Il "santo dovere,, di massacrare in una propaganda d'odio e di follia di Nicola Adelfi

Il "santo dovere,, di massacrare in una propaganda d'odio e di follia TRA ARABI E ISRAELE GIORNI ARROVENTATI Il "santo dovere,, di massacrare in una propaganda d'odio e di follia F dai primi mesi del 1949, dice Ben Gurion, che viviamo alle porte della guerra: e questo non è vivere - Invito conciliante a Nasser e colpo di mano contro l'esercito egiziano - Grida di morte di una radio araba: "Preparati, Israele, spargi le tue lagrime,, - Eccessi program, matici del partito ebraico Herut - Il vecchio emiro di Transgiordania, Abdulla, era saggio, ma i fanatici del suo paese lo ammazzarono (Dal nostro inviato speciale) Gerusalemme, novembre. Se non si troverà un forte, energico rimedio, qui presto sarà la guerra. Israeliani ed egiziani stanno camminando incontro alla guerra da due mesi, e ora solo un deciso intervento dal di fuori potrebbe indurli a tornare indietro. Guardiamo i fatti. Fino a due mesi fa l'ordine « Cessate il fuoco » imposto dalle Nazioni Unite era rotto solo da colpi di moschetto, da qualche raffica di mitragliatrice o da infiltrazioni sporadiche da parte di bande armate. Fra il 22 e il 31 agosto gli olfatti più sensibili cominciarono a sentire odore di bruciato: le radio arabe parvero invase da un nuovo, subitaneo furore contro Israele, da parte degli ebrei quotidianamente venivano segnalati sconfinamenti egiziani fin quasi sotto Tel Aviv. Il computo delle vittime in quegli ultimi dieci giorni di agosto fu presentato dagli ebrei con le seguenti cifre: morti, dieci civili e tre militari; feriti, quindici militari e sei civili. Il 30 agosto il generale canadese Bdson Burns, che è capo della Commissione internazionale, per il rispetto dell'armistizio, chiese alle due parti di non sparare viù. Gli egiziani dissero di si, gli israeliani posero due condizioni. Non ottennero soddisfazione, e la notte del 31 agosto, con un battaglione e sei carri armati Sherman irruppero a Khan Yunis, fecero saltare in aria il quartiere generale egiziano, uccisero 40 militari nemici, ne ferirono un'altra quarantina. Il 3 settembre il generale Burns ottenne finalmente da tutt'e due le parti la promessa di evitare che altro sangue macchiasse i trecento chilo¬ metri di frontiera fra l'Egitto e Israele. Quanto insincera fosse quella promessa, da quante riserve mentali fosse avviluppata, ci dice la cronaca degli ultimi giorni: da una pace nervosa siamo passati agli incidenti di frontiera, oggi siamo in piena guerriglia, alle battaglie partecipano carri armati, le artiglierie, l'aviazione. Al Cairo gli affari palestinesi, che erano di competenza di un ufficio civile del Ministero degli Esteri, sono affidati al comando supremo, a Porto Said una decina di piroscafi hanno scaricato finora materiale bellico e, pare, anche i primi « Mig », di giorno in giorno cresce la febbre di odio nei giornali e nelle radiotrasmissioni, la Lega Araba è stata convocata per il giorno 9. Il profeta armato Dalla parte d'Israele, l'avvenimento più grosso è il ritorno al potere di David Ben Gurion, il profeta, armato, l'uomo che nel maggio del 1948 raccolse intorno a sè 800 mila ebrei e li condusse alla vittoria contro 40 milioni di arabi; è lo statista che negli ultimi tempi, mentre conduceva al pascolo un gregge della sua collettività agricola nell'arido Neghev, ha maturato e messo a punto un suo « progetto di pressione ». Ora prima che sia troppo tardi, ora prima che la pace ad ogni costo non diventi il nostro suicidio, dice Ben Gurion, dobbiamo premere con tutti { mezzi, non esclusi quelli del cannone, per costringere i Paesi arabi a darci una vera, definitiva pace: è dai primi mesi del 1949 che viviamo in condizioni di armistizio, sem¬ pre alle porte della guerra. Questo non è vivere, in queste condizioni non si può edificare con la mente rivolta lontano, all'avvenire. Non è stato mai un uomo dalle mezze misure, Ben Gurion, e non lo diventerà certamente ora, sulla soglia dei settant'anni. Vuole la pace o la guerra: non vuole vivere in pace finché gli egiziani saranno abbastanza armati per gettare gli ebrei nel Mediterraneo. Nessuno perciò qui pensa che il ritorno di Ben Gurion al potere e le battaglie in corso nella zona di Auja, come dicono gli arabi, o Nizana, come dicono gli ebrei, sia solo una coincidenza. Nè è una circostanza fortuita il fatto che da una parte Ben Gurion ha chiesto a Nasser con accenti patetici di incontrarsi, di guardarsi negli occhi e di aprire una via qualsiasi alla pace, a una vera, sincera pace; e che dall'altra l'esercito israeliano ò piombato improvvisamente sui soldati egiziani, ne ha ucciso molte decine, forse qualche centinaio. A complicare questa situazione già di per se stessa gravida di minacce e di imminenti pericoli, ora più che mai le teste calde del Cairo e di Gerusalemme fanno a gomitate per mettersi in prima fila; e trovano un pubblico più, che mai eccitato, esasperato, ben disposto ad albergare nella calda serra delle passioni i rossi fiori dell'odio. Dopo uno scontro armato che aveva avuto per protagonisti i « Fedayeen ■», o squadristi della morte, con una voce che non vi dico, ecco come urlava la < Voce degli arabi >, una trasmittente egiziana: « Per sette anni avete ucciso persone