Dai capolavori agli stracci in cornice di Marziano Bernardi

Dai capolavori agli stracci in cornice RASSEGNA DELL'ARTE ITALIANA ALLA YII QUADRIMELE DI ROMA Dai capolavori agli stracci in cornice Novantatrè sale, due saloni, 380 autori invitati, 672 opere accettate - Un certo sapore anacronistico della mastodontica mostra - Sempre più folte, serrate, aggressive le falangi degli artisti che premono alle porte - Gli otto pannelli di Alberto Burri che ha inventato una "nuova metafora visiva,, - La stilata astrattista e il gruppo dei "populisti,, - Ottimo contributo della scultura: tre "nudi,, di OTanzù •ti (Dal nostro inviato speciale) Roma, 21 novembre. Novantatrè sale non contando due saloni centrali che da soli contengono oltre cento pitture e sculture; una media di una ventina d'opere per sala; quasi quattrocento artisti invitati (davvero non credevamo che le arti figurative annoverassero in Italia tanti produttori così celebri da poter pretendere in tal numero al diritto di un invito alla maggior competizione artistica italiana); 672 lavori ammessi dalla giuria d'accettazione sui k91S inviati a Roma da ogni remoto angolo della provincia, luminoso però della speranza di toccare anch'esso il traguardo della gloria con un rettangolo di tela dipinta e un nome sul catalogo; mesi e mesi di fatiche spesso ingrate degli organizzatori, di preoccupazioni, di discussioni, di sottigliezze diplomatiche, di disgusti e di arrabbiature, di continui sforzi per mantenersi su un livello di cortesia con tutti: — E che cos'è natot E' noto in via Nazionale, nel Par lazzo delle Esposizioni, il mastodonte che domani (sia detto senza l'ombra della irriverenza) il Presidente della Repubblica terrà a battesimo. Davvero compiangiamo l'uomo insigne che domattina, intrepido come un Sigfrido, tranquillo moverà i propri passi per avvicinare il dinosauro dell'arte italiana. Lo compiangiamo perchè sfiniti, intontiti, barcollanti, più di una volta in queste ore di « vernice » ci Siam trovati sul punto di arrenderci: cioè di fuggire lontano verso l'agro giurando di non entrare mai più nella vita in una esposizione; e se non lo facemmo non fu per il timore d'esser perseguitati anche nella campagna romana dai « motivi » che al chiuso, dipinti, ci aggredivano compresi i bovi e i butteri di Cesetti, bensì perchè i mastodonti, in fondo, sono un po' come delle creature infantili, candide, ingenue, desiderose d'affetto, che magar ri con uno zuccherino te le fai amiche; e spiace allora maltrattarle e offenderle mentre ti vengono incontro mansuete roteando i grossi occhi stupidi e buoni. Mostruosa imbandigione Perciò eccoci per la settima volta alle prese con la Quadriennale Nazionale d'Arte di Roma, istituzione nata nel lontano 1931; e sempre più persuasi che queste « oceaniche » adunate artistiche, specie quando si limitano ad un solo Paese che non può offrire la varietà dei panorami internazionali e quindi l'interesse culturale dei confronti, e quando son prive o scarseggiano di quei nuclei « storici » che costituiscono le tappe decisive nel cammino del pensiero figurativo mondiale, hanno fatto il loro tempo, appaiono ormai degli anacronismi del gusto come quei salons dove { quadri tappezzavano le pareti fino al soffitto, ed esigono dunque sagge e radicali trasformazioni. Non c'è fanatico innamorato dell'arte che regga alla mostruosa imbandigione di cibo artistico presentato in simile copia. Un Don Giovanni al quale di colpo si offrissero mille donne sia pur tutte bellissime, volterebbe le spalle annoiato. E l'arte, come l'amore, è scelta, non numero, è qualità, non quantità; onde ci si do- i manda: per chi e per che cosa si allestiscono codesti colossali spettacolit Per un pubblico che vuol poter orientarsi, capire, gustare senza morir d'indigestione, o per dei produttori che non si può sempre chiamare artisti, e che in