Come I'America risolverebbe il problema dei profughi arabi di Nicola Adelfi

Come I'America risolverebbe il problema dei profughi arabi LA POSSIBILE SALVEZZA DA UNA SITUAZIONE QUASI DISPERATA Come I'America risolverebbe il problema dei profughi arabi Sono circa un milione, vivono miseramente, nell'ozio, assistiti dall'UNRRA - Gli israeliani non li vogliono più in Palestina - Gli egiziani vorrebbero invece che vi ritornassero da padroni - Finché la piaga è aperta nessuno può parlare di pace - La soluzione americana consisterebbe nel restituire all'agricoltura le terre deserte del Medio Oriente ed al lavoro quelle braccia inerti (Dal nostro Inviato speciale) | Gerusalemme, novembre. Se da qualche giorno israeliani ed egiziani hanno cessato di spararsi, e le bianche jeeps della commissione d'armistizio corrono come colombe spaurite nella terra di nessuno invocando la pace, di qua e di là dalle linee gli scontri degli ultimi due mesi sono considerati come un annuncio della guerra che verrà. L'armistizio dura illIIIIIIIlllIllitlItlIllllllItlItllIIIIIIIIIIItllllllllllIl | da sette anni, ma più passa il tempo e più i problemi diventano irti di spine. Dai giorni della sconfitta, gli arabi non fanno che ripetere: « Abbiamo perso il primo round, il combattimento continua >. Non vogliono sentir parlare di pace e nemmeno di distensione, bai punto di vista psicologico, l'atteggiamento si spiega: i Paesi arabi hanno avuto l'indipendenza da po- llllllltItlIlllllllIllllllllllllllllllMllllllllllllllIllS chi anni, e vivono in preda a un vero furore di nazionalismo, non possono ammettere di essere stati battuti definitivamente da un piccolo popolo. Sono certi che fu il tradimento, la disunione e una congiura dei popoli occidentali a farli indietreggiare nella guerra del '48 e che presto, prestissimo, getteranno gli ebrei nel Mediterraneo: gli arabi non hanno la minima esitazione nel giudicarsi valorosissimi. Quanto agli ebrei vivono nei ricordi di un'epopea eroica, pensano di poterla rinnovare in qualsiasi momento, passano i giorni col moschetto a portata di mano, i ragazzi di ieri anelano ad avere la loro parte di gloria. Estremo è il loro affetto per la patria ritrovata dopo duemila anni. Non sono disposti a concedere gran che, per amore della pace, ai 50 milioni di arabi che li assediano da ogni parte. Qualche tempo fa, davanti al Consiglio di sicurezza, David Ben Gurion gridò: « Non vogliamo perdere al tavolo della pace quel che prendemmo sui campi di battaglia ». Frontiere illogiche Sono dunque le passioni a muovere gli uni contro gli altri, e la ragione è quasi sempre posta al servizio dì esse. Nell'indiretto colloquio fra arabi ed ebrei emergono ragionamenti sottili, argomentazioni acute ed astute, ma dietro c'è sempre la grande molla delle passioni. Per gli occidentali, per gli americani soprattutto, è difficile raccapezzarsi, capire da quale parte sia la ragione, fino a qual punto la logica possa prevalere sui violenti moti del cuore. Perciò propongono soluzioni ragionevoli, compromessi accettabili da tutt'e due le parti, avanzano offerte vantaggiose; le trattative sembrano procedere favorevolmente, gli ostacoli via via diminuiscono, ma quando si arriva all'ultimo punto, al momento di tirar le somme, ecco che saltano fuori le passioni a lacerare la lunga, paziente tela. Fino a qual punto la situazione sia disperata, lo dice la questione dei profughi: riassume la sottigliezza orientale, lo spirito levantino, la spietatezza della passioni. E' il compendio più preciso di questo Medio Oriente che non vuole o non riesce ad adagiarsi nella pace, rende i problemi estremamente complicati, ha sempre sulle labbra e ancor di più nella mente la parola