Il noto e l'ignoto nell'opera di Mozart di Andrea Della Corte

Il noto e l'ignoto nell'opera di Mozart Il noto e l'ignoto nell'opera di Mozart Il concerto dirètto alla Scala da Bruno Walter, il decano dei grandi direttori d'orchestra viventi e ancora militanti, recensito su questo giornale da Andrea Della Corte che lo ha definito « un'anticipazione delle innumerevoli rievocazioni che ci prepara il prossimo bicentenario della nascita di . Mozart », mi spinge a qualche considerazione. E' proprio necessario continuare a insistere su certe convenzionali ricorrenze di date, quando si tratta di musicisti d'ordine cosi elevato, le cui opere sono talmente vive e talmente eseguite, da rendere la parola « commemorazione » del tutto priva del suo significato etimologico? D'altra parte se commemorazioni debbano continuare a farsi, cerchiamo di cogliere l'occasione per cavarne qualche utilità; per esempio cogliamo l'occasione per far conoscere quelle tra le grandi opere del commemorato, che non sono date in pasto ai pubblici troppo sovente. Nell'incommensurabile produzione mozartiana, il cui catalogo comprende più di cinquecento voci di opere d'ogni tipo e di ogni genere, non sarebbe difficile scovare materia per più di un programma, tutta 0 completamente ignota ai nostri pubblici o quasi. Già Bruno Walter ha diretto un Mottetto sacro che raramente avevamo udito. Tra le opere di carattere sacro in Italia si conosce bene il famoso Requiem, da i\lozart lasciato incompiuto e completato, come si sa, da un suo allievo; ma la bellissima Messa in do minore è stata eseguita di rado, e forse vince in bellezza lo stesso Requiem. Delle grandi opere teatrali, la fortuna in Italia arrise sempre sopra tutto al Don Giovanni, anche se nelle esecuzioni del passato non si esitava a sopprimerne l'ultima scena, preferendo chiudere l'opera sulla morte del ■ protagonista, come era di prammatica nel melodramma ottocentesco. La bellissima fine con la necessària « morale » cantata al proscenio dagli altri personaggi, fino a pochi anni fa in Italia non si era mai sentita... Le Nozze di Figaro tennero e tengono tutt'ora il secondo posto, e sono opera quasi popolare per 1 nostri pubblici; ma per esempio il Così fan tutte, rivelato al pubblico italiano nel lontano 1927 a Torino, fu poi ripreso saltuariamente in altre città, e anche se coronato da grande successo sempre, non entrò nel nostro repertorio abituale. Perchè? Lo splendido Idomeneo comparve negli ultimi anni una volta al Festival di Venezia, e una alla radio, e poi scomparve dalle nostre scene; quali siano le misteriose ragioni nessuno sa. Eppure quest'opera in Germania interessò talmente da provocare innumerevoli trascrizioni e adattamenti, tra cui una di Riccardo Strauss e una del nostro Wolf-Ferrari, e in Inghilterra è regolarmente eseguita accanto agli altri capolavori di Mozart. Il Ratto del Serraglio subì quasi la stessa sorte, e infine l'ultima opera della piena maturità, il Flauto magico, salvo alcune apparizioni piuttosto rare — ricordevoli quella alla Scala sotto Toscanini nel 1923 e l'altra al Maggio fiorentino del 1940 — ricadde nell'oblio. Ora nell'avvicinarsi del bicentenario della nascita di codesto immenso genio che per 1 suoi caratteri tanto si avvicina a noi da poterlo considerare quasi un italiano, ci si domanda: «Che cosa prepara l'Italia, anche a titolo di riparazione di tutto quello che fu ingiustamente- negletto nel passato? ». Sappiamo per ora di due Flauti magici uno all'opera di Roma e uno al San Car.lo di Napoli; sappiamo del Così fan tutte al Piccolo Teatro nuovamente costruito a lato della grande Scala di Milano, e a Trieste; sappiamo per passare in sede concertistica, di una Messa in do minore da eseguire in una chiesa di Palermo; e di un Figaro a Bologna. Ma mentre dall'estero si annunciano commemorazioni di più vasta importanza, come a Glyndebourne e a Aix-en-Provence che annunciano quasi tutte le opere teatrali di Mozart, qui abbiamo la sensazione che si proceda con cautela e con scarsa fede nei resultati Ho detto per incidenza più sopra che Mozart è da considerarsi quasi italiano e mi spiego. La formazione artistica di Mozart fu tutta interamente italiana; dalla scuola napoletana dove brillavano i grandi nomi di Paisiello, Pergolesi, Jomelli, Cimarosa e tanti altri, Mozart prese senza discuterla la forma dell'opera comica; solo nell'opera seria si rifece alla grande riforma di Gluck; infatti Idomeneo risente non poco della influenza di Alceste, e forse anche per • questo contiene i più bei cori che Mozart abbia mai scritto. Ma per la commedia musicale egli non cercò neppur menomamente di uscir fuori delle rotaie che l'Italia gli metteva sotto le ruote; subconsciamente sicuro che il suo genio gli avrebbe comunque permesso di rivelare la sua inconfondibile personalità, e così infatti fu. Quando Mozart prende un tema di un altro (e non si esagera quando si dice « prende » perchè questo gli accade spesso, come nel classico esempio tanto ripetuto del tema iniziale delVouverture del Flauto che è lo stesso di una sonata di Muzio Clementi, oppure d'una scena del primo atto nel Figaro, quando Susanna dice a Cherubino « venite inginocchiatevi » che è musicalmente assai somigliante per non dire identico a una pagina del Don Chisciotte di Paisiello recentemente esumato nel Teatro di Corte a Napoli), quando egli si serve di temi altrui, dicevo, la materia sonora viene assorbita dentro il suo sangue in tal modo che diventa assolutamente sua. Ma pure in altro senso Mozart può considerarsi un italiano; anche a prescindere dal fatto che in giovanissima età fu tra di noi, ebbe il riconoscimento più alto da noi, la laurea a Bologna da Padre Martini, l'Ordine dello speron d'oro dal Pontefice a Roma; a parte il fatto che parlava la nostra lingua come uno di noi, tanto da poter scrivere poco prima della sua morte una commoventissima lettera a un amico in lingua italiana;.a parte tutto questo, il suo modo di sentire era decisamente mediterraneo. Un italiano « sbagliato » si potrebbe umoristicamente, dire, se lo scherzo fosse lecito avanti a una così tragica vita e altrettanto tragica morte; sbagliato perchè al posto del « riso » assolato del mezzogiorno, egli pose il «sorriso» velato del nord. La sua anima era per natura nostalgica, e nel suo sorriso tremò sempre in fondo una lacrima; cosa che ai suoi maestri • non capitava. Perchè anche il giovine esangue Pergolesi, morto di mal sottile a ventisei anni, quando piange piange, ma quando ride come nella Serva padrona, gli scoppia fuori dal cuore e dalla bocca il più sonoro e luminoso riso che ancor oggi si può incontrare sotto le pinete verdi del Vesuvio a specchio del mare turchino. Ma in Mozart lo scoppio della gaiezza non c'è mai. Non c'è neppure in quella strana favola che vorrebbe essere comica o satirica ed è invece nostalgica a tal punto da intenerirvi, che è Così fan tutte, musicalmente a mio avviso il suo capolavoro insuperato. E' appunto codesto suo sorrider tra le lacrime, questa nostalgia accorata per un mondo di purezza che tutto il suo essere sembra rivivere nel ricordo d'una vita anteriore e che in questo mondo non si può ritrovare (come era l'amore, come era questo gioco innocente che ha così perduto della sua purezza da diventar passione? ), che lo mette in posizione nettamente antinomica contro quell'altro grande che fu Rossini. Italiano questo fino alla midolla delle ossa, fino alla più minuscola particella del suo sangue mediterraneo. Nessuna testimonianza più definitiva potrebbe portarsi a .codesta asserzione che l'accostamento dei due capolavori Nozze di Figaro e Barbiere di Siviglia; dove in questo la gioia fisica di vivere esplode in accenti di immortale giovinezza, nell'altro una esperienza seria della vita induce a un'accettazione di tutto quello che la vita porta con sè di bene e di male; una rassegnazione pacata avanti alle debolezze umane; Rosina che nel Barbiere gorgheggia incurante come un uccellino, divenuta contessa nel Figaro, si ripiega e si rinchiude come un fiore al tramonto, nella malinconia della donna che ha incontrato le prime delusioni; l'amore del giovine Lindoro, intiepidito nell'assuefazione della vita matrimoniale: «Dove sono i bei momenti?t. E perfino nella conclusione •tiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiif iiiiiiitiiiiii della commedia, quando tutti t personaggi vengono alla ribalta a cantarci: *Ahf tutti contenti saremo così », una ultima nuvoletta sembra passare tra il nostro sguardo e il sole che tramonta, un ultimo accento di malinconia velata forma un così evidente contrasto tra parole e musica, che vien fatto di ricorrere col pensiero al finale del Barbiere: Di si felice innesto serbiam memoria eterna, io spengo la lanterna, qui più non ho che far! E ci riesce ancora più difficile convincerci come due uomini, due geni autentici, a così breve distanza di spazio e di tempo, abbiano potuto abitare due mondi idealmente così distanti e contrastanti, quali furono quelli in cui vissero e si espressero Mozart e Rossini. Vittorio Gui ■■riiiniiiiiiiiiiiii rtiiiiniiiiiiiiiiif ii[iiiiiii