mille, in duemila, in cinquemila, in diecimila, in falangi sempre più folte, serrate, aggressive, premono alle porte di un Parnaso da cui s'immaginano strappare chi sa quali conquiste f Sappiamo quali sono le enormi difficoltà organizzative. Sappiamo che, varcato un ristrettissimo limite d'inviti, l'invito a Tizio, numero 150, è un'ingiustizia per Caio, che potrebbe benissimo portare il numero IfiO. Ed ecco infatti i circa 380 Inviti di questa Mostra (e fortuna che non tutti hanno risposto). Leggendo certi nomi, ci si chiede se gl'inviti non sarebbero potuti risultare 500 o T00. C'è il sistema della «rotazione ». E Sempronio protesta: perchè un altro deve «rotare» prima di mei Insomma, ecco un dialogo, aspro e difficile, aperto fra l'organizzazione delle mo- -, stre (rappresentanti sindacali aiutando) e i candidati ad esporre: non più fra la cultura e quanti, in un pubblico intelligente, vorrebbero coltivarsi ed artisticamente godere. Finché, in un momento fatale, sotto il peso della massa, le dighe franano; e della paurosa inondazione vediamo gli effetti soprattutto al piano superiore del palazzo: dove il visitatore, già sopraffatto dal troppo visto al piano inferiore, comincia a correre, a correre come un cavallo coi paraocchi, e nessuno lo ferma più finché ha di nuovo infilato lo scalone. Ch'è un comportarsi ingiusto e cattivo perchè anche nelle sale di sopra vi sono .notevoli artisti che meritano attenzione. Fra i tanti citiamo Treccani, Margotti, Terzolo, Attilio Rossi, Fico, Colacicchi, la Nascimbene-Tallone, Chiara, Galan.e. Manzone. Il fatto è che i tempi sono mutati; e per le innumerevoli occasioni che il presente della cultura — contrariamente al passato — ha di « vedere » dovunque, non importa più il < veder molto >: importa invece (nelle com- petizioni nazionali e internazionali) vedere « quel tanto » che possa stimolare un esatto giudizio. Ogni mostra, allora, deve conservare un suo carattere; e la Quadriennale di Roma non è la Biennale di Venezia, dove certe esperienze sono accettabili appunto quali termini di confronto, che qui invece suonano come stonature. Non già che Roma debba essere meno t audace » di Venezia; ma certe « audai eie », sul terreno nazionale, j„ puo ^are per SCOntate. Tut -, ti sanno che mai il « Comitato degli esperti » della Biennale avrebbe esteso inviti a molti artisti prescelti invece dalla Commissione della Quadriennale; e che la metà delle opere qui presenti, per il loro indirizzo di gusto, non avrebbe varcato i cancelli dei Giardini e il canale di Sant'Elena. Allora gli otto pannelli di Alberto Burri, un artista che secondo James Johnson Sweeney inventa una « nuova metafora visiva », benché nella stessa sala dei così detti «concetti spaziali » di Lucio Fontana (quello dei cartoni bucherellati), dei caleidoscopi in bianco e nero di Emilio Vedova e dei dinamismi plastici di Mastroianni, sono semplicemente un sasso in piccionaia. E vi spieghiamo il perchè. Alberto Burri prende delle vecchie tele di sacco, delle jute logore, stracciate, sfilacciate, ne cuce e incolla insieme dei pezzi senza tentare la minima figurazione, mette il tutto fra quattro listelli a guisa di cornice, e intitola questi oggetti, che sono grossissimi, ed il maggiore dei quali è al prezzo, mi pare, di un milione, iZ.Q.l », oppure « R. I. », oppure « Sacco R. », oppure i S. o » eccelli:., t'er il citato Sweeney il Burri « nei limiti del suo mezzo espressivo attinge alle stesse fonti di gioia alle quali così profondamente attinse Rembrandt per il suo "Bue squartato ", Rubens per la carne dei suoi nudi, Géricault per 1 suoi cadaveri ». Forse perchè talvolta il Burri, con non so qual procedimento, riesce a trasformare i suoi pezzi di sacco in una materia cancrenosa, marcia, che fa anche l'effetto di puzzare, sì che opportunamente . l'acuto Sweeney parla della < qualità dì un