Al limite della rottura

Al limite della rottura Al limite della rottura In questi ultimi giorni egregi pubblicisti e uomini politici hanno fermato la loro attenzione sui pericoli di inflazione con articoli e discorsi molto cauti. Chi invece ha parlato chiaramente e in poche parole ha sintetizzato l'attuale situazione finanziaria è stato Fon. Pella nel suo recente discorso a Verona. Ha riconosciuto che il costo della vita è un problema grave perchè esso ha superato la quota 60 rispetto al 1938, portandoci così vicini al « limite di rottura ». Si potrebbe aggiungere che il problema diventa sempre più grave perchè non vi è alcun indizio che il ritmo di aumento debba cessare o diminuire. Ragione di giustizia mi fa obbligo di notare che, mentre concordo perfettamente nella diagnosi dell'oggi con Fon. Pella, sarebbe suprema ingiustizia farne colpa ai suoi successori. L'on. Pella ne è il maggiore responsabile col suo ostinato e infondato ottimismo fino a ieri mantenuto e riaffermato contro tutte le evidenze, ed ancora oggi non del tutto scomparso, come è provato da un suo recente articolo a proposito del prestito 1964, in cui si dice testualmente: « Ogni qualvolta si emette un prestito si contrae un prave impegno morale coi mondo dei risparmiatori: quello di rimborsarlo a scadenza in moneta avente la stessa capacità di acauisto. Guai a chi, governante o privato, tradisce la fiducia del piccolo e del medio risparmiatore che consegna allo Stato il frutto dei suoi attuali sacrifici sopportati per la garanzia del suo domani ». Se l'on. Pella non fa radicale ammenda su questo punto, tutto il buono e l'ottimo del citato discorso non ha più ragione di essere, perchè parte dal presupposto che oggi la lira abbia conservato la stessa capacità di acquisto. Se così fosse tutti 1 problemi più gravi .avrete bero facile soluzione. **" Se la lira conserva il suo potere di acquisto, se è vicino il pareggio del bilancio, come il Pella ha annunziato al Senato, il costo della vita rimane costante, e con ciò tutte le agitazioni rimandate. Non è mancato chi ha avvertito Fon. Pella di essere su falsa strada.1 Già fin dal 1952, in un discorso al Senato che fu raccolto in un opuscolo intitolato precisamente Le cause dell'inflazione, ricordavo il peggioramento della situazione finanziaria: il cui aspetto più grave era dato dall'andamento verso il peggio senza che si avvertissero segni di rettifica; e osservavo che, nonostante il sovraccarico finanziario già rapidamente prodottosi, incombeva sempre sul Paese una massa di problemi imponente ed allarmante. Aggiungevo che tanti debiti statali rodevano il valore di acquisto della mo' neta. Se c'è inflazione claS' sica quando occorrono per esempio mille e duecento lire per avere beni e servizi che prima si potevano avere con mille, nella realtà vi è anche inflazione quando per le stesse mille lire si ottiene il venti per cento in meno degli stessi beni e degli stessi servizi Ammonivo anche, nel citato discorso, che sarebbe continuato l'aumento del costo della vita in tutti i rami e ne facevo un lungo elenco. Quanto è accaduto negli ultimi tre anni, cioè dal 6 giugno 1952, al novembre 1955, ha confermato pienamente le mie facilissime pre visioni. Alle quali allora Fon. Pella mi ha fatto l'onore di un breve commento: discorso malinconico. Oggi le conseguenze della sua allegria le abbiamo sotto gli occhi. Il costo della vita è aumenta to con un ritmo costante del due o tre per cento al l'anno. Di qui le numerose agitazioni, si può dire di tutte le classi e categorie sociali, magistrati, statali, operai, ecc. Gli stipendi in pochi anni son diminuiti perchè la capacità della lira non è più quella di cinque anni fa: anche i più fermi difensori della finanza sta tale non si nascondono la legittimità delle richieste di aumento. Non saremmo oggi vicini al limite della rottura se l'on. Pella avesse parla to alla Nazione come oggi parla il ministro Gava in due discorsi dinanzi al Par lamento, dove si nota il prògressivo irrigidimento del bilancio statale « a cagione della limitata capacità di espansione delle entrate e delle difficoltà di ridurre le sdpcdpplmclfmpdscrlvvsumn i n i a e i a i n e e spese fisse che tendono a diventare una parte sempre più prevalente degli oneri complessivi. L'inelasticità delle entrate, quanto gran parte delle spese, fa