In una partita di calcio non è in gioco l'onore d'una città

In una partita di calcio non è in gioco l'onore d'una città In una partita di calcio non è in gioco l'onore d'una città Roma, 7 novembre. I giornali del lunedì sono talvolta una triste lettura, per le notizie della brutta cronaca che portano: incidenti diversi con morti e con feriti, scontri stradali, annegamenti al largo delle spiagge, ascensionisti sprofondati nei crepacci, tifosi che si azzuffano e si battono a sangue sulle tribune e sui terreni degli stadi. In modi varii — ma equivalenti nella sostanza — riusciamo infatti troppo spesso ad impiegare male la giornata festiva che ci è concessa per il riposo e per lo svago dal lavoro: è un bel dono che abbiamo per la fine della settimana, e lo sprechiamo incoscientemente. Fatti del genere di quelli che ieri sono accaduti a Napoli potrebbero provocare sul nostro capo l'ira divina e la condanna a non avere più vacanze. Se ci si azzanna per la conclusione infelice di una partita di calcio, non si merita di assistere ad una esibizione sportiva. Non c'è passione che tenga, non c'è pretesto di tifo che valga, non è ammissìbile un'eccitazione, spinta a questo grado, anche a voler concedere che l'arbitro del gioco abbia commesso errori o si sia macchiato di partigianeria. Le dichiarazioni fatte dal Sindaco di Napoli — e presidente della squadra cittadina — non si possono leggere senza rimanere sorpresi. E' il Sindaco di Napoli, il primo cittadino di una grande metropoli di elevate tradizioni civili, che sembra giustificare gli eccessi dell'Arenaccia facendo quasi di una partita andata a male una questione di onore civico. Dopo l'esplosione di furore che si era avuta al Vomero, ci si sarebbe atteso, dal Sindaco, un atto di contrizione, anche se l'arbitri avesse sbagliato. Egli ha invece levato la sua voce per denunciare una congiura che da tempo sarebbe in corso, a danno della squadra di calcio partenopea, se non a danno della stessa Napoli nobilissima: mezza Italia sportiva, capeggiata dalla Federazione degli arbitri, starebbe infatti cospirando per togliere ai giocatori del Napoli le vittorie che essi meritano per la loro non comune e troppo invidiata bravura. Se questo fosse vero, se le accuse di Lauro corrispondessero alla realtà, la sola cosa da fare sarebt e quella di sospendere, da domani mattina, ogni competizione agonistica in tutta Italia, abolendo le gare e i campionati di ogni genere finché un'inchiesta non abbia fatto luce su tutti 1 misteri del nostro mondo sportivo. Ma non crediamo che la tanto denunciata corruzione sia arrivata ad un punto da giustificare queste accuse e questi rimedi: qui basterà probabilmente esigere da tutti atteggiamenti più responsabili. Occorre ristabilire il senso e la misura delle proporzioni, ponendo termine anzitutto al linguaggio drammatico che è in voga tra quanti parlano di cose dello sport Accade troppe volte di dover leggere e ascoltare prose infiammate, minacciose, vendicatrici, che sono autentiche eccitazioni all'odio, che alla prova dei fatti si rivelano più pericolose dell'eccitazione all'odio di classe. Corre più sangue, in Italia, per un campionato di calcio che per una campagna elettorale politica. Neppure il referendum istituzionale fu causa dì dìsordini paragonabili a quelli provocati dal pareggio fra i rossoblu felsinei e gli azzurri di Napoli. Non è sufficiente limitarsi a denunciare e a deplorare. Siamo in presenza di una situazione che dimostra come lo sport, lungi da avere quella funzione nobile di educazione ed elevamento delle masse che sentiamo attribuirgli da tante parti, abbrutisce le masse e le sca¬ tena a inammissibili violenze. Di questo passo occorrerà considerare come un vero pericolo sociale, una grave minaccia per l'ordine pubblico del Paese il domenicale concentramento negli stadi! delle folle dei cosiddetti sportivi. In queste condizioni si devono adottare provvedimenti capaci di tutelare sul serio l'incolumità dei giocatori e degli arbitri, degli spettatori e degli agenti della forza pubblica. , Tecnicamente non siamo in grado di formulare proposte precise, ma in via di massima saremmo propensi a far presidiare i campi • sportivi non da poliziotti armati di pistole e bombe lacrimogene, ma da pompieri forniti di idranti. Al primo segno di rivolta del pubblico per un « rigore » ingiustamente negato o ingiustamente concesso dall'arbitro, mano alle pompe e getti d'acqua travolgenti contro i « distinti » e i popolari, j posti in curva e le tribune. Valanghe d'acqua, senza esitazione, e basterà probabilmente l'esempio dato poche volte per riportare pace sui terreni e sui piazzali degli stadii, dove basterà che siano in circolazione pacifiche autobotti invece delle « jeeps » pericolose. ., „

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