pastello di Redon o di una rosa di Renoir ». Detto questo, possiamo lasciare il presentato ed il presentatore, dei quali Immaginiamo il compatimento per l'autore di queste righe, caso mai le leggessero. Si voleva, soltanto fare un esempio. Una prova inutile o a e o, o a ao re oio o. lo, l > e nia ia iie n e elrpiece nia e hè le le le a o oaa è o ane o; el arffile le iz in n lico n re La Quadriennale ha inteso dimostrare non minor coraggio della Biennale t Non aveva bisogno di questa prova, perchè i pupilli di Venezia a Roma ci son tutti o quasi. La sfilata astrattista, o più o meno simpatizzante oon l'astrattismo, comincia con Breddo (di cui però Ugo Fasolo sottolinea la « interpretazione viva e amorosa della natura », e se lui la vede è segno che ha occhi pungentissimi) ; continua con Music divenuto straordinariamente monotono, Reggiani, Capogrossi, Turcato, con gli scultori Larderà e Consagra (lamiere inchiodate e saldate a bizzeffe); è interrotta dall'isolotto pseudosurrealista abitato da Stanislao Lepri, Leonor Fini, Fabrizio Clerici intorno alla tomba del vecchio papà surrealista Alberto Martini; riprende, trombe in testa, con Prampolini, Magnelli, Corpora, Scialoja, Viani i cui ovoidi di gesso cominciano a soffrire dei continui viaggi, con la mediocre < postuma > di Attanasio Soldati, con Santomaso e con Afro, dai ghirigori più molli e dolci il primo, più risentiti e costruiti il secondo, con la ferramenta di Franchino e di Ettore Colla (una di queste macchine è addirittura spaventosa, evoca i sotterranei dell'Inquisizione) ; sosta nella figuratività sfaccettata, scorticata e notomizzata di Cassinari, nell'irrequieto incastro di Scordio, ìlei tenebrori di Spazzapan e nel sontuoso orientalismo di Giarrizzo, nelle ondeggianti lietezze di Paulucci; per approdare alla merceologia di Cagli, alle ornamentazioni metalliche ritagliate, come dalla carta, di Mirko, troppo giovane per poter ricordare che del gusto di tali formidabili innovazioni si avevano esempi assai simili nel padiglione ungherese dell'Esposizione di Torino del 1911: classici ed eleganti < acchiappapolvere » (traduco letteralmente dal piemontese), che stanno assai bene accanto ai grossi birilli dipinli dei suoi ormai famosi < totem ». Se non che — e dipenderà. forse dalla pianta del palazzo, diviso in parti uguali dai saloni centrali — questo astrattismo, adesso cittadino ufficiale di Roma, sembra un po' «confinato» (come una volta i noiosissimi 'futuristi in una manica della Biennale, che il buon Marinettl implorav i. d' visitare, e <'h' noi vecchi di quelle mostre fuggivamo volentieri), ssembra, sia detto senza malizia, confinato « a destra », dove è poi anche la < sinistra > politica i ', di un'arte che viceversa parrebbe, dal punto di vista formale, orientata «a destra». E non è un gioco di parole, e nemmeno si tratta di « aperture ». Tramite Montanarini, che cerca di staccar figure da un ordito cromatico a toppe arlecchinesche, si passa di colpo ai < populisti » o « neorealisti », ai Zìgaina, Tettamanti.. Vespignani, Sassu, Migneco, Carlo Levi, Muccìni (ma sono « populiste » le delicate sculture di Jenni Mucchi?), ed altri noti rappresentanti di questo movimento. Fra i quali, è doveroso ammetterlo, spicca per convinzione, ambizione e rozzo ed aspro vigore pittorico, Renato Guttuso. Crisi della ragione Pieghiamo materialmente a sinistra, nel percorso indicato dal catalogo, e ci troveremo invece a un « centro » plastico, più indipendente da ideologie antiche e nuove. Ed è un concerto dalle innumerevoli flessioni i e sfumature. Basta citar dei ', nomi: Bartoli, Soffici, De Chirico, il rievocato Savìnio, Ferrazzi, Corrà, Tosi, Saetti, Ceracchini, Ciardo, Fausto Pirandello, Campigli, Tamburi, Mafai, GentiHni sempre più pervaso da un gracile graficismo, Beppe Guzzi, Bartolini, Cantatore, Brancaccio, Dalla Zorza, Cesetti, Maccari (d'una sensibilità tonale forse mai da lui raggiunta così patetica e struggente), Vagnetti, Avellali, Goccia, Monti, Omiccioli, Cavalli, Tornea, Biasion, Francalancia, Vittorini, Salvadori, Ruggiero, Trombadori, Bueno, Rizzo popolaresco, Donghi, il nostro piccolo Rousseau doganiere, Nino Caffè, Ilario Rossi, Enzo Morelli, Corsi, Romiti, Viani, Tozzi, Borra, Remo Brindisi, Romagnoli, il romantico ottantenne Bernasconi, Vellani-Marchi, De Grada, Sonetti, Primo Conti, Dario Paolucci, Sbarbaro, Verzetti, Spizzico, Leonetto CecchiPieraccini, Borsato, De Amicis, Striccoli... Ma il lettore è sazio di nomi, che forse poco rievocano alla sua memoria. Eppur bisogna aggiungere, per le piccole mostre postume, quelli — tutti rispettabilissimi — di Francesco Perotti, Breveglieri, Boriila, Simiero, Graziosi, Frisia, Scattala. In disparte sta Morlotti, dal quale — giunto a un grado di eccellente mattazione del colore — si aspetta uno sforzo che finalmente lo porti ad una rappresentazione vitale, fuori dall' esercizio stilistico. E la scultura vorrebbe un lungo discorso perchè è forse l'aspetto più interessante della Quadriennale: e richiederebbe varie domande. A Mascherini, se non s'accorge che la sua stilizzazione attuale è in disaccordo con il suo temperamento (ricordiamo gli stupendi suoi bronzetti di vent'anni fa); a Greco, se non pensa che, quando si sa definire così gustosamente dei volti e dei caratteri, il suo « Pinocchio » sia sbagliato in partenza, per smania di estro, di originalità; a Minguzzi, se non s'avvede che il gioco di sfruttare le canne di fusione è un piccolo intelligente trucco da abbandonare dopo un paio di prove, e che la sua eccitazione tutta epidermica finisce col saziare, come cer¬ te sue troppo scoperte sforzature stilistiche. A questa irritazione della sensibilità, quasi talvolta si preferisce la modesta pacatezza di un Oscar Gallo, come si preferiva il severo artigianato di Ruggeri. Ma a Manzù non c'è da domandare nulla, perchè i suoi tre nudi sono tre capolavori e la « Grande danzatrice» è l'opera più alta, dei viventi espositori, della Quadriennale. Comunque, da Fabbri a Quinto Martini, da Broggini a Crocetti, da Morellini a Morescalchi, da ScorzelU a Venduti, da Maine a Guerrisi, da Drei a Grisetti, da Fanzini a Biancini, da Tizzano ad Enrico Martini la scultura porta — come pure il bianco e nero, da Zancanaro a Ciarrocchi a Gulino, e con la postuma di Gino Bozzetti — un ottimo contributo al tono della mostra. Il nucleo storico della quale è costituito dalla antologia che muove dal futurismo di Balla, Boccioni, Corrà, Soffici, e documenta U ventennio 1910-1930. Volere o no, i < maestri », vivi o morti, qui radunati sono i padri, i fautori, e in parte i responsabili di quanto avvenne dopo. Coi quattro citati, ecco Rosai, Severini, Gino Rossi, Sironi, Modigliani, Morandi, De Chirico, Metti, Campigli, De Piste, Spadini, Semeghini, Tosi, Guidi, Casorati, Arturo Martini, Viani. Artisti insigni, due o tre davvero grandi. E come dipingevano, come modellavano allori! Alcuni di essi non toccarono più quei vertici; e Martini, con le sue tarde teorie sbagliate sulla scultura, anche se fosse vissuto, non avrebbe più rifatto nè la < Pisana > nè la « Donna al sole ». Effetto dei tempi, pur questi sbagliati. Maestri, ma parecchi spesso incerti nelle loro direzioni, proclamate e rinnegate in così breve giro di anni. E quanto chiasso per piccole idee: basti a confermarlo questo bronzo di Boccioni intitolato « Dinamismo di una bottiglia », cioè una stupidaggine degna di «Dada». Ma non sappiamo immaginare uno Spadini che per un'ideuzza rinnega se stesso, cambia strada, annaspa, e poi diventa celebre perchè dopo aver sragionato, ritorna a ragionare. Crisi detta ragione: ecco in sintesi il perchè di molte cose che si vedono adesso, nuove nuove, alla Quadriennale. Marziano Bernardi