Ben Gourion vincitore degli arabi è ritornato al governo d'Israele di Nicola Adelfi

Ben Gourion vincitore degli arabi è ritornato al governo d'Israele LA MINACCIOSA SITUAZIONE DEL MEDIO ORIENTE Ben Gourion vincitore degli arabi è ritornato al governo d'Israele Egli è l'uomo che riunì le forze ebraiche e promosse lo Stato sionista e la sua difesa - Oggi le *squadre » egiziane penetrano nel territorio israeliano e spargono il terrore; e gli israeliani rispondono - Si teme che Ben Gourion voglia liberare Israele dall' * assedio » delle guarnigioni egiziane (Dal nostro inviato speciale) Gerusalemme, novembre. La parte araba di Gerusalemme è la città fulva, color del miele, di Maometto e dei crociati, tutta serrata nelle belle mura alzate da Solimano il Magnifico, con le sue porte bibliche, l'angusta e malodorante via delle botteghe, i venerati santuari, la larga armoniosa spianata che ha per centro la moschea di Omar. E' qui la patria di tre religioni. La gente va vestita come al tempo di Gesù, nessun automezzo può entrare nel labirinto di strade strette, scure. Lento è il ritmo della vita, quasi furtivo il passo degli arabi nei vicoli ombrosi. Se passate di là dal filo spinato, cadete dal medioevo in pieno ventesimo secolo, arrivate in una città moAerna, con solo qualche ricordo dell'Oriente. Di colpo la pietra gialla del Giordano cede al cemento armato, le strade si fanno larghe e diritte, grandi e razionali sono gli edifici, dappertutto un intenso brulichìo di atitomezzi, vestiti europei, insegne sfacciate più che vistose, e nei cittadini un'aria concentrata, l'ansia di far presto, di non sjirecare il minuto. Gli ebrei stanno continuamente estendendo quella loro Gerusalemme, per ribadire con ogni nuova pietra il diritto al possesso della città, che sin dai primi giorni dell'indipendenza elessero a capitale d'Israele. Ma per gli arabi quel che fa Israele è scritto sulla sabbia, e minacciano di rompere i rapporti col Paese che si azzarderà a riconoscere di diritto lo Statò di fatto. Di continuo nascono grandi confusioni e perplessità, che solo l'ingegnosità diplomatica riesce talvolta a superare. Per esempio, qualche mese fa mandammo a Israele .un nuovo ministro plenipotenziario. Arrivò a Tel Aviv, e gli israeliani gli fecero sapere che se voleva presentare le lettere credenziali al Capo dello Stato, poteva farlo solo a Gerusalemme, nella capitale. Che fare t Recarsi a Gerusalemme, significava ammettere che quella era la capitale d'Israele, e dare uno schiaffo sul sensibilissimo volto degli arabi; d'altra parte, non andarci, era un affronto per Israele, voleva dire cominciare male, molto male, la missione diplomatica. Che fare, dunque t La calura estiva aiutò infine il nostro ministro. Un giorno apprese dai giornali che il Presidente della Repubblica si era recato a trascorrere qualche giorno di riposo in una sua casa di campagna: infi¬ ! 1111111 ) ? ! r 111111 i ) 11T1111 ) 1 f 1111M MI [ 11 ì IM M1 larsi il tight, prendere le lettere credenziali e precipitarsi in macchina alla villa del signor Bcn-Zvi, fu tutt'uno. L'unico punto di comunicazione fra questi due mondi chiusi in una stessa città eppure distanti fra di loro molti secoli e divisi da una invalicabile barriera di odio, è la porta di Mandelbaum. Si trova fuori delle mura, è guardata da truppe in assetto di guerra, di là transitano diplomatici, religiosi, qualche raro viaggiatore, molte notizie, moltissime voci. Basta una scintilla Gente arrivata di là ci informa che oggi il governo israeliano ha ascoltato Moshe Sharett, di ritorno da Ginevra. Il Primo ministro ha riferito che Dulles, Macmillan e Pinay von hanno fatto altro che raccomandargli calma, prudenza, ponderazione; al punto in cui siamo, basta una scintilla per dar fuoco allo polveri, e nessuno può prevedere quel che succederà poi, nel Medio Oriente, nel Mediterraneo, nel mondo intero. Nella riunione del Gabinetto israeliano è stato deciso di affidare la guida del governo a Ben Gurion, che conserverà il portafoglio della Difesa; Moshe Sharett resterà ministro degli Esteri. 