La rivolta delle colonie di Ferdinando Vegas

La rivolta delle colonie La rivolta delle colonie La criji che da tanto tempo travaglia il NordAfrica francese ha raggiunto un nuovo culmine con i due ultimi, contemporanei avvenimenti: positivo l'uno, il trasferimento di Ben Arafa da Rabat a Tangeri; negativo invece l'altro, l'iscrizione all'ordine del giorno dell'Assemblea dell'O.N.U. della questione algerina, con il conseguente richiamo in patria della delegazione francese all'Assemblea medesima. Chiunque scorge subito come tra i due fatti sussista uno stretto legame, perchè probabilmente la votazione all'O.N.U. avrebbe avuto un esito diverso, se la rimozione del sultano marocchino fosse avvenuta tempestivamente. Oggi questa decisione ha ormai perduto molto del suo valore originario; sicché ad un primo bilancio complessivo dei due avvenimenti, il negativo appare chiaramente superiore al positivo. Ancora una volta, dunque, la Francia sconta i tristi risultati della politica del « troppo poco e troppo tardi p che sembra essere divenuta la sua insegna nel dopoguerra in materia coloniale. Non è bastata la durissima lezione dell'Indocina a convincere governanti, uomini politici e gruppi di interessi economici che restava loro solo l'ultimo quarto d'ora per salvare il salvabile nell'Africa del Nord. Eppure il coraggioso gesto di Mendès-France nei riguardi della Tunisia, nell'agosto del '54, aveva ben indicato l'unica via da seguire: promettere senz'altro l'autogoverno interno, riconoscere al contempo i movimenti nazionalisti come legittimi e rappresentativi delle popolazioni, trattare quindi con i capi di tali movimenti per realizzare in pratica l'autonomia. Gli esponenti del più retrivo conservatorismo sono riusciti, in febbraio, ad abbattere Mendès-France, colpevole ai loro occhi di svendere l'impero coloniale francese. Subito dopo i nuovi governanti sono stati costretti, dalla forza desìi avvenimenti, a riprendere, bene o male, la sua politica. In Tunisia, dove l'ex-Presidente aveva seminato bene, i suoi successori hanno potuto facilmente fare un buon raccolto: gli accordi del 2 giugno, ratificati un mese fa. assicurano per il momento alla Tunisia l'autonomia insieme alla tranquillità. In questo Paese, certo, le condizioni di partenza erano più favorevoli, sia per il livello più evoluto della popolazione, sia per la presenza sul trono di Tunisi di un capo accettato da tutti i suoi sudditi. Le maggiori difficoltà presentate dall'Algeria e dal Marocco, tuttavia, dovevano se mai spingere i responsabili francesi, sul posto e nella metropoli, a un impegno più serio e più urgente. Al contrario, essi si sono irretiti in una politica tortuosa e incerta, fatta di una lunga serie di esitazioni, equivoci e anche macchinazioni, che hanno sopraffatto le poche buone intenzioni e bloccato i tentativi di tradurle in atto. Così si è perduto un tempo prezioso; ma «in Marocco, il tempo è sangue », come ammoniva con angosciata intuizione il Residente Grandval alla vigilia della tragedia del 20 agosto. Per l'Algeria la situazione, interna e internazionale, è complicata dal fatto che costituisce parte integrante del territorio metropolitano francese. Delle tre soluzioni possibili — indipendenza totale, una qualche forma di federazione con la Francia, l'integrazione completa — Parigi ha scelto quest'ultima, sintetizzata pochi giorni fa da Faure nella formula « L'Algeria alla Francia e nella Francia ». Il « piano Soustelle », che l'attuale governatore ha proposto, si basa appunto sul principio della integrazione, accompagnato da una serie di misure tecniche sul piano amministrativo, economico e sociale. Anche in Algeria però i fatti corrono più veloci dei piani, tant'è vero che i membri arabi dell'assemblea algerina hanno già respinto, come superata, la politica dell'integrazione. Ad inasprire la posizione francese è venuto ora il voto dell'O.N.U. La Francia ha indubbiamente ragione, sul piano formale del diritto, a respingere ogni interferenza nei suoi affari interni. Ma sono affari interni, sostanzialmente, le vicende dell'Algeria, solo perchè essa forma tre dipartimenti francesi? La rivolta inarrestabile dei popoli coloniali non si fermerà certo di fronte a simili barriere amministrative, nè la fermeranno, a lungo andare, il fior *fiore delle divisioni francesi e le centinaia di miliardi di spese militari. E neppure, infine, varranno ad arrestarla gli aiuti economici e le provvidenze sociali, perchè ormai il motto dei popoli soggetti non è più « Un pane e un tetto », ma « pane e libertà ». Forse la Francia, figlia della Rivoluzione dell' '89, può ancora rispondere positivamente a questa richiesta; purché non si. irrigidisca su questioni di prestigio, le quali, oltre tutto, minano la sua posizione internazionale e indeboliscono la' comunità occidentale. Ferdinando Vegas

Persone citate: Ben Arafa, Soustelle