La girandola dei pranzi cinesi

La girandola dei pranzi cinesi —— VITA DI PECHINO, GIORNO PER GIORNO —— La girandola dei pranzi cinesi Al fornello di un antico ristorante mongolico i clienti cuociono le vivande secondo il proprio gusto-In che consiste veramente l'uso delle bacchette per mangiare - Il segreto dell'anatra arrosto: tonda, lucida e gonfia - Boccioli di bambù che si sciolgono in bocca, salse di vario colore, e lo "sciao scing,, vino tiepido che raspa la gola - E' una specie di balletto gastronomico; anche in questo, come in altri campi, la fantasia dei cinesi non ha frontiere (Dal nostro inviato speciale) Peohlno, novembre. La cucina cinese ha i suoi misteri. Alcuni amici giornalisti, che risiedono a Pechino, dicono che la mia iniziazione gastronomica deve cominciare in un antico ristorante mongolico. Non vogliono darmi altre spiegazioni. Mi è stato soltanto detto che in quell'antico ristorante da almeno tre secoli non sì è cambiato il fornello'. Ohe cosa poi sia questo fornello deve restare una sorpresa per me. Attraversando stradette che il buio fa quasi allucinanti, si raggiunge il luogo del convegno, non molto lontano dalla Torre del Tamburo, nella parte tartara della città. Il ristorante ha l'aspetto d'una nostra osteria di campagna diventata cordiale col passare del tempo; ed appena salgo in una stanza al primo piano, che ci è riseriiiiiiiitiiiiiiiiiiifiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiia vata, eccomi davanti al fornello. Sopra un tavolo rotondo, dove all'ingiro ed in piedi possono trovare posto dieci persone, troneggia una specie di forno ricoperto da una pietra spessa poco più di cinque centimetri o annerita dall'uso. Il fuoco, già acceso al nostro arrivo, rende la pietra scottante; e noi, all'impicdi, ci mettiamo al fornello avendo sottomano e disposti in numerosi piattini gli ingredienti necessari per cucinare. L'arte gastronomica cinese o mongolica che sia, non vuole mai imporre un determinato gusto alle vivande, ma lascia sempre al mangiatore la possibilità di variarlo secondo la propria fantasia. Nel caso di cui parlo vedo che ho davanti carne di montone e di bue; ed ho burro, lardo, cipolline, aglio, peperoncini tritati, erbe di cui non conosco il nome ed ancora molte spezie, salse, intingoli il cui profumo toglie il fiato; infine ho anche uova fresche. Tutti i piatti insieme Stando in piedi davanti al fornello ognuno prende quel che preferisce secondo un'alchimia personale. In una scodella mette pezzi di montone o di bue ed aggiunge quel che vuole scegliendo dalla tastiera degli ingredienti; si rimescola ben bene; ed a questo punto c'è un'altra sorpresa: quando ognuno ha mescolato la propria porzione, con un colpo deciso la versa dalla scodella sulla pietra del fornello. Là sopra, carne e ingredienti cuociono sotto l'occhio del cliente-cuoco; e sta al cliente-cuoco girarli e rigirarli con le due bacchettine d'avorio, che poi gli serviranno come posate, sino al momento che giudicherà giusto. Anche qua ■ognuno può scegliere e far cuocere molto o poco secondo i suoi gusti. Le varie porzioni friggono e fumigano sulla grande pietra e si ha un bel lavoro per tenerle raccolte, per riprendere il sugo che si sparpaglia, per rosolare da ogni parte la carne. Ad ogni modo ci si ingegna; e quando si considera ben cotto quel che ai dovrà man¬ llllllllllllItlllllIMlillllllllllllllttltllinilllilItlilll giare, lo st rimette nella scodella. E' il momento d'usare le bacchette ed è più facile di quanto non si pensi. La prima bacchetta va impugnata come fosse una lunga penna per scrivere; la seconda, che resterà al di sotto e parallela alla prima, la si appoggia sulla punta dell'anulare da una parte e dall'altra nell'incavo tra