111 r 111111111111111 ) 111 ( 1111111111 ■ 1111 ■ 11111111111111 ■ I n Sono due uomini che lavorano insieme da più di quara/nt'anni, da quando studiavano il diritto nell'Università imperiale ottomana di Costantinopoli; figurano fra i primissimi precursori e realizzatori dello Stato d'Israele, in qualsiasi momento darebbero la vita per la patria ritrovata. Se Sharett è la mente politica, l'astuto diplomatico, Ben Gurion è il cuore della giovane nazione; il paragone più immediato è dire Sharett la volpe d'Israele, Ben Gurion il leone. Il ritorno di David Ben Gurion ai posti e alle responsabilità che tenne nel 19J/8, l'anno della guerra vittoriosa contro gli arabi, dice, più di qualsiasi altro fatto, quanto pericolosa sia diventata la situazione; è certamente la più grave da sette aiuti a questa parte, dal'giorno dell'armistizio. Il nuovo primo ministro d'Israele nacque in Polonia 68 anni fa, a 18 anni si fece notare dalla polizia zarista per le sue idee socialiste e cercò rifugio nella Palestina. Fece il contadino, insegnò ai contadini ebrei come attendere ai lavori della terra e tenere a portata di mano il fucile per impedire agli arabi di saccheggiare; quando scoppiò la prima guerra mondiale fu esiliato in Egitto per le sue idee filobritanniche. Lo troviamo qualche anno dopo in America mentre organizza la legione ebraica. Nel 1918, a Si anno, rimise piede nella terra di Palestina al seguito del generale Allenby; in quei giorni, nella casa di un oscuro impiegato postale di Alessandria, nasceva Gamal Abdel Nasser. Nel ventennio fra le due guerre Ben Gurion con la voce tonante di un profeta, i capelli lunghi andò in giro nel vasto mondo per riunire le forze ebraiche, organizzare la emigrazione dei correligionari verso la Palestina, promuovere l'idea del futuro Stato fra gli uomini politici. Quando l'Inghilterra nel maggio del '48 ritirò le truppe dalla Palestina, molti erano gli ebrei che ritenevano umanamente impossibile una guerra contro tutti i Paesi arabi, Egitto compreso. Ben Gurion disse che non c'era altra scelta: o la guerra o la servitù. Divenne primo ministro e ministro della Difesa, vinse la guerra, per cinque anni assistè lo Stato neonato col suo ingegno, con la sua voce che sembra scendere dall'alto del Sinai, con l'esempio di ogni ora. Poi, nel dicembre di due anni fa, Ben Gurion si dimise e tornò a fare il contadino; questa volta nelle terre desertiche del Neghev in via di trasformazione agraria. Viveva a Sded Broker, un gruppo di case prefabbricate, dove l'estate i quaranta gradi all'ombra sono normali; mangiava la minestra della comunità, insieme con gli altri contadini oppure in solitudine fra gli alti e magri pascoli, dove guidava un gregge di montoni con lo sua canna biblica. Là si recavano i ministri, gli scrittori, la gente del popolo a raccogliere le sue parole, i suoi oracoli. Nel febbraio scorso tornò a Gerusalemme per dare nuovo impulso al ministero della Difesa. Dalia fine di agosto... Ben Gurion, mi giurano i suoi amici, non vuole la guerra; eppure, sarà probabilmente lui a dare il segnale della nuova guerra. Non vuole la guerra perchè Israele