bukkra, domani. Nessuno può prevedere quando^ arriverà questo domani per i profughi, le vere, le più tragiche vittime della guerra fra arabi ed ebrei; è solo possibile dire in mezzo a quali traffici e contrasti essi si sono venuti a trovare, senza speranza quasi di uscirne mai più. Sono circa un milione, e vivevano nelle loro case, nei loro poderi, presso le loro moschee, nella terra della Palestina. Non avevano certo un' esistenza prospera, ma forse non era peggiore di quella di tutti gli altri ara j bi del Medio Oriente. Alla fine della prima guerra mondiale, gli arabi in Palestina erano 650 mila, gli ebrei 50 mila. Oggi le cifre sono queste: gli ebrei sono un milione 600 mila e posseggono quasi tutte le terre comprate agli arabi ad altissimo prezzo; gli arabi sono S50 mila. L'esodo di un milione di arabi avvenne intorno al 1948, l'anno della guerra. Nessuna indagine è riuscita mai ad accertare le esatte responsabilità. Affermano gli arabi che furono gli ebrei a gettarsi come iene contro {e pacifiche popolazioni arabe, a diffondere il terrore, a costringere i mussulmani a trovare salvezza fuori della Palestina; e citano l'esempio del massacro di Deir Yassin. GU ebrei sostengono invece che furono i capi arabi, soprattutto il Muftì di Gerusalemme con i suoi proclami, a spingere gli arabi alla fuga. I governi erano sicuri che la guerra contro Israele sarebbe durata pochi giorni, al massimo due settimane, e ingiunsero agli arabi della Palestina di fare il vuoto intorno agli ebrei: sarebbero tornati nel solco aperto dalle armate vittoriose. Un fatto è certo: scapparono quasi tutti, in pochi giorni, portandosi appresso solo qualche indumento, un po' di cibo. Quel gran torrente di creature cenciose e terrorizzate si fermò solo quando riuscì a mettersi alle spalle delle armate amiche, e ne seguiva i passi avanti e indietro per poter al più presto tornare in possesso delle cose abbandonate. Quel che accadde in seguito fra gli eserciti nemici fu un « cessate il fuoco » più che un vero armistizio, i confini divennero le posizioni occupate dai soldati. Sono perciò le più capricciose frontiere che possano immaginarsi, la logica e la natura dei luoghi sono state brutalmente accantonate: di qua è un paese, di là iZ cimitero, la casa colonica appartiene alla Giordania, ma il campicello è in territorio israeliano, talora città e villaggi sono spaccati in due parti, e le sentinelle vigilano in armi. iuiiiiiiiiiiiiitiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii» Dietro questi confini assurdi i profughi alzarono dimore di fortuna, con cenci, pelli, pez- zi di latta o di legno, pietre, Tanto, pensavano, si tratta solo di qualche giorno o set- Umana; presto torneremo a casa. Sono trascorsi sette an- ni e tuttora aspettano il gior- no del ritorno. Ho visto molti campi di profughi dal Libano ai con- fini meridionali della Gior- dania: sono una sessantina, alcuni contengono poche cen- tinaia di persone, altri inve- ce occupano grandi estensio- ni, raccolgono più di 20 mila profughi. A prima vi- sta, l'incontro con uno di questi campi non è uno spettacolo più triste di molti altri che si offrono al viaggiatore europeo da queste parti, nelle campagne e nelle città: è la miseria allo stato cronico. Ospiti interessati Ma si tratta solo d'una prima e fallace illusione: più vi avvicinate agli esuli, più diretto diventa il contatto con la vita del campo, e più voi avete la sensazione di scrutare in un pozzo buio, di cui non si veda il fondo. I profughi ricevono dall'UNBBA 1521 calorie d'estate, 159S di inverno, e da sette anni non fanno niente: stanno distesi fra le dune al sole, aspettano che giunga la notte. Da sette anni è così, e hanno perduto la