Bisogna educare il pubblico ad un sano spirito sportivo

Bisogna educare il pubblico ad un sano spirito sportivo Ki9 insegnamento che scaturisce dagli incidenti di Napoli Bisogna educare il pubblico ad un sano spirito sportivo Lo folla non conosce il regolamento di gioco e vagisce secondo il suo istinto ■ Al Vomero hanno perso la testa un po' tutti - Lo spettatore non deve essere lasciato ai suoi impulsi, ma è necessario correggerlo e guidarlo Avremmo davvero fatto volentieri a meno di ritornare sulla questione dei fattacci calcistici, se non fosse per il richiamo che in forma imperativa esercitano dall'alto gli avvenimenti. La questione è « vexata » come e quanto di più non si potrebbe. Tanto che il dissertarne quasi non aiuterebbe più la causa di chi volesse dimostrarne la esistenza. Il fato, grande regista, si e divertito a far passare sullo schermo della curiosità pubblica, ìiel volgere di questi ultimi mesi, una selezione di cose e di fatti dell'ambiente calcistico, che hanno detto in proposito tutto quello che si poteva e doveva dire. Ci ha messo sotto gli occhi un paio di risultati di partite effettivamente comperati, il caso di un arbitro effettivamente venduto, e quello di vn altro funzionario che ha dovuto abbandonare la carica, piena i-i responsabilità, per la stessa ragione per cui certi cittadini chiamati alle armi non possono rivestire la divisa di ufficiali, ci ha spiattellato nella sua forma più spudorata e quasi divertente il camuffamento di certi « oriundi >, ed ora ci ha fornito lo spettacolo di una invasione del campo di una grandiosità tale come avvenuta mai nel nostro paese, su vasta scala, con feriti, con spari e con tutte le conseguenze facili ad immaginare. Un film, che può benissimo stare senza commento. Senonchè i commenti, in tutti i sensi, si sono subito scatenati a valanga. E se qualcuno fra essi è redatto in termini che sono più gravi ancora dei fatti avvenuti, diversi portano la questione su un piano che non può affatto essere accettato. Che esista, nel nostro paese, una questione nord-sud, è cosa che tutti samio. Ma che per un fatto anche grave, anche gravissimo avvenuto in una città, si tenti di coinvolgere la città stessa tutta, insultando il nome suo e quello dei suoi abitanti, non è cosa che porti un contributo alla soluzione del problema: è uno sfogo impulsino e stupido, che non ha fondamento vero, e che aggrava, estende, non risolve. Chi redige questo commento, ha passato lunghi anni della vita sua all'estero e ricorda il male che facevano al suo cuore, le espressioni di prammatica « vedete come sono gli ita lianily, ogni volta che un. compatriota nostro ne faceva una grossa. E' sempre cosa facile, e gratuita, il generalizzare. Nessuno pensa per esempio di insozzare Londra con epiteti disonoranti, -perchè è la città dal maggior numero di delitti sessuali, in questo momento. Per conto nostro, noi continueremo <i stimare ed a rispettare i buoni amici che abbiamo a Napoli — anche dopo la visita fatta dalla squadra del Bologna al Vomero. Ma, nello stesso tempo, non si possono leggere senza sorpresa e riluttanza, le dichiarazioni, che suonano ad apologia di quello che è pur sempre un reato. Non si può sposare la causa di chi grida, in parole povere ma altisonanti, che < adesso che abbiamo espresso coi Jatti la nostra indignazione, speriamo ci venga fatta finalmente giustizia >. E' questo un pessimo modo di sostenere la causa di chi si vuole salvare o difendere. E' una tesi, questa, che giustifica la violenza, la vuole far premiare e quasi in cita ad essa. E' una tesi che va respinta con un pacato e paterno invito a pensare a quello che si vuole dire, prima di parlare. Mettiamo le cose a posto. Di invasioni dei campi di giuoco, se ne sono avute tante da noi, e fuori dei nostri confini. Questa di Napoli, è stata molto più grave e più sanguinosa di tutte le altre: d'accordo. Forse perchè, nell'occasione, hanno perso la testa un po' tutti. Ma la causa determinante, almeno ' quel¬ volere il « rigore » dell'ultimo minuto — non è una esclusiva della mentalità napoletana. La stagione scorsa ci fu un tizio in un centro dell'Italia Settentrionale, che ci « voleva convincere che è una disonestà* da parte dell'arbitro, il concedere un rigore all'ultimo minuto di una partita, E perchè? Perchè la squadra che lo subisce non ha più tempo per reagire, rispondeva l'interessato, vero interessato. No, signori tifosi. Non esistono minuti di franchigia, in un incontro, non si concedono periodi in cui, per umanità, sensibilità od offro, ognuno possa fare quello che gli pare e piace. Il regolar mento prescrive perfino che la punizione massima, se concessa, debba venire eseguita anche a tempo scaduto. Gli è che il pubblico nostro, in parte il regolamento non lo conosce, ed in parte finge di non conoscerlo — per poterlo applicare nel modo che maggiormente gli fa comodo: e tutti quanti, ignoranti delle norme e conoscitori delle medesime, si atteggiano a competenti ed a fini intenditori. So- in cui sanno volgere la legge a loro tornaconto. Si è creato per essi il termine di « tifosi », senza mandarli a letto come si fa per % colpiti dal tifo, senza isolarli, senza vaccinarli per impedire che infettino altri. Li si scusa con quel bel termine vago che è ala passione ». Ad essere spassionati nessuno insegna. Torna naturale qui la domanda, che non sdrammatizza ma pone il dito sulla piaga: che cosa si è mai fatto, da noi, per impedire che il pubblico che accorre agli spettacoli dello sport in genere e del calcio in specie, sia, come mentalità, come educazione, come comprensione, quello che et Nulla. Chi si è mai curato di spiegare al ragazzo, al contadino, all'operaio, all'aderente al movimento insomma, quale sia la natura — e quali i pericoli — della contesa alla quale egli va ad assistere. Nessuno. L'importante è sempre e soltanto stato il fatto che l'interessato passasse alla cassa e pagasse il diritto d'entrata: nicnt'altro. Gli scopi educativi, ricreativi, morali, oltre che tec¬ nici, del giuoco, si è atteso che fossero compresi che entrassero nel cuore e nel cervello degli interessati per iniziativa loro, seguendo chissà quali vie recondite. E lo spettatore, lasciato a sè, ha visto sul campo due schiere d'uomini l'una contro l'altra lanciata, la lotta gli ha toccato l'istinto, ed ha sùbito, e senza nulla più, parteggiato per coloro che difendevano i colori di casa: per « » nostri ». E così, noi, di sportivi ne abbiamo poco o punto. E cosi avviene quello che avviene. Non solo a Napoli — perchè noi assistiamo a lanci di cuscini, a violenze, ad intemperanze, a segni precursori di incidenti, quasi ogni domenica, anche altrove. Difficile, ' educarlo e guidarlo il pubblico, si risponde. Difficile, ma essenziale, indispensabile. Altrimenti non serve a nulla relegare gli spettatori in gabbie di ferro, tipo quelle che si usano per le belve feroci negli «.zoo-». Non ci si ferma davanti ad un compito, solo perchè difficile. Se ci si vuole fermare, non ci si stupisca allora di fatti inc07isulti o riprovevoli. Vittorio Pozzo

Persone citate: Vittorio Pozzo

Luoghi citati: Italia, Londra, Napoli