Problemi universitari di Paolo Serini

Problemi universitari Problemi universitari Necessità di un corpo di assistenti adeguato al numero crescente degli studenti - Oggi hanno retribuzioni che partono da 5 mila lire al mese e raggiungono un massimo di 70 mila dopo molti anni di carriera - Il "numerus clausus,, anche nei nostri Atenei? Fra i problemi dell'Università italiana che Luigi Caiani ha discussi e approfonditi in una raccolta di saggi pubblicata sotto questo titolo nelle Edizioni di Comunità, tiene il primo posto quello degli assistenti. E s'intende perché. Oggi l'insegnamento universitario sta subendo in tutti i Paesi una profonda trasformazione strutturale e funzionale, per cui esso va sempre più perdendo il suo antico carattere accademico e la sua efficacia appare sempre più legata alla presenza, accanto ai professori di cattedra, di un corpo di assistenti, incaricati (oltre che di coadiuvare i professori nell'insegnamento e nella ricerca, nelle esercitazioni e negli esami) di aiutare e di guidare nel loro lavoro gli studenti; e di concorrere così a realizzare quella collaborazione e quel dialogo tra maestri e scolari che costituiscono la prima condizione d'un insegnamento attivo e concreto. Utilissimi in tutte le Facoltà, essi adempiono Una funzione di speciale importanza, e di grande impegno, nella Facoltà di Medicina e in quelle scientifiche : dove il progresso della ricerca si fonda sul cosiddetto lavoro di équipe, per cui intorno a un direttore operano vari collaboratori, ciascuno con mansioni specifiche. D'altro canto, è tra gli assistenti che si reclutano in crescente misura, specie in queste ultime Facoltà, i futuri professori universitari: sicché il problema dell'assistentato coincide, in larga parte, con quello, più generale, della formazione dei quadri del l'insegnamento superiore e del lavoro scientifico. Ora, nelle nostre Università, gli assistenti sono tuttora in numero insufficiente: uno ogni settanta studenti, mentre ne occorrerebbero per-lo meno in ragione di uno ogni venti o trenta studenti, a seconda delle diverse discipline e delle diverse Facoltà. E non possiedono ancora una posizione giuridica ed economica adeguata all'importanza delle loro funzioni e tale da attirare alla carriera universitaria — lunga, difficile e costosa — i giovani meglio dotati. Basti pensare che le loro retribuzioni vanno da un minimo di cinque o diecimila lire al mese (e, nei casi più fortunati, di venticinquemila) a un massimo, raggiungibile solo dopo molti anni e il conseguimento della libera docenza, di settantamila; e che la legge non riconosce loro la qualifica d'insegnanti e non garantisce alla maggior parte di essi la stabilità dell'ufficio. Ma la situazione degli assistenti è solo un aspetto dell'« anacronistica struttura » e del « difettoso funzionamento » delle nostre Università: prive di adeguati mezzi didattici e tecnici (basti pensare che' — come rilevava nella sua recente relazione sul bilancio della P. I. l'on. Vischia — « per biblioteche, istituti universitari e sovvenzioni agli alti studi e alla ricerca lo Stato destina in totale solo il tre per oento del bilancio della pubblica istruzione e lo 0,3 per cento della spesa pubblica») e tuttora dominate da una tradizione accademica (avente la sua tipica espressione nelle lezioni-conferenza) che rappresenta un indubbio ostacolo alla realizzazione delle condizioni necessarie a quei più attivi rapporti di collaborazione fra professori e studenti- e a quei nuovi sistemi collegiali di lavoro e di ricerca che vanno sempre- più imponendosi negl'istituti superiori degli altri paesi. Fra tali condizioni il Caiani pone un « ridimensionamento » delle nostre Università che valga a ristabilirvi quell'equilibrio fra il numero degli studenti ed il personale e i mezzi di cui esse dispongono (e possono disporre), che è stato sconvolto dal sovraffollamento studentesco verificatosi nell'ultimo quindicennio: con gravi conseguenze non solo di carattere didattico e culturale (si pensi che gl'istituti e le cliniche delle nostre Facoltà mediche hanno attrezzature capaci di permettere un insegnamento efficace solo a un quinto degl'iscritti), ma anche di carattere sociale (pletora di laureati, disoccupazione intellettuale, ecc.). E, poiché non è certo possibile quintuplicare il numero dei professori e sestuplicare quello degli assistenti né sperabile che i mezzi didattici veneano aumentati nella misura indispensabile (ed esiste, d'altro lato, uno squilibrio tra il numero dei laureati e le obiettive necessità del paese), il Caiani ritiene che, per risolvere il problema, non resti in defi¬ ndsdprnrsotticapddalpqea nitiva altra via che quella d'introdurre anche nelle nostre Università il sistema del « numerus clausus ». A questa conclusione egli perviene attraverso una serrata disamina delle ragioni prò e contro tale misura (che su queste colonne sono state sostenute, con oarticolare autorità, rispettivamente dal prof. Dogliotti e dal prof. De Castro), in cui non ci sembra però che siano state prese in adeguata considerazione le possibilità d'un rinvigorimento qualitativo degli studi universitari che li liberi dal peso morto degl'inetti alla caccia d'un diploi-ia : nè la difficoltà di risolvere il problema senza modificare quelle condizioni economiche e sociali (e quel complesso |V\U11 i 11111111111 ■ 111111M i ri 111 1111111111 i 11111 ■ 1111 |V' abitudini e di credenze) \aA stanno, in parte1, alla sua origine. Ccnunque, egìi riconosce l'impjssibilità di ricorrere a simile misura finché il nostro sistema scolastico sia organizzato com'è attualmente. E la necessità d'inquadrarla organicamente, come punto d'arrivo, in una più ampia riforma dell'istruzione secondaria che valga a sviluppare le scuole professionali e tecniche rispetto a quelle umanistiche; e che sia accompagnata da una nuova disciplina dei diplomi di laurea che metta finalmente rimedio all'attuale assurda richiesta d'un titolo accademico per ogni tipo di ufficio o d'impiego. Paolo Serini 111 ■ Il 111M1111111111111111 i 1111 r i il 1111111111 II 1111 ■■ 1111111

Persone citate: Caiani, De Castro, Dogliotti, Luigi Caiani