sorgere per il bilancio il pericolo di lacerazione ». Parole gravi, ma degne di un ministro che sente il dovere di dire la verità al Paese. Così si fosse fatto nel passato ! Ciò premesso, con quali mezzi si può fare fronte al pericolo? Forse le provvidenze finanziarie che vanno sotto l'eufemismo di ritocchi? Parmi potere affermare che questa Via ci è assolutamente preclusa nell'avvenire. I giornali governativi hanno osservato che le poche lire di aumento sul sale e sul caffè non segnano un peso insopportabile. Ma dimenticano i ripetuti aumenti sugli stessi generi di consumo. Non vorrei capitasse quello che accadde a quel proprietario di un asino che aggiungeva ogni giorno all'animale qualche peso, finché l'asino stramazzò a terra con grande meraviglia del padrone, il quale non riuscì mai a capire come ciò fosse accaduto : l'asino aveva sopportato pesi maggiori ed adesso era a terra per qualche semnlice ritocco ». Ora è urgente, assolutamente urgente, impedire la rottura, come dice l'on. Pel la, la lacerazione del bilan ciò, come ha ammonito il ministro Gava, che avreb be conseguenze fatali. Urgentissimo perciò il preciso dovere di provvedere. E' noto che il nostro bilancio è in deficit non solo nel pre sente, ma purtroppo anche nel futuro. Inoltre un bilancio che non ha il più piccolo avanzo per quelle spese che si chiamano straordinarie soltanto perchè non si ripetono nella stes sa forma, ma che in realtà sono ordinarie perchè ogni Nazione ha gli imprevisti, è un bilancio potenzialmente in disordine. Ri durre te spesa, Vigilare la spesa? Ottimo consiglio ma nella pratica nullo. Anch'io ho nutrito questa illusione. Ho scritto proprio in questo giornale articoli suggerendo la scure, ma la scure cadde senza avere tagliato un filo. Ho proposto — ed è l'unico rimedio effi cace, come già l'on. Giolitti nel 1921 — i pieni poteri per effettuare la riforma bu rocraticà, resa necessaria per le condizioni del bilancio, per l'enorme numero di impiegati di istituti inutili, per la convenienza di dare maggiore efficacia e più sicuro indirizzo a molti servizi pubblici. A fare ciò, diceva l'onorevole Giolitti, «ritengo indispensabile i pieni poteri, unico mezzo per superare la resistenza degli interessi di classe degli impiegati e degli interessi locali ai quali i deputati difficilmente possono resistere e che uniti nella resistenza creano nella situazione parlamentare difficoltà invincibili. Io comprendo perfettamente che il Ministero quando avesse compiuto seriamente tale opera avrebbe dovuto lasciare il potere con molte maledizioni di interessi privati offesi, ma convinto di rendere un servizio al Paese. Ero deciso ad affrontare così grave responsabilità. Però in Quei giorni la direzione del Partito popolare aveva deciso di negare al Ministero i pieni poteri. Ora, senza il voto dei deputati vopolari, il disegno di legge non poteva essere approvato, e senza i pieni poteri una riforma seria era, a mio avviso, impossibile ». Oggi la situazione è molto più grave che nel 1921 e coi palliativi non si rimette sulla via buona la finanza statale. Occorrono precisamente i pieni poteri affidati ad un comitato composto di poche persone animate da amor patrio e con sufficiente preparazione sia intellettuale che morale. Primo suo compito dovrebbe esser quello di mutare il rapporto fra imposte indirette e dirette. Mutazione che è imposta dal fatto che le indirette non possono più essere aggravate, anzi è necessario sgravarle. Bisogna imitare le nazioni più conservatrici, avvicinarsi al sistema inglese col quale si potrebbero teoricamente ricavare 900 miliardi, ma basterebbero 400. In Italia i Brusadelli sono migliaia, ma più furbi di lui; e non sono soltanto i miliardari che non pagano le imposte in rapporto alla loro rie- cgcldlsagnvEmdlgmfDa chezza, ma anche altre migliaia di contribuenti. Inoltre, se non ci si mette colla massima energia, sulla via di sostanziali provvedimenti, sarebbe vano parlare di riforme sociali. Lo stesso piano Vanoni, che applicato può ridare il sangue all'anemica nostra economia, troverà intoppi gravi per penuria di fondi. E quel che è peggio, la minaccia della lacerazione del bilancio: in altre parole, l'inflazione. La Germania è guarita da questa terribile malattia. Avrà 'la stessa forza il nostro Paese? a. f.

Luoghi citati: Germania, Italia, Verona