speranza che un giorno possa cambiare. I paesi che U ospitano (ce ne sono poco meno di mezzo milione nella Giordania, oltre 200 mila nella regione di Gaza controllata dall'Egitto, 110 mila nel Libano, 90 mila nella Siria) non permettono loro di lavorare, talvolta nemmeno di trasferirsi altrove. Si sa quel che avviene all'ospite quando sta in casa d'altri più di tre giorni; nei primi tempi, l'euforia della prossima, certa vittoria, il patriottismo, la pietà e il sentimento della fratellanza mussulmana fecero si che i profughi della Palestina, fossero accolti dappertutto con le braccia aperte: oggi tutti hanno lasciaio cadere le braccia e voltato le spalle ai palestinesi. In alcuni casi non potrebbero fare diversamente. Prendete la Giordania: con una popolazione di 800 mila persone e scarso risorse, come potrebbe assorbire e sistemare sul suo territorio mezzo milione di stranieri t La situazione si presenta oggi così : i profughi non possono abbandonare i miseri loro campi nè lo vogliono: temono, una volta usciti dalle liste dell'UNBRA, di restare abbandonati a se stessi, di non poter mai più ricevere le calorie necessarie per vivere. / paesi ospitanti, da parte Jo ro, non possono assorbire i profughi nò lo desiderano: oggi fanno larghi profitti grazie alle somme spese sul posto dall'UNRRA e dagli altri enti internazionali: si tratta di decine di miliardi, E quel che più conta, in va uta pregiata, dollari. C'è poi l'interesse politico: finché il problema dei profughi reste rà insoluto, nessuno dei pae si arabi potrà considerare chiusi i conti con Israele. Il secondo round diventa una logica, inevitabile fatalità, Da parte sua, il governo di Israele è fermo su posizioni intransigenti. Dice agli arabi: < Voi avete creato questo problema e voi dovete risolverlo'*. Inoltre, se negli ultimi sette «Mini i Paesi arabi hanno camminato con passo di formica, invischiati nel fiele della sconfitta, gli israeliani hanno corso con gli stivali delle sette leghe. La loro popolazione è raddoppiata, il Paese si è dato un'economia di :ipo socialista, si è imposto un regime di austerità, ha sostituito il cam- mell° con '« macchina:, gli arabi, se potessero tornare alle loro terre, verrebbero a trovarsi in un Paese straniero, fra gente diversa, in una civiltà distante molti secoli. Se dunque per gli arabi l'unica soluzione sta nel ritorno dei profughi in Palestina, e se questo gli ebrei non lo consentiranno mai, tutti ì discorsi fatti dagli americani sembrano destinati all'insuccesao. Dicono gli americani che una soluzione c'è, non è la guerra, ma si basa sulla ragione. Consiste nel restituire all'agricoltura le immense aree del Medio Oriente oggi incolte mediante opere irrigue. L'acqua non manca nei grandi fiumi di quel piccolo continente, la terra abbonda, i profughi darebbero le braccia, gli americani i capitali necessari alle trasformazioni fondiarie. Il problema dei profughi si risolverebbe nel giro di pochissimi anni, in tutto il Medio Oriente il tenore di vita farebbe un gran balzo in avanti, la pace con Israele diventerebbe possibile. Nessuno però nel Medio Oriente presta un orecchio attento a queste proposte americane. Nei Parlamenti e sui giornali arabi è stato continuamente ribadito che, finché la piaga dei profugM resterà aperta, nessuno potrà azzardarsi a parlare di pace. Tre anni fa il più esplicito di tutti fu il Ministro degli Esteri egiziano. Disse: « Che lo si sappia bene: esigendo il ritorno dei profughi nella Palestina, gli arabi vogliono che essi ridiventino i padroni della loro patria. Per essere ancora più chiari, gli arabi hanno il proposito di distruggere lo Stato d'Israele ». Nicola Adelfi

Persone citate: David Ben Gurion, Yassin