Il Savonarola delle piazze

Il Savonarola delle piazze Il Savonarola delle piazze Di Alessandro Gavazzi era rimasta, nella mente dei più. una immagine convenzionale, legata ai tumulti quarantotteschi. In un acquerello dell'epoca vediamo il predicatore barnabita nefl'atto di partire, con i volontari pontifici osannanti a Pio IX, verso i campi di battaglia di Lombardia, impugnando un crocifisso coperto di un panno nero, da scoprirsi non appena liberata l'Italia. A questa immagine si sovrapponeva poi l'altra meno nota di un Gavazzi che, amareggiato e deluso per la defezione del Pontefice, e fattosi garibaldino, nel '59 era tornato dall'esilio inglese e americano, ormai convertito al protestantesimo. Un diligente lavoro di Luigi Santini (Alessandro Gavazzi. Aspetti del problema religioso del Risorgimento, Modena, 1955) ci permette oggi di definire, fuor d'ogni oleografica visione, la portata di questa < conversione ». E' un aspetto modesto e marginale, ma non insignificante, del problema dei rapporti* fra Risorgimento e protestantesimo; un problema ,sul quale Giorgio Spini ha già parlato in recenti congressi, e sta preparando un ampio studio! ir lavoro del Santini dimostra bene come si siano impressi sul frate bolognese, sì da restarvi profondi e indelebili, i segni di un'educazione rigidamente, e quasi fanaticamcni'j ■ chiesastica : di scarsa interiorità religiosa, e piuttosto modellata sulla tradizione gesuitica e le esercitazioni stilistiche del Segneri. Gavazzi era uscito, dal suo noviziato, predicatore tra i più irruenti. La sua oratoria era aggressiva e truculenta. Il turgore dello stile mal nascondeva la fiacchezza della genuina ispirazione morale. C'era in lui qualcosa della teatrale veemenza delle missioni che in quegli anni erano partite alla riconquista cattolica della Francia. Ma in quel suo predicare appreso nei collegi dei barnabiti, ed esasperato dal focoso e indocile carattere, cominciò presto a serpeggiare un'oscura inquietudine. Era il diretto contatto con le miserie del popolo, con i carcerati di Parma dei quali fu cappellano; e l'amicizia con Ugo Bassi, bolognese e barnabita e impetuoso non meno di lui; e le astiose persecuzioni dei ger suiti; e poi l'entusiasmo per Gioberti. Costretto alla fine, dall'aperto sospetto delle gerarchie ecclesiastiche, al ritiro per diciòtto mesi in un convento delle Marche, ne era uscito eccitatissimo all'elezione di Pio IX; e ansioso di rifarsi di tanto forzato silenzio. Ebbe così inizio la sua bollente predicazione nazionale, dai pulpiti come dagli improvvisati arenghi del popolo: a Firenze, Bologna, Venezia, Roma. Fu il grande momento di padre Gavazzi. « Savonarola delle piazze », lo chiamava ironicamente qualcuno; ma i più lo acclamavano come novello Pier Eremita. I suoi discorsi patriottici, nella loro enfatica magniloquenza, ben s'intonavano agli entusiasmi di quell'ora e li rinfocolavano. Ma egli non seppe mai inserire la sua azione in un coerente indirizzo politico. Finì per riuscire inviso o sospetto un po' a tutti: a Daniele Manin, che diffidava del suo « socialismo », alla borghesia moderata e al clero, clic lo detestavano, a Mazzini, a Carlo Alberto. Solo Garibaldi lo ebbe amico. In un opuscolo dell'agosto 1848, egli poneva un crudo dilemma a Pio IX: 0 la guerra «di giusto santo naturale diritto contro l'Austria » oppure « un popolo che maledica il papato, origine infausta della perpetua schiavitù d'Italia». Questo sincerissimo grido del frate ci avverte che alla base della" sua futura conversione all'evangelismo non c'è una vera crisi religiosa, ma la delusione per la politica del papato. Riparato in Inghilterra dopo la caduta della Repubblica romana, uscì dalle angustie e dall'oscurità con le sue prediche : e con più successo, da quando Palmerston mise l'occhio su di lui e lo appoggiò. Le sue furibonde apostrofi contro la Curia romana erano bene accolte dalr l'Inghilterra protestante di quegli anni. Non si dimentichi che l'antipapismo fu una delle componenti della simpatia del popolo britannico per il nostro Risorgimento. Gavazzi aveva imparato a parlare con facilità l'inglese, a infarcire il suo dire di citazioni bibliche, perfino a moderare il tono per adeguarsi allo stile della lecture. Ma non tanto da non esser definito, lui ormai .sulla cinquantina, un boy preacher, un predicatore dal piglio fanciullescamente estroso e impulsivo. Nel *59 il frate sfratato e convertito torna in Italia, «col tricolore in una mano e la Bibbia nell'altra». Ma per la verità la Bibbia, se non dimenticata, è messa da parte. Egli non ha il messianico fervore del valdese Revel che un giorno, contemplando la pianura piemontese dai monti di Angrogna, aveva detto a un amico: «Non ti pare di udire il rombo del cannone? Credimi, il cannone scava i solchi dove andremo a gettare il seme del Vangelo ». Gavazzi si unisce ai Cacciatori delle Alpi, poi raggiunge i Mille in Sicilia, conciona a Napoli, cerca di attrarre il basso clero in una chiesa nazionale, ma ancora una volta è lasciato solo. Un giornalista francese dice di lui: «Non è un oratore cristiano nel senso evangelico. E' un libero pensatore fattosi soldato, che si ricorda di essere stato predicatore. Fa della politica, non della religione». Ma anche politicamente è un sopravvissuto. Lo si- ritrova a Mentana, nel fango, sotto la pioggia, impettito nel suo abito nero, zaino in spalla e cilindro, come assorto in un perduto sogno quarantottesco. Dopo Porta Pia, riprende la campagna antipapale, mescolato a garibaldini massonizzanti; e dedica le sue ultime energie alla «Chiesa libera italiana», e al tentativo di unificare le forze evangeliche sparse nella Penisola. Ma, anche in questi anni, rifugge dal dirsi protestante, e dall'approfondire i problemi di una vera riforma religiosa. In realtà, pesa ancora su di lui l'insegnamento dei collegi barnabitici. Non se ne è mai liberato, con segreto travaglio spirituale. E anche questo ci spiega la povertà e l'inefficacia della sua smaniosa propaganda evangelica nel nostro paese. Non tanto in lui e nei suoi seguaci è da cercarsi la presenza protestante in Italia, quanto in altri gruppi di più serio e profondo sentire, «• di più salda tradizione; o, come ha notato Walter Maturi, in stranieri quali Sismondi, Vinet, Quinet, che tanta influenza esercitarono sui nostri patrioti liberali. Non attraverso le invettive dal pulpito o dalla piazza, ma solo nella pensosa e sofferta intimità delle coscienze una riforma religiosa può farsi realtà. Sandro Galante Garrone