"Mariana Pineda" di F. G. Lorca al "Gobetti"

"Mariana Pineda" di F. G. Lorca al "Gobetti" "Mariana Pineda" di F. G. Lorca al "Gobetti" Federico Garcia Lorca, il poeta fucilato, è nel vivo della sensibilità d'oggi. V'è in lui quell'ardore, quel fuoco voluttuoso e mortale che popola di fantasmi e di eroi la solitudine grande delle terre di Spagna, e qualcosa del teatro antico e splendido e frondoso di Lope, di Calderon, di Tirso, e un incanto, un rapimento che non poteva non sedurre romanticamente i giovani, che sono anche oggi romantici, come sempre lo furono. Ma di ciò si potrà se mai riparlare. Basti dire ora che uno dei suoi primi drammi, anzi il primo che conta davvero, Mariana Pincda, è stato scelto e rappresentato iersera al « Gobetti » dal « Piccolo Teatro della Città di Torino». In Mariana Pineda si possono scorgere e distinguere un dramma da arena, una ricerca affettuosa di temi popolari e una variazione letteraria, preziosa, preziosistica, artefatta. Tutto questo non sarebbe gran che. Ma Mariana Pineda è soprattutto un sogno. Vediamo un io". Il dramma è semplice, trito, E' una storia risorgimenta j, una congiura di libertà nel bel mezzo dell'Otto^ cento. Un gruppo di liberali vuol fare la rivoluzione a Granata; nella congiura Mariana è compromessa, perché ne ama il capo, Pedro, ed è lei che ha ricamato la bandiera che dovrà sventolare nella battaglia nella vittoria. Ma la congiura è scoperta, i congiurati ■scappano, anche don Pedro ahimé! Mariana rimane sola, con quella sua divorante e pura passione, alla mercé di un capo di polizia, un Pedrosa odioso, che è cupido di lei e la brama e la ricatta. Se la donna si darà, se vorrà denunciare I complici è la salvezza, se no... Mariana va al patibolo. Tra tanti eroi veri o presunti, è lei l'unica a portare nel cuore una sublime, compiuta fiura di carità, d'amore, di libertà vera e totale e trasfigurata. Mariana entra nel sogno. I motivi folcloristici, canzoni, memorie del passato, aura provinciale, sono trattati con finezza, ma con un compiacimento manierato, a volte stucchevole; è uno spettacolo riflesso in uno specchio. L'autore non dice tre atti, dice tre «stampe»; non dice commedia o dramma, dice « romanza po polare ». Le didascalie sono rivelatrici: un personaggio in un momento per lui drammaticis simo deve avere « uno squisito ma contenuto gesto di scoramento»; sul «camino v'è uno di quei grandi orologi dorati in cui sogna tutta la squisita poesia eccetera»; Mariana di ce di sé: «Ma devo star calma... benché sia tutta vestita di tremore e di pianto ». Ci senti D'Annunzio, e ì simbolisti e decadenti francesi, un Samain, magari una punta di Jamracs, o che so,io. Letteratura dunque; tutta la letteratura del crepuscolo dell'Otto cento, un po' faisandée, smaliziata, vezzeggiata, d'imitazione: «Anch'io, miei bimbi, sono addormentata... ». Come dunque da questa « let teratura » può sbocciare una poesia vera? Abbiamo detto: Mariana entra nel sogno. Lorca, al di là della letteratura, è nativamente, irresistibilmente un poeta, ma un tipico poeta del .sogno. Il suo nucleo lirico è un senso dell'essere e della creazione mitico, leggendario, effuso in pura musica e in pura fantasia; egli anela, e la sua opera teatrale tende all'adempimento di questo sogno onnipresente. Che Lorca abbia amato la vita con intensità esaltante, con felicità tanto densa da diventare dolorosa, non esclude questo trasporto, anzi lo esige. Il suo slancio vitale violentissimo gli fu sopportabile soltanto perché lìricamente trasfigurato. Il segreto del suo stato, e quasi delirio poetico, e forse, chi sa? della sua morte, è qui. Un istinto lirico che alla conquista del sogno diventa dramma, una vocazione umana spezzata al culmine e del dramma e del sogno. Orbene, per due terzi la « romanza » di Mariana Pineda procede incerta tra una relativa verosimiglianza psicologica, qualche annotazione storica su chiave di memoria sentimentale, e le suggestioni della bella