L'esempio di un vescovo può ancora giovare ai francesi di Francesco Rosso

L'esempio di un vescovo può ancora giovare ai francesi E' FINITO IN MAROCCO IL TEMPO DELLE RAPIDE FORTUNE L'esempio di un vescovo può ancora giovare ai francesi L'ostilità dei ricchissimi coloni allo spirito di comprensione di mons. Lefèvre - L'aiuto ai deboli ed agli oppressi • Una lettera di protesta al Vaticano : nessuna risposta - L'ultima speranza per un'intésa pacifica (Dai nostro inviato speciale) Casablanca, settembre. Il marocchino che nelle ore di punta ostacolava il traffico con il suo muletto, o la bicicletta, correndo il rischio di finire sotto l'automobile di un'francese, sentiva invariabilmente l'autista incollerito urlargli sale bedouin, sporco beduino. Da un paio d'anni ciò non accade più perchè una disposizione della reggenza lo vieta, ma soprattutto perchè oggi il sale bedouin, liberatosi dal complesso d'inferiorità che aveva di fronte ai bianchi, potrebbe rispondere all'insulto con una sassata o una rivoltellata. Questo rispetto per i marocchini, frutto della paura e dall'imposizione, non ha perù radici nella coscienza dei francesi i quali, forse senza. rendersene pienamente conto, hanno fatto in Marocco dell'autentico razzismo. Non si tratta, è vero, di un razzismo programmatico, in nessun luogo del Marocco è.possibile leggere l'offensivo cartello < vietato l'ingresso ai cani e agli indigeni», non ci sono autobus, caffè, ristoranti, cinema esclusivamente per gli arabi, ma nessun francese entrerebbe in un locale in cui è seduto un marocchino. Per comprendere questa sotterranea mentalità, razzista, bisogna tener conto delle classi sociali a cui appartengono i francesi residenti in Marocco. Molti sono con¬ e 1111 II ! 1113111 ] ! 11IJ111 i 11 E ! 111 ■ I i [ 11 ] M [ ] I < 11 ] ) I ! ! 1 tadini e operai venuti dal nulla che hanno costruito le loro colossali- fortune speculando sulle già scarse paghe agli indigeni. Ancor oggi, davanti ai cantieri, nei porti, vicino alle fattorie, l'ingaggio degli operai avviene con sistemi che ricordano il mercato degli schiavi. ' Folte di disoccupati, vestiti di stracci, chiedono di lavorare qualche ora per guadagnare tanto da potersi comperare un chilo di pane. Dove occorrono dieci uomini ne arrivano mille e il caporal, l'ingaggiatore, ha solo da scegliere in quella tumultuosa schiera di affamati; non gli è difficile trovare il numero di uomini che gli sono necessari, disposti a rinunciare a metà della paga pur di lavorare. Amicizie vietate Le drammatiche condizioni in cui vivono milioni di uomini, anziché rendere pensosi gli imprenditori di opere, , gli ha dato la sicurezza di poter disporre senza limiti e senza controlli di quella manodopera e la loro ristretta mentalità di parvenus gli ha rinsaldato la convinzione di appartenere ad una schiera di eletti. Il fosso si è allarga-, to sempre più, ed anche i marocchini più evoluti, che in un primo tempo avevano cercato di accostarsi ai francesi, hanno finito per isolarsi. Le amicizie tra europei ed arabi, già rare un tempo e dovute esclusivamente a rapporti d'affari, oggi non esistono. Un marocchino non oserebbe fermarsi per strada a parlare con un europeo, un po' per orgoglio e molto per timore di essere sospettato di collaborazionismo con i francesi e finire con una pallottola nella nuca. Iniziare oggi un dialogo tra marocchini e francesi è impresa ardua, troppi errori sono stati commessi perchè la fiducia possa essere ristabilita. Non mancano, è vero, uomini di buona volontà che anche nei momenti drammatici che n Marocco attraversa tentano di placare gli odi con parole e atteggiamenti di umana comprensione, ma la atmosfera è ancor troppo avvelenata perchè possano farsi comprendere^ Il 28 agosto, una settimana dopo le sanguinose sommosse, mons. Lefèvre, vicario apostolico in Marocco, fece leggere in tutte le chiese una lettera pastorale con cui, deplorando i cruenti, selvaggi episodi, piangendo le vittime innocenti, esortava i cattolici francesi a non abbandonarsi all'odio sterile e funesto. Erano parole dettate da una certa concezione cristiana della vita, ma non trovarono molte orecchie disposte ad ascoltarle. Mons. Lefèvre, vicario apostolico in Marocco dal 1947, non gode le simpatie di parte del suo 1 ! 11 ! 11M111:111111 ! M J t C gregge, riottoso a seguirlo sulla strada delle riforme e della giustizia sociale che egli ha sempre dichiarato di voler percorrere. Quando giunse in Marocco trovò la situazione compromessa dall'atteggiamento che il clero aveva tenuto fin dal giorno in cui le truppe francesi erano entrate da dominatrici. I primi sacerdoti che ebbero contatto con i musulmani marocchini furono i cappellani militari, uomini con una particolare mentalità, che possono facilmente essere trascinati dal nazionalismo, specialmente nelle colonie dove gli indigeni sono considerati esseri da evangelizzare. Impreparati a svolgere una missione tra i musulmani, totalmente ignari della lingua e delia storia araba, i cappellani partirono alla conquista dell'Islam con lo slancio dei neofiti. Si trovarono di fronte ad un popolo che non intendeva rinnegare la sua secolare civiltà e che, per reazione, si irrigidi in un fanatismo religioso che rese impossibile, fin dagli inizi, ogni intesa. Il clero che aveva costruito chiese anche nelle più remote zone dell'interno, credette opportuno appoggiare le sue iniziative di proselitismo alla politica della Residenza la quale, per meglio dominare la situazione, cercava di dividere gli arabi, sedentari ed evoluti, dai berberi nomadi e selvaggi, alimentandone la secolare rivalità. I missionari pensavano di poter penetrare facilmente fra i berberi, considerati musulmani tiepidi se non addirittura miscredenti, e convertirli al cristianesimo, ma la loro ini«iativa ricevette un rude colpo. Arabi e berberi fecero blocco contro il tentativo di rompere J'unitd etnica e religiosa del Marocco. Guardati con diffidenza dai marocchini,' i sacerdoti si appoggiarono sempre più alla Residenza, divennero i parroci, ma anche i portavoce, dei grossi coloni. Lo sfruttamento a cui molti imprenditori sottoponevano gli operai indigeni pagandoli con salari di fame, provocò deboli, platoniche proteste sulle quali però il clero non potè ulteriormente insistere per non perdere anche le posizioni tra la colonia dei francesi, che dominavano di fatto la vita economica e politica del Marocco e che anche oggi non intendono rinunciare a nesstfno dei loro privilegi. Nel palazzo del Sultano Anche verso la Francia, i francesi del Marocco assumono atteggiamenti arroganti, pretendono che la madrepatria tuteli i loro privilegi magari con la forza, ma le negano il diritto di interessarsi agli affari interni del Marocco di cui si sentono i padroni. Legato per forza di cose a uomini senza scrupoli che si vantavano di fare e disfare i Residenti ed i Vicari Apostolici, il clero francese si rassegnò ad una funzione puramente rappresen tativa. L'equivoco durò fino al 1947, quando all'arcivescovato di Rabat fu insediato mons. Lefèvre, il quale fece subito comprendere chiaramente che non aveva alcuna intenzione di essere considerato un funzionario della Residenza, un < vescovo di corte >, e che intendeva svolgere la sua missione cristiana in assoluta indipendenza dall'autorità politica. JBimase sempre fedele alla sua concezione 'della libertà religiosa e quando il sultano Mohammed Ben Yussef, pochi mesi piima di essere deposto, lo invitò ad assiste¬ re alla festa del trono, non ostante i cauti consigli fattigli giungere dalla Residenza che considerava disdicevole per un alto prelato cattolico partecipare ad una solennità musulmana, mons. Lefèvre entrò nel palazzo imperiale, assistè alla festa, parlò con il sultano, capo spirituale delVIslam. Il suo atteggiamento, apertamente in contrasto con la morale corrente che considerava lecito lo sfruttamento delle popolazioni indigene, gli guadagnò le simpatie dei marocchini, ma da parte francese gli procurò il nomignolo di c vescovo rosso ». La lettera - pastorale che egli indirizzò ai cattolici residenti in Marocco nel gennaio del 1958, per poco non provocò una sollevazione. Riconoscendo l'opera svolta dai francesi per la valorizzazione del Marocco, monsignor Lefèvre trovava giusto che costoro avessero un legittimo vantaggio dalla loro attività, ma trovava ingiusto che si accaparrassero ogni ricchezza perchè più forti e più abili. Di tanta ricchezza, diceva, tutti devono godere, specialmente coloro ohe hanno contribuito con le loro braccia a crearla e concludeva deprecando il malcostume di non compensare in misura 'adeguata il lavoro degli indigeni. Fanatismo colonialista Era un linguaggio che i francesi del Marocco non pensavano di dover sentire da un vescovo francese, e la lettera fu considerata un dichiarato incitamento alla ribellione del proletariato marocchino. Benché non contenesse alcun riferimento di carattere politico, e si limitasse ad una accorata constatazione del disagio economico ■ in cui versano otto milioni di marocchini offesi dalla ricchezza di cui gode un'esigua minoranza, la confusione delle idee era tale che il messaggio del Vescovo fu considerato non solo un documento politico, ma addirittura un tradimento consumato dal Pastore verso i suoi connazionali. Accusato di comunismo, di intelligenza con i terroristi deli'Istiqlal, di demagogia, mons. Lefèvre fu aspramente attaccato dai < buoni francesi che avevano creato la ricchezza uel Marocco ». Un noto esponente del conservatorismo reazionario si fece promotore di una lettera, firmata da coloni, commercianti e funzionari, con cui si chiedeva al Sommo Pontefice la destituzione di mons. Lefèvre e si proponeva il suo successore, un vescovo che nelle loro speranze avrebbe continuato la tradizione del clero rappresentativo. Il Vaticano non rispose; e mons. Lefèvre potè continuare nella sua missione cristiana difendendo i deboli e gli oppressi. Il suo