L'ignoranza e la cultura

L'ignoranza e la cultura L'ignoranza e la cultura Uno dei più colti fra i nostri contemporanei, Gaetano Salvemini, ha più volte rivendicato il suo diritto all'ignoranza. Viceversa, ho sentito l'altro giorno una fruttivendola inveire contro un cliente che l'aveva offesa: e l'invettiva era: — Ignorante! Queste due valutazioni dell'ignoranza, come qualcosa che si ha il diritto di conservare e come qualcosa che si ha il dovere di respingere, non sono, è chiaro, contraddittorie altro che in apparenza. L'ignoranza legittima è quella delle cose che non servono, mentre l'ignoranza illegittima è quella delle cose non conoscendo le quali non ci si comporta come si deve. Ma in questa conclusione apparentemente banale è già implicita un'idea - importante, di cui non ci rendiamo sempre ben conto. E' implicita l'idea che il nostro dovere di conoscere le cose non dipende dal fatto della loro esistenza e della loro verità, ma solo dal fatto che ci servano per meglio vivere e convivere. Niente è più a buon mercato, nel mondo, della realtà e della verità. Basta che una cosa ci sia, o accada, perchè sia vera. E se ano si mettesse in testa di conoscere tutte le cose che in questo senso sono vere, morirebbe senza aver appreso che una parte infinitesima di tutte le verità che ancora avrebbe potuto apprendere. 11 dotto, lo scienziato, 10 storico, il filosofo non sono coloro che conoscono il maggior numero di verità, bensì coloro che nell'infinita congerie delle cose vere sanno scegliere, come si dice, le cose più interessanti, cioè più dotate di interesse per la vita degli uomini. Sembrano, ripeto, osservazioni banali. Eppure siamo sicuri di tenerne sempre conto quando educhiamo i nostri figli? Siamo sicuri di tenerne sempre conto quando organizziamo istituxioni scolastiche, o conserviamo quelle esistenti? Noi pensiamo spesso, per esempio, che per essere fornito di una « buona cultura generale » un ragazzo debba conoscere un certo numero di cose, il cui àmbito non è tanto determinato dal costante e serio interesse che esse possano avere per lui nel presente e nel futuro, quanto dal fatto che, se un adulto non le sa, fa brutta figura davanti ad altri adulti. Perchè poi, non sapendo certe cose, uno faccia brutta figura, e non sapendone altre non la faccia, è molto spesso quasi incomprensibile, e dovete chiamare in aiuto uno storico perchè vi spieghi per quali varie vicende si arrivi di volta in volta a simili stranezze. Provate, per esempio, con amici di cosiddetta media cultura generale, a dire che non sapete chi erano i Cartaginesi. Dovrete arrossire, per 11 modo in cui vi guarderanno. Provate invece a dire che non sapete chi erano i Maccabei. I più vi diranno, con perfetto senso d'innocenza, che non lo sanno neanche loro. E ciò, nonostante che in un paese di prevalevi tradizioni cristiane ci si potrebbe anche aspettare che la Bibbia fosse letta più di Tito Livio. Ma la realtà è, poi, che quella formazione spirituale e culturale, che ci si attende dalla scuola, non consiste tanto nel conoscere piuttosto la Bibbia che Ti? to Livio o piuttosto Tito Livio che la Bibbia, quanto nel saper leggere o l'uno o l'altra in modo da averne autentico e duraturo vantaggio, e non soltanto attitudine a non sfigurare o all'esame o in società. Immaginiamo due tipi diversi, Giuseppe e Fabrizio. Giuseppe è piuttosto timido, raccolto, poco esibitorio. Una sera, in un salotto di amici, mentre Fabrizio disserta sulla dodecafonia di Schoenberg, dichiara con candore che lui non ne sa nulla. Così viene isolato dalla conversazione, che si concentra intorno all'espertissimo Fabrizio. La mattina dopo tanto Giuseppe quanto Fabrizio si svegliano di cattivo umore. Fabrizio lo «foga litigando con la moglie durante la colazione, e, avendo avuto la peggio, esce incollerito per recarsi all'ufficio, dove si rifarà sui suoi dipendenti e sul pubblico. Giuseppe mette sul giradischi il Concerto per violino e orchestra di Beethoven (che banalità, direbbe Fabrizio se lo sapesse: e chi non lo sa a memoria?). Dopo poche battute il suo malumore comincia a dissiparsi, alla fine del concerto egli si sente rinvigorito, le idee spiacevoli non sono più così spiace¬ voli. E l'effetto benefico di quella musica lo assisterà, in qualche misura, attraverso tutte le fatiche della sua giornata di lavoro. Chi di essi ha fatto miglior uso di quel che ha acquisito attraverso la sua educazione, cioè della sua capacità di apprezzamento e di godimento artistico? La risposta non •' par dubbia. Ora, le nostre scuole secondarie, in quanto maestre di cultura, sono organizzate per formare piuttosto uomini che sappiano servirsi di ciò che sanno come Giuseppe, o che sappiano soltanto esibirlo come Fabrizio? Si preoccupano che gli individui apprendano a servirsi dei valori della cultura per vivere più felici e meglio superare gli squilibri e le avversità dell'esistenza, o piuttosto che non sfigurino di fronte ad altri ripetendo loro certe cose che si sono allenati a ricordare perchè quelli hanno detto loro che le dovevano ricordare, come quando i vecchi mandarini diplomavano nuovi mandarini controllando se avessero imparato a memoria quel che essi stessi avevano dovuto imparare da mandarini più vecchi ancora? Anche a voler essere indulgenti, dobbiamo riconoscere che la « cultura generale», fornita ai giovani dalla nostra scuola secondaria, è almeno in larga misura piuttosto del tipo di quella esibita mnemonicamente da Fabrizio che di quella adoperata vitalmente da Giuseppe. .Ci si preoccupa di sapere che cosa essi ricordano all'esame, ma non già se, e come, se ne serviranno dopo di esso. Di tutto ciò, s'intende, la colpa non è nè degli insegnanti nè dei ragazzi. Che colpa volete che rie abbiano, se i regolamenti e i programmi continuano ad essere tanto assurdi, da imporre loro, agli uni e agli altri, al momento della solenne conclusione degli studi secondari, un esame in cui i ragazzi dovrebbero essere giudicati maturi da adulti che per constatare quella maturità sono costretti a riunirsi in commissione, perchè ciascuno di essi da solo non sarebbe in grado di constatarla, e se venisse sottoposto allo stesso esame sarebbe bocciato come immaturo? Guido Calogero ii unni iiiiiiiiiiii

Persone citate: Beethoven, Gaetano Salvemini, Guido Calogero, Schoenberg, Tito Livio