letteratura. Ma al terzo atto Mariana trova se stessa. Mariana, nata nel cuore fantasticante e < sognante » del poeta, raggiunga la sua essenza, adempie il suo destino; non è più donna, propriamente, e neppure personaggio con i vincoli e le convenzioni del teatro; è una pura immagine. La immagine vagheggiata, idoleggiata dal poeta. In questa apparizione non di donna ma di un incanto di donna, amante e pura, tutta carità e libertà e fantasia, lo spettacolo si solleva d'un tratto alla sua cima, lo spettacolo diventa interamente e profondamente un « sogno », quel sogno che ci attendeva. E qui prorompe la commozione, qui è il rapimento, e diciamo pure la teatralità dell'opera; è questo passaggio, questo urto interiore, e poi questo fluire di un'aspirazione lirica che si converte in figure e che modula un canto d'amore e di morte, a far sgorgare le lagrime. Il vero momento teatrale di Mariana Pineda si rivela, dunque, quando lo spettatore è traghettato con sua meraviglia dalla pura passione alla pura poesia. La visione spettacolare di Lorca è tutta lirica, e mentre essa sotto i vostri occhi si realizza e si compie in quel piccolo dramma e in quella mirabile metamorfosi dall'umano al celeste, il vostro cuore si dilata, sorpreso prima da un intimo affanno di desiderio e di nostalgia, effuso poi nella gioia lucente di una poesia adempiuta. Questa < romanza » di Marianita è forse la giusta introduzione a intendere il teatro di Garcia Lorca MntVarà~in'n(-p*rin Mariana Pi-Mettere in scena Mariana t-ir- lmo neda non è facile, anzi che è un'ardua impresa. Bisogna accoglierne i motivi e i toni, cui abbiamo accennato, vari e divergenti e contrastanti, e armonizzarli, e fonderli in un'aura che dovrebbe essere di incanto poetico. Il preziosistico, il folcloristico, l'immaginoso, in quell'accentuazione sfumata, melodica e lieve, propria dei poemetti simbolisti, delle canzonette popolari e decadenti (da Verlaine a Pascoli), e in più... In più, un senso misterioso, e sincero, della morte (e dell'amore). La Compagnia del « Piccolo Teatro della Città di Torino », diretta da Nico Pepe, s'è messa alla prova con molto coraggio. Graziosi e suggestivi scenari e « costumi », attenti e intenti al loro compito gli attori. Ma a dire certe cose, tra il falso e il vero, tra l'artificio e lamusica, ci vuole arte sopraffina, scaltrissima, matura. Non sentimmo questa maturità, questa finezza, questo fluire ritmico e ondeggiante della parola. L'attrice Clara Auteri era Amparo, una delle due giovinette che inghirlandano l'inizio del dramma di fiori campestri, personaggio capriccioso, nato dalla danza e dalla malizia: e fece del suo meglio. Ma quel gorgheggio non lievitò; non si fuse in gesto e in accento. Lia Angeleri era Mariana; ed ha avuto buoni slanci di passione, e tocchi delicati d'affetto e di malinconia; ma non ci diede la continuità, la durata di quel traspòrto sentimentale, di quel sognare che si avvera... E la Benedetti forse non colse della Garofana il tratto ruvido e tenero, e Carlo Enrici non trovò per Fernando 11 candore fatale di un amore adolescente. Sono esempi per dire che, dall'uno all'altro, e nonostante la volonterosa regìa di Lucio Chìavarelli, non s'è avuto il piccolo miracolo che in palcoscenico nasce da una felicità istintiva e da una perizia senza incertezze. La Compagnia ha tuttavia ottenuto un cordiale successo. E giusto, perché tutti furono zelanti, rispettosi del testo, concordi. Ed il secondo atto, con ì suoi modi espliciti e lineari di dramma domenicale, ha destato viva commozione. Nomineremo gli altri attori: Olga Solbelli (la Madre), la Catullo, Luciano Alberici (.Don Pedro), Carlo Lombardi (Pedrosa), Pier Paolo Porta (Alegrito). Tutti insieme, al di là delle nostre riserve, hanno portato alla ribalta con colorito impegno un'opera poetica, e per ciò hanno meritato i calorosi consensi e battimani che si sono rinnovati più e più" volte. f. b.

Luoghi citati: Pascoli, Spagna, Torino