è in crisi di crescenza, ha davanti a sè un eccellente avvenire, ma solo a condizione di potersi suiluppare tranquillamente, nell'ordine, senso crisi rio/ente. Una guerra, anche se vittoriosa, potrebbe spezzare lo slancio vitale di un Paese ancora nella sua infanzia. C'è da aggiungere che gli israeliani sono convinti c/te fra non molti anni avranno una popolazione due volte quella attuale, le industrie, l'agricoltura e il commercio saranno in pieno sviluppo; il Paese insomma sarà molto pili robusto, nessuno potrà più cancellare Israele dal novero delle Nazioni. Tuttavia, da due mesi a questa parte, dalla fine di agosto, la situazione alla frontiera meridionale peggiora di notte in notte. Là sono concentrate le « squadre del suicidio », organizzate e addestrate dagli ufficiali egiziani; là risiede il comando egiziano che prepara le incursioni notturne ben addentro nel territorio israeliano, fino a pochi chilometri da Tel Aviv. Quando gli incursori ritornano alle basi, si lasciano dietro famiglie colte nel sonno e uccise, incendi di installazioni industriali, pozzi distrutti, campi minati. Il guaio è che mentre fino a poco fa la stampa e la radio egiziane ignoravano queste incursioni, ora le descrivono, esaltano, mettono sul piedistallo degli eroi « gli squadristi della morte ». Naturalmente gli israeliani non porgono l'altra guancia: di tempo in tempo organizzano spedizioni punitive, raggiungono le basi egiziane e massacrano quanti incontrano per via. Le necessità di Nasser A questo punto si dirà: ma se Nasser non si ritiene abbastanza armato e per il momento nemmeno lui vuole la guerra, perchè allora permette, tollera o forse esige questi sanguinosi incidenti di frontiera T La risposta è che la rivoluzione avvenne al Cairo per punire Farulc che aveva mal preparato e perso la guerra: il Governo rivoluzionario, se vuole restare fedele a se stesso e trovare una giustificazione agli occhi degli egiziani, non può adagiarsi sulla sconfitta militare del Paese. Inoltre, a parte la necessità di tutti i dittatori di fare l'unità popolare suscitando lo spettro di un nemico capitale, odioso, se Nasser vuole conservare il posto preminente, di faro e guida, fra i Paesi arabi, è costretto a sopravanzare tutti nella lotta attiva contro Israele. Perciò ha interesse a mantenere alla frontiera una situazione di guerra, a formare < squadre del suicidio >, ad annunciare nel modo più clamoroso che avrà armi modernissime dal blocco sovietico, a organizzare < le settimane del riarmo » fin nell'ultimo villaggio egiziano. In questa tattica ha molto da guadagnare e poco da perdere. Tutti sono convinti che il Governo israeliano, almeno per il momento, non medita espansioni territoriali: più Israele si espande, più aumenta gli attuali 1200 chilometri di frontiera e più s'indebolisce. E' poi solamente ridicola l'idea dell'esercito israeliano che inseguc quello egiziano nel deserto e conquista il Cairo, arriva alle frontiere del Sudan e della Cirenaica. Per Nasser in definitiva non è una questione di vita o di morte; mira solo a far crescere la febbre fra egiziani e arabi, a montenere il suo prestigio, a giustificare le spese militari. David Ben Gurion ha poca scelta: ogni notte la vita e i beni dei suoi cittadini sono in pericolo, di giorno in giorno cresce la baldanza degli incursori. A un certo momento, e prima che Nasser abbia riempito di armi c munizioni i magazzini militari dell'Egitto, la prudenza e l'amor di patria potranno consigliare a Ben Gurion di fare piasza pulita di tutte le gu rnigioni egiziane che tengono Israele assediata. Nicola Adelfi