Ricordo di Cajumi di Filippo Sacchi

Ricordo di Cajumi Ricordo di Cajumi Se un giornale è una famiglia, una vasta famiglia a cui appartengono anche tutti i lettori, c'è in questi giorni nella nostra un trigesimo da ricordare: quello di Arrigo Cajumi. Non per lui, naturalmente. Nemico delle cerimonie, mi par di vederlo sogguardarmi di traverso con i piccoli occhi divertiti e puntuti e dirmi: «Ma chi te lo fa fare? >. Ebbene, se lo facciamo non è per la solita sviolinatura postuma che si usa ai morti di riguardo. E' per il bisogno di considerare alla luce sedata della distanza, quello che il suo ricordo ha di positivo e di permanente per noi. E', se così si può. dire, il bisogno di ripassare la sua lezione. Cajumi ci ha insegnato tante cose: ognuna di quelle sue pagine dense, nervose, brillanti, ognuno di quei suoi frammenti concisi, .affilati, epigrammatici lasciava sempre, nei lettori (anche nei dissenzienti, anzi più ancora in questi, che negli altri) uno strascico di cognizioni rare e di dialettici fermenti. Ma forse la cosa più importante che ci ha insegnato, è la prodigiosa capacità dell'uomo ad arricchire il suo spirito e ad estendere la sua operosità. Sempre, sino all'ultimo, rimase un mistero per tutti coloro che gli furono amici, quella sua incredibile versatilità per cui, sapendolo capo di una grande industria, e non capo onorario ma scrupolosissimo amministratore, padrone della tecnica del suo ramo come di ogni dettaglio dei suol bilanci, e per la natura internazionale degli affari trattati chiamato continuamente a riunioni e negoziazioni anche fuori d'Italia, non c'era si può dire libro che uscisse, che dieci giorni dopo egli non l'avesse letto; e non soltanto letto, ma via via lungo la lettura spogliato dell'essenziale in quei foglietti dove in rapidi spunti fissava 1 motivi da cui uscivano poi quei pezzi giornalistici di prim'ordlne, quegli elzeviri esemplari per eleganza di stesura e mordente pensiero, quei saggi cosi ricchi di cose e di idee che il lettore beveva d'un flato. Non si potrebbe dare di lui ritratto più vivido di come apparve agli amici che passarono insieme con lui proprio la vigilia del colpo che doveva stroncarlo. Era stato appena a Roma. Si preparava a ripartire, per un incontro con l'alto commissario della CE. C.A, Daniel Mayer, il quale veniva a visitare una cokeria della sua società. Ma era tutto contento perchè era riuscito a preparare tre pezzi, un articolo su alcuni scrittori emiliani e romagnoli per La Stampa,' e per II Mondo di Roma la recensione di un enorme volume su Prévost-Paradol e uno dei suoi scanzonati pot-pourris. Cosi, diceva, ho la coscienza tranquilla. Per di più era felice perchè, da bibliofilo squisito e veneratore del nostro Risorgimento aveva trovato una rara edizione di un libretto profetico di Giuseppe Ferrari, «La Chine et l'Europei: e naturalmente lo aveva letto e ne discuteva. In viaggio si sarebbe portato poi il nuovo Boswell integrale appena uscito in Inghilterra. Scherzando sul suo ricevimento a Mayer gli amici dicevano: «Be' è la volta che anche tu dovrai metterti in tight>. «Io? Per farmi burlare dai miei operai? Fossi matto, vado così come mi hanno sempre visto >, e si toccava la impiegatizia giacca di bigio e ruvido panno. Senza dubbio a reggerlo in questa Bua multiforme attività, gli giovava il soccorso di una potente memoria e di una mente prontissima (ma chi immaginerebbe che prima di licenziarli, egli usava trascrivere i suoi articoli due, e persino tre volte?). Però il suo segreto è soprattutto la sua serietà di spirito, la dedizione al dovere, l'intransigente fedeltà con cui questo dichiarato « libertino > servì nel suo intimo e sino all'ultimo la ragione e il lavoro dell'uomo: il suo segreto e la sua lezione non scritta. Ma già sentiamo che questo elogio comincerebbe a rappresentare per lui una indelicata immissione nei suol affari privati. Facciamo dunque silenzio, poiché lo preferisce. Filippo Sacchi '

Persone citate: Arrigo Cajumi, Boswell, Cajumi, Daniel Mayer, Giuseppe Ferrari

Luoghi citati: Inghilterra, Italia, Roma