pollice ed indice. La pressione del pollice la terrà sempre ferma perchè le due bacchette devono lavorare come una tenaglia di cui soltanto una ganascia si muove. Qualche giorno dopo dovevo vedere da vicino prove più complicate. Viaggiando in mezzo ai cinesi, e vivendo con alcuni di loro, mi sono accorto che è difficile seguirli nelle loro abitudini gastronomiche. Di solito essi ordinano parecchi piatti e tutti arrivano contemporaneamente, dal primo all'ultimo. La tavola scompare coperta da quel vasellame; ed i miei occhi, insieme affascinati e diffidenti, rimangono fissi su enormi scodelle di riso, sopra grandi pesci naufraganti in salse dense come fango, su polli ridotti a minutaglia, su piatti di verdure indecifrabili, che sembrano colorate con l'anilina. I miei amici cinesi mangiano ora nell'uno ora nell'altro piatto, seguendo il capriccio del momento. E sono composti, silenziosi, tranne quando portano la scodella del riso davanti alle labbra e con le due bacchettine, nel piccolo forno della bocca aperta, introducono grumi appunto di riso; oppure tranne quando succhiano rumorosamente la minestra, il tè od il caffè e poi altrettanto rumorosamente soffiano per dire la loro soddisfazione. Questi erano pasti, dirò così, privati e veloci; poi ne venne uno quasi ufficiale e dt etichetta, ed è una specie di passaggio gastronomico obbligatorio: come non si va a Napoli senza mangiare gli spaghetti, così non si viene a Pechino senza assaggiare l'anatra. Per tale impresa, che mi riguarda da vicino, è stato scelto un locale « come si deve ». Si llllllIllllllllllllllItlIflIlllllllllllllllllIIItlllllllIIII i o n i o l i o » chiama l'Arco di Trionfo ed in un salottino (rimanere soli pare sia un segno d'eleganza), attorno ad una tavola rotonda, comincia il mio piccolo esame. L'ospite d'onore va sempre messo nel posto che è di fronte alla porta: era l'unica regola che conoscessi all'inizio di quel pasto. All'improvviso c'è il sopraggiungere degli antipasti, che può sembrare dettato dalla fantasia stessa dei camerieri: vengono ad uno ad uno e tutti, recando un piatto nuovo, cercano di metterlo sulla tavola spostando gli altri già serviti. / piatti arrivano e poi rimangono per la durata del pasto là sopra, sulla tavola, ed alla fine ci si trova davanti ad uno spettacolo di devastazione e di rovine, dedicato forse alla fame spenta degli ospiti. L'inizio di tale balletto gastronomico si accompagna con qualche bicchierino di bailan-di, un liquore forte,asprigno che scende nello stomaco lasciando un segno dove passa; ed anche si accompagna con un primo brindisi, al quale cento ancora seguiranno: in questo, come in altri campi, la fantasia dei cinesi non ha frontiere. Silenziosi i camerieri Il silenzio dei camerieri è sempre quello di una volta, cioè di prima della rivoluzione socialista. Come prestigiatori fanno comparire quei loro piattiJii, che poi lasciano nel mezzo della tavola e dai quali ognuno può prendere con le due bacchette a piacere: nervetti, pollo bollito tagliato a fettine, rognone che sembra diventato un rubino, maiale che pare affumicato, funghi ridotti a sassolini, bocci di bambù che si sciolgono in bocca, gamberetti e gamberoni avvolti in pellicole gelatinose ; e sopra ci versano salse di vario colore, una è agrodolce, un'altra è pepata, un'altra ancora è allappante. E intanto viene versato nei bicchieri un vino tiepido, che raspa la gola: lo sciao-scing. Piovono dall'alto altri piatti, come in una girandola. Adesso sono blocchetti bianchissimi d'u?ia pasta di pollo, sono fritture fredde mescolate a verdure; ed i conoscitori non prendono un boccone senza prima intingerlo in una salsa nera come la cioccolata o senza prima affondarli nel pepe. Il pasto cinese non ha il nostro ordine. Ignora la frutta; la minestra e il dolce possono comparire nel momento più impensato (almeno per noi). Il pasto cinese incalza con ritmo variante, ora veloce ora lento. Dopo l'ondata degli antipasti ci fu una battuta d'arresto; poi, sopra un tavolinetto, comparve (come dicono i francesi) le plat de résistance: l'anatra arrosto. La vedo grassa, lucida e tonda come un pallone gonfiato. E' molto giusto quel che ho scritto: infatti, durante la cottura nei forno, l'anatra è proprio gonfiata d'aria come un pallone e pare che in questo risieda il segreto per poterla cuocere in un certo modo. Essa, dunque, appare enorme, la pelle tesa e Ziscia come una lacca ben patinata. Appare, come ho detto, enorme ed anche un poco repellente. Ha preso una forma ovoidale, proprio sem- iiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii bra un grosso uovo dì Pasqua; ed anche dopo la cottura mantiene questa forma non più d'animale, ma di oggetto curioso. Ve la servono a fette, in ognuna delle quali deve esserci uguale quantità di pelle ben crostata e di carne; e bisogna mangiarla in un certo modo. Al mio fianco uno di quei camerieri ha deposto su un piattino una pila di sottili frittelle azzime. Ne prendo una, ci metto sopra un pezzo di anatra, un ritaglio di cipollina, un'ombra di salsa piccante (ma gli altri aggiungono cose non certo fatte per il mio stomaco); poi ripiego come se si trattasse di rinchiudere un medicinale in un'ostia o di fare un grosso cannolo; e servendomi delle matii me la mangio, come vedo fare dagli altri commensali. Simile piatto merita un elogio. Vari gusti, secchi e grassi, dolci e agri, screziati di venature piccanti s'alternano come tante sorprese. E me ne sarei venuto via felice se dopo, con quel che ai nostri occhi può sembrare disordine, non si fosse ripresa la girandola. Adesso non era più quella dei piatti, ma delle scodelle e scodelline. Vienr portata una minestra oleosa nella quale nuota la carcassa dell'anatra e dalla zuppiera ognuno pescò per riempire una piccola scodella; poi topraggiunse una pappa di nocciole ed intanto si versava l'indiavolato .ìciao-scing. Alla fine la tavola, che pure era vasta, appariva ricoperta da innumerevoli piatti, piattini, ciotole, bicchieri, tazze, bottiglie; e vedevo gli amici cinesi guardare soddisfatti quel caos di vasellame e di cibo rimasto. E' uno spettacolo che deve loro piacere per ragioni che non cerco nemmeno di scoprire o di interpretare. Ma un giorno, stanco di simili prone, domandai dove era possibile trovare un locale chi ricordasse qualche cosa di nostro. Mi indicarono il ristorante della Pace, in fondo al bazar più grande di Pechino. Vi andai e fu una serata triste. Da un altoparlante veniva una musichetta che pareva rievocare Budapest verso il 1925. Una musichetta languida che in quel locale deserto sembrava sottolineare quasi ironicamente un'agonia. La¬ sciai a; guardaroba il soprabito e mi dettero la contromarca sebbene fossi l'unico avventore. Mi portarono caviale, vodca cinese, pane tostato e burro, tutta roba buona. Ma era triste mangiare con quel ricordo di vecchia Europa, arenato fuori del tempo, in un angolo di Pechino. Il cameriere mi sorrideva e correva pronto ai miei comandi e non era silenzioso. Non capisco come possa sopravvivere un simile locale: a meno che non lo si tenga artificiosamente in piedi per dare la controprova che < certe vecchie cose > sono davvero finite. La musichetta languida sembrava proprio un'ironia. Cominciai di nuovo a desiderare l'anatra gonfiata d'aria come un pallone, il disordine delle tavole cinesi, il ritmo sorprendente dei pranzi pechinesi. Enrico Emanuellì

Persone citate: Tamburo

Luoghi citati: Budapest, Europa, Napoli, Pechino