innocenti, e noi abbiamo pazientato. Ma ora piangete e supplicate per avere pietà, anche se questo non vi salverà. D'ora in poi vi ripagheremo del doppio: due fucilate per ognuna delle vostre, due dei vostri moriranno per ognuno che voi ucciderete. Nel nome di Allah, la vostra fine si avvicina. I " Fedayeen " sono arrivati a pochi chilometri dalla vostra capitale, sono entrati per cinquanta chilometri nel vostro territorio, hanno distrutto un'antenna radio ìlei dintorni della capitale. Essi uccidono, distruggono, fanno a pezzi tutte le speranze di quel sionismo che vi diede la vita, o Israele, quali speranze vi rimangono più? O Israele, gusta quel fiele della morte che tu volevi darci! Bevi dalla tazza avvelenata che per tanti anni ci hai accostato alle labbra! La tua fine è prossima, l'Egitto ha deciso di mandarti i suoi eroi, i nipoti dei Faraoni, i figli degli arabi e dell'Islam. Ed essi purificheranno il suolo della Palestina. Perciò preparati, Israele, spargi le tue lacrime, lamentati e urla perchè ecco che si avvicina il giorno del tuo. sterminio. Noi vogliamo vendetta, e la vendetta significa la morte di Israele >. Ed ecco qualche passo di un articolo di fondo del giornale El Jihad, dal titolo «Avanti, a Tel Aviv!»: «Ci mancano le parole per descrivere la marea di gioia che ha sommerso i nostri cuori nell'apprendere le eroiche gesta compiute da un nostro " commando ". Fratelli dei "commandos" egiziani e palestinesi, continuate a compiere il vostro santo dovere: massacrate, distruggete e uccidete fino a quando quello Stato, fondato dalla spada dell'Occidente e costruito sui cadaveri di donne innocenti e di bambini, non sarà scosso dalle fondamenta e buttato giù. Occhio per occhio, dente per dente ». E di rincalzo la voce degli arabi: «Lo Bibbia d'Israele predica una crudeltà disumana, la stessa che condusse alla crocefiasione di Cristo e alle torture dei suoi discepoli. Gli arabi devono distruggere Israele con gli stessi mezzi. Non dobbiamo più comportarci con pazienza, ma usare la spietatezza contro Israele; dobbiamo mettere da parte la morale nel trattare con un popolo che non sa che sia la morale. Per troppo tempo siamo stati scemi. D'ora in poi dobbiamo mostrare agli ebrei una crudeltà che supera qualsiasi cosa essi possano aver compiuto finora. Basta con le nostre scempiaggini, con lo nostre idee di perdono. Solo la spietatezza, l'odio e la crudeltà sono i mezzi per sterminare Israele nella Palestina e in tutte le altre parti, dato che solo con quei mezzi Israele è vissuta ». Tuttavia, non crediate che tutti i fanatici della patria e della religione, tutti gli adoratori dell'odio siano sulle rive del Nilo. Se esaminate la composizione del Knesset o Parlamento d'Israele, trovate che otto dei HO deputati appartengono al partito Herut. Herut significa libertà, e la definizione che di quel partito ha dato il suo capo è la seguente: « E' un partito fondato dall'Irgun Zvai Leumi in opposizione al presente regime d'Israele, propugna l'integrità territoriale della terra d'Israele nei suoi confini storici su ambedue le rive del Giordano ». I cuori divampano Il capo del movimento si chiama Menahen Beigin, e il terrorismo, la violenza, la dinamite sono gli argomenti più cari al suo cuore: gran parte dei suoi seguaci anelano alla guerra, impazziscono all'idea di dover indugiare, sono disposti a ritornare nella clandestinità come al tempo dell'Irgun Zvai, sognano una patria tre volte più grande dell'attuale, dicono che Israele sia ancora da farsi; vogliono terra, molta terra, estese zone qua e là, da quasi tutti i Paesi confi- nanti. Sono questi territori difficili a viverci, dove per nove, dieci mesi di seguito non piove mai, il cielo è sempre di un azzurro esasperante. Il paesaggio è per larghi tratti uniforme: grandi distese aride ingiallite dal sole, senza la più piccola macchia verde. L'uomo è abbagliato, accecato, costretto infine a chiudere gli occhi, a guardare dentro se stesso. Da queste terre nascono profeti e filosofi, i più vivono rassegnati o trasognati; di tanto in tanto sprizza una scintilla e d'improvviso i cuori divampano di fanatismo. E' qui difficile essere saggi, prudenti, tranquilli. Lo era l'alto e vecchio emiro Abdulla di Transgiordania. Nel 191)8 convennero alla sua corte provinciale di Amman i capi dei paesi arabi per decidere la guerra contro gli ebrei. Tutti chiedevano che Abdulla, con la sua famosa legione araba, fosse il primo a gettarsi nella mischia, Abdulla non diceva né sì nè no; solo diceva che la guerra è un brutto affare, una faccenda da rifletterci su, ma nessuno lo stava ad ascoltare, tutti erano impazienti di gettare gli ebrei nel mare. A un certo punto il ministro degli Esteri del Libano disse: «Noi arabi siamo 40 milioni, gli ebrei 800 mila. Se ogni arabo coglierà un'arancia e la tirerà agli ebrei, li ammazzeremo tutti in un sol giorno ». Abdulla elogiò lo spirito combattivo del ministro libanese e poi obbietta: «Ricordatevi però che questa non è la stagione delle arance ». E propose di mettersi al lavoro per la pace. Siccome era una proposta dettata dalla ragione, un giorno i fanatici del suo paese, mentre il re passava sotto le colonr ne della moschea d'Omar a Gerusalemme, lo trucidarono come il più vile dei traditori, Nicola Adelfi