La miseria degli algerini e le ricchezze della Francia di Francesco Rosso

La miseria degli algerini e le ricchezze della Francia La miseria degli algerini e le ricchezze della Francia La libertà amministrativa, la parità di diritti con la cittadinanza metropolitana, non bastano perchè non sfamano quella popolazione che cresce di numero e affonda nella disoccupazione e neila povertà (D : nostro inviato speciale) Parigi, 11 ottobre. L'Assemblea nazionale francese ha cominciato oggi la discussione sull'Algeria. Per alcuni giorni, deputati e ministri disserteranno sull'integrazione, cioè sul modo di inserire l'Algeria nella struttura politica della Francia. £1' possibile che su questo punto, essi giungano a una conclusione, ma con ciò non avranno risolto il problema algerino che si aggrava ogni giorno. Gli algerini non hanno bisogno soltanto di provvedimenti politici. Essi hanno fame, una fame antica come la loro razza, che il progresso e le migliorate condizioni igieniche, fatto paradossale, hanno aumentato. Nel 1856, data del primo censimento, erano due milioni e mezzo; nel 1800 erano i milioni e 750 mila; oggi sono 8 milioni e crescono con un ritmo di 200 mila unità ogni anno. Mentre la popolazione è aumentata a dismisura, le condizioni di vita sono rimaste quelle di un secolo fa, il terreno coltivabile è stato accresciuto di poco. I 6 milioni e 375 mila ettari di terra, avara e arida, producono u."1 media di sette quintali di grano per ettaro contro 1 venti che si producono, ad esempio, in Marocco. E non è da sperare che una più razionale e meccanizzata coltura possa aumentare la produzione, perchè il suolo è scarsamente irrigabile. In queste condizioni l'agricoltura può assorbire una quantità assai limitata di mano d'opera, non più di 170 mila salariati agricoli stabili, i quali guadagnano in media 400 franchi al giorno. Gli altri operai sonò reclutati soltanto nel periodo del raccolto e lè loro paghe sono ancora più basse, non superano i 350 franchi al giorno. Circa un milione di contadini - proprietari, piccoli artigiani e nomadi, vivono in condizioni di quasi miseria, ma sono ancora invidiati dal milione di disoccupati permanenti che non guadagnano un centesimo. Alla povertà dell'agricoltura si aggiùnge la quasi assenza di un'industria degna di questo nome. Il sottosuolo non è ricco, l'estrazione dei fosfati e del ferro diventa antieconomica per la povertà delle miniere e del: prodotto. Votando leggi particolari, il governo francese aveva creato le premesse per lo sviluppo industriale del¬ l'Algeria, ma la situazione inquieta, le continue sommosse, hanno impedito l'afflusso di capitali e le poche officine in attività non sono in grado di assorbire la mano d'opera eccedente. Spinti dalla fame, sperando dì trovare un qualsiasi lavorò, uomini, donne e bambini abbandonano la campagna, affluiscono in numero sempre crescente alle città congestionate. Le < bldonvilles > si allargano a dismisura intorno ad Algeri, Bona, Costantina, diventano 1 quartieri della miseria. Il reddito medio in moneta è oggi in Algeria di 19 mila franchi per persona, ma mentre una piccola schiera ha molto di più, la maggioranza non vede nemmeno un terzo di quella somma in un anno. Il generale De Gaulle, per tener buoni gli algerini in un momento delicato quando la guerra si metteva male per la Francia anche in Africa Settentrionale, gli concedette alcune prerogative. Il 20 settembre 1947 una legge concesse agli algerini tutti 1 diritti di cui godono 1 cittadini francesi. Il risultato fu che molti disoccupati, messi faticosamente insieme i soldi per il viaggio, sono venuti a cercare lavoro in quella che doveva essere la loro seconda grande patria. La delusione per questi disperati della miseria, è stata grave. Sul 300 mila algerini che vivono oggi in Francia, meno della metà hanno trovato un'occupazione. Gli altri 160 mila si arrangiano nel quartieri malfamati, vivendo allo stato selvaggio negli scantinati, sotto i ponti, nei fienili, alimentando il contrabbando ed altre professioni ancor meno nobili. Ogni tanto questa massa inquieta che non ha nulla, nè lavoro nè casa, esplode in sanguinose sommosse. L'ultima si è verificata domenica scorsa a Douai, dove tre algerini sono stati uccisi dalla polizia e tre gravemente feriti. A St. Etienne un algerino ha invece sgozzato un agente a rasoiate. La bandiera di queste insurrezlo ni è il nazionalismo, ma è evi dente che i guerriglieri dell'Aures e gli insorti nelle citta francesi, più che a ideali polìtici obbediscono agli stimoli della loro secolare miseria. Venuti a contatto con un Paese progredito, ricco, come la Francia, dove il benessere è diffuso, essi si sentono defraudati di quei pochi diritti che teoricamente gli sono stati concessi, vedono la disparità di trattamento, ed il loro rancore esplode nelle violente ribellioni che periodicamente insanguinano anche le città francesi. Essi adottano ancora la tattica dei cavalieri berberi, non usano armi da fuoco ma il coltello o il rasoio, quasi volessero, anche ih questo, differenziarsi dai francesi e dimostrare il loro attaccamento alle tradizioni arabe. Gli algerini, anche quelli che in Francia hanno trovato lavoro e una vita tranquilla, non sentono alcuna gratitudine per il Paese che li ospita. Fra i dimostranti, infatti, sono sempre più numerosi quelli che hanno un lavoro stabile. L'ostilità della popolazione algerina è'erso la Francia nasce soprattutto dalla lentezza con cui le autorità metropolitane hanno attuato quel poco che avevano in programma. Concedere dei diritti puramente teorici, come quello della cittadinanza, non aiuta a sfamare il milione di disoccupati. Ma il gioco politico, come sempre avviene, ha avuto la precedenza e la situazione oggi è quasi insostenibile. Non deve stupire che la propaganda panaraba abbia trovato un terreno fertile fra que; sta gente scontenta, condannata alla miseria, che presta più volentieri orecchio a chi sa parlare il suo linguaggio che non a coloro che promettono senza mantenere. Gli algerini sorridono, quando sentono parlare di integrazione, di assimilazione. Essi non vogliono diventare francesi e lo dimostra la spietata guerriglia dell'Aurea, indomabile. Il nazionalista Ben Bades ha creato lò slogan : « L'Algeria non può e non vuole essere la Francia >. Di rincalzo il più giovane e più preparato, Ferhat Abbas, che il governo francese fece imprigionare perchè le sue idee di indipendenza del popolo islamico gli procuravano troppi seguaci, ha dichiarato ancora di recente: < L'assimilazione o l'integrazione dell'Algeria nella Francia, è una chimera. Vogliamo essere indipendenti, liberi >. Liberi lo sono, hanno un'Assemblea propria per l'amministrazione interna, partecipano a quella francese con 1 loro deputati, ma questo non gli basta, con le concessioni politiche non si sfamano. Per affrontare alla base il problema algerino, la Francia dovrebbe assicurare il lavoro al milione di disoccupati e una più dignitosa esistenza a tutta la popolazione. Poiché le risorse locali non consentono l'attuazione di questo piano, la Francia, se vuole rimanere in Algeria,- dovrebbe assorbire nelle sue fabbriche, nei suoi campi, un milione di uomini, cosa che, evidentemente, non può fare, se oggi riesce ad occuparne soltanto centocinquantamila. Ma anche se lo potesse e se il Governo lo volesse, i francesi si solleverebbero in massa. Avere un milione di nord-africani in casa, oggi, significherebbe averne due-tre milioni fra dieci anni. Una prospettiva che non lusinga certo la borghesia francese. Francesco Rosso aiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii

Persone citate: De Gaulle, Ferhat Abbas