Bizzarro destino di James Joyee di Alberto Rossi

Bizzarro destino di James Joyee Bizzarro destino di James Joyee A quasi quindici anni dalla scomparsa di James Joyce — spentosi in una clinica di Zurigo ai primi del '41 — la figura di questo scrittore giganteggia sempre più alta e misteriosa entro al panorama letterario della prima metà del secolo: a guisa di un monte, che dai suoi primi pendii verdeggianti erga sino a perdersi tra le nubi una vetta rocciosa dalle forme bizzarre, simili a un qualche isto riato monumento di tempi prei storici. Se le sue prime opere, infatti, sono di una frequentazione normale, e non offrono particolari difficoltà interpretative, a un 'Certo momento egli appare preso dal demone di una ricerca verbale, che lo porta a conferire alla propria scrittura un aspetto particolarissimo: e per lettori di poca pazienza, e non disposti a un certo sforzo di av vicinamente, irritante e scostante. Questo avveniva già nello « Ulysscs », il suo rifacimento in chiave dublinese contemporrmea della « Odissea », e segnatamen te in taluni episodi di esso: ma raggiunge poi proporzioni im pensate, vertiginose nell'ultima sua fase creativa, che lo tenne occupato per quasi vent'anni a quella «Work in Progress» (opera in formazione) della cui ge stazione misteriosa si avevano di quando in quando delle antici pazioni per mezzo di frammenti pubblicati in riviste d'avanguardia, sino a che apparve alla vigilia della guerra, nel '39, sotto il titolo di « Finnegans Wake » (la veglia di Finnegan). E non ci voleva meno che il conflitto mondiale per disperdere il senso di stupore disorientato che questa apparizione suscitò negli am bienti letterari internazionali. E' a tale opera davvero unica nel suo1 genere che ci richiama un volumetto — Ettore Settanni : « James Joyce » — uscito a cura delle edizioni del Ca vallino in Venezia, e dovuto i scrittore che ebbe la ventura di frequentare Joyce a Parigi, e di collaborare con lui, alla tradu zione in italiano di due frammenti del libro, usciti a suo tempo nella rivista « Prospettive », e che ora il volumetto ci riconsegna. Bizzarro destino letterario e umano quello del Joyce, esule ancora poco più che adolescente dalla sua Dublino, e che tutta quanta l'opera scritta nel suo errabondo esilio, tra Trieste Parigi Ginevra Zurigo, avrebbe posta sotto il segno di una rievocazione delle atmosfere della propria città natale. Dai primi racconti di «Dubliners» (Gente di Dublino), alla autobiografia lirica del « Ritratto dell'artista da giovane », noto in Italia sotto il titolo di «Dedalus»; all'impervio massiccio . centrale del 1« Ulysses », e finalmente, a quel misteriosissimo «Finnegans Wake», i cui molteplici simboli si incarnano in pagine fitte, formi colanti di deformazioni verbali sino a farle rassomigliare a degli irti geroglifici, testimoni indecifrabili di epoche remote. Pagine che non somigliano a niente altro, nelle letterature passate e presenti e da cui pure emana un senso di grandezza, che ci fa guardare ad esse un poco come a un qualche misterioso fenome no di natura. Non si può intendere quel che è Joyce, il Joyce maturo, se non si ha presente che come l'opera dell'altro grande della prima metà del secolo, Marcel Proust, anche la sua è tutta quanta fondata sulla memoria, o meglio su di una elaborazione formale degli elementi forniti dalla memoria. Ma mentre in Proust si ha una memoria intimista che tende a dare il senso poetico di una durata, dello svolgersi di una esistenza, la visione di Joyce è statica e spaziale: sotto il segno ispiratore della filosofia di Vico, e dei suoi « ricorsi storici », la memoria viene intesa come una sorta di compresenza ideale del passato, di tutto il passato: e tende a diventare dunque la memoria non di questo e quest'altro personaggio, ma della umanità intera, compendiata nel momento presente. Aggiungete l'ambizione di Joyce, puntando sul potere evocativo delle parole, di giungere a rendere direttamente sensibile, direi quasi palpabile, l'essenza delle cose rappresentate: la sua adozione del famoso « monologo interiore » per cogliere 11 senso del flusso di una coscienza: e per giungere a tale evidenza e immediatezza, l'uso di un linguaggio in cui eran spezzati i normali nessi discorsivi. Qualcosa che superficialmente poteva far pensare alle «parole in libertà » di futuristica memoria. Con la differenza, che non si trattava di dare una rappresentazione più o meno onomatopeica di spettacoli esterni, bensì, di giungere in profondità alla radice stessa dei fenomeni di coscienza, colti nell'istintivo formarsi delle espressioni verbali. Questo avveniva nell'«Ulisse», enorme epopea di una giornata dublinese — Joyce lo chiamava scherzosamente, con gli amici italiani, « romanzaccione » —^dove le avventure odisseiche sono adombrate in quelle mediocri di alcuni personaggi, tra cui l'autore ventenne in veste di Telemaco. La • contaminazione verbale vi giunge a risultati di un intenso lirismo — oltre all'humour tipico dello spirito irlandese, che conferisce all'opera un suo inimitabile sapore. Associazioni di parole, di frammenti di parole, magari di più lingue, coniano un nuovo vocabolo che insieme le rievoca. Qualcosa di simile era stato fatto talvolta eccezionalmente, per esempio da Jules Laforgue quando scriveva: uvioluptés à vif » invece che voluptés: oppure massacrilège-moi, unendo le idee di massacro e di sacrilegio. NellV Ulisse » tali modi sono frequenti, insieme con vari altri di far violenza al linguaggio, allo scopo di conferirgli una inedita forza espressiva. Tuttavia, non sono oltrepassati i limiti di una certa leggibilità. Tutt'altro avviene nell'opera finale, il « Finnegans Wake ». Già la concezione stessa ne è oltremodo astrusa, una dublinese fantasticheria notturna in cui pare simboleggiata la notte dell'umanità. Vi si favoleggia di un Adamo — H. C. Earwicker, alias Finn Mac Cool, alias Finnegan — e di sua moglie, Anna Livia Plurabelle. (Anna Livia = oppiti Liffey, il fiume che traversa Dublino: Plurabelle richiama le pia et pura bella di vichiana memoria. Livia era inoltre il nome della moglie di Italo» Svcvo, grande amico a Trieste del Joyce. E questo non è che un esempio elementare delle compenetrazioni simboliche, delle pluralità di significati di cui si investono i vocaboli in questa prosa, prolificata sotto il dèmone della deformazione e della contaminazione). E veramente a un certo momento il Joyce appare preso, posseduto, dalla voluttà di questa fermentazione verbale, accesa, fosforescente: e par di vederlo negli ultimi anni, ridotto alla quasi cecità, col tubo nero della lente di ingrandimento incastrato nell'orbita dell'occhio che ancora per un barlume gli serviva, chinarsi assorto con quella sua aria di puntigliosa impassibilità sullo spettacolo di quel microcosmo in fermento, a seguirne lo svilupparsi di interferenze vibrioniche, di tremolìi partenogenetici, di coagulazioni polimorfe. L'inconveniente di questa prosa straordinaria, ricca di un suo alto fascino, è che appare- scritta per un solo lettore capace di intenderne a fondo le implicazioni infinite: l'autore in persona. Agli altri non è.dato che di sentire quella •« armonia che vince la nostra intelligenza, come la musica » che egli dichiarò un giorno di perseguire con quella sua tecnica. « Vi siete fermato presso un fiume che scorre? Sareste capace di dare valori musicali e note esatte a quel fluire che vi riempie gli orecchi e vi addormenta di felicità? ». E sta bene: ma poi, la parte dcll'intcligenza? A tradurre un simile testo, l'autore solo poteva dunque legittimamente provarsi. E ci si è provato, nella lingua di Dante e li Vico, di cui era conoscitore egregio, con la collaborazione di Ettore Settanni e Nino Frank, i quali ora polemizzano tra loro circa la parte avuta nell'impresa. 11 risultato? Uno sfavillìo di ingegnosità, una girandola, di trovate, e quel senso inesauribile dei ritmi interni, sotterranei, proprio di Joyce: sì che par di sentirne la viva voce. E insieme, un che di scintillante inutilità, e come di una lontananza astrale. Fu questa versione l'ultima fatica di Joyce, poco prima della fine: e ne viene intenso un senso di ma- inconia. , Alberto Rossi

Luoghi citati: Dublino, Ginevra Zurigo, Italia, Parigi, Trieste, Venezia