casi. Noi occidentali viviamo a Mosca per modo di dire. Ci vediamo tra noi, negli stessi alberghi, nelle stesse ambasciate, nelle stesse case, siamo un'isoZa borghese piantata nel cuore della capitale sovietica. Difficile rivolgerci direttamente.ai cittadini russi, bisogna passare attraverso l'ufficio stampa, l'Inturist, l'Upodecà (così si chiama tt «bureau » al servizio del Corpo diplomatico), presentare domande scritte. Non possiamo, se ci salta in teste, recarci all'Università per avvicinare a caso gli studenti, telefonare ad un regista, ad uno scrittore, a un dirigente industriale, a un professore di scuola. Gli appuntamenti vengono fissati d'ufficio. Io sono a Mosca, ma tra me e Mosca c'è una cortina impalpabile, o se volete un velo di ghiaccio. Festicciola di nozze I tempi, tuttavia, cambiano in meglio. Fino a qualche anno addietro, il forestiere veniva guardato con più diffideìiza, come un marziano piovuto dal cielo. Dominava allora una spiccata slavofilia, che poteva condurre ad episodi curiosi. Ai primi del' 1953, poco avanti la morte di Giuseppe Stalin, l'ambasciata americana fu invitata a lasciare il palazzo di via Mohovaia, prospiciente il Cremlino, e a trasferirsi in un'altra parte della città. Sembra desse fastidio la vista della bandiera degli Stati Uniti sventolante nel cuore di Mosca, vicino alle rosse mura merlate. L'occasione offrì agli edili sovietici di mostrare la loro bravura, costruirono in pieno inverno, a tempo di primato, un palazzo in via Ciaikowski, ora sede dell'ambasciata degli U. S. A. Anche l'amba- sciata inglese, situata in riva alla Moscova, e prospiciente il Cremlino, avrebbe dovuto migrare in altra parte della città, ma dopo il marzo del 'SS le autorità sovietiche non insistettero e la bandiera inglese oggi sventola davanti alle cupole dorate, senza su* scitare malumori. Anche questi episodi minori ci fanno dire che le cose cambiano in meglio; l'aria si fa più respirabile, nessun segno minaccia la nuova temperie. Può darsi .che il velo di ghiaccio, col passar del tempo, diventi sempre più sottile. Davanti ai miei occhi, per caso, è aperta una fessura. La settimana scorsa ho potuto insinuarmi nell'appartamento di una coppia di freschi sposi. La cerimonia, avvenuta pochi minuti prima in uno dei *zags» di Mosca (è il nome russo dell'ufficio di Stato Civile) aveva unito in matrimonio due acrobati del Circo statale. Gli sposi avevano invitato alla festicciola di nozze solo tre persone: un giovane opefdio di non so quale officina, una ragazza di forse ventun anno, chiamata Liuba, anch'essa acrobata del Circo di Stato, e non so spiegare come, una giornalista americana, inviata di Life. Alludo a Patricia Blake, giovane donna di una bellezza classica che ricorda il nostro Rinascimento, o meglio, le aristocratiche icone russe. Patricia Blake m'invitò ad accompagnarla, e così potei dare un'occhiata all'appartamento degli sposi. Consisteva di una stanza; il bagno e la cucina erano in comune con un'altra famiglia. Nitore dovunque, ed un ordine che attenuava il senso di ristrettezza. I coniugi apparivano cordiali, ma Liuba, la giovane acrobata, si mostrava fredda, i suoi occhi, con un'ombra ostile, volgevano sempre dalla parte di Patricia Blake. Devo dire che la giornali^ sta americana indossava un « tailleur » adattissimo alla sua linea elegante e «racén». L'abito di Liuba appariva assai povero e frusto; era ben lavato, e doveva essere stato lavato tante e tante volte. Un anello con una pietrina verde, che portava al dito mignolo, diceva che era vestita a festa. Mi dilungo su questi particolari perchè l'episodio che sto per narrare è assai gentile. Patricia Blake non parve risentire lo sguardo ombroso di Liuba, anzi fu dolce con lei. Quando i loro occhi s'incontravano, il viso della donna americana fioriva in un sorriso di sincera simpatia. Una volta la mano di Patricia Blake sfiorò i capelli biondi della giovane acrobata, timida e discreta carezza. Quando venne il momento di andare, Liuba si awicind a Patricia Blake e fulmineamente infilò l'anello con la pietrina verde nel dito di lei. Episodio gentile, che rivela un lato amabile della gente russa. E che abbiamo potuto conoscere per caso, senza presentare domande scritte agli uffici competenti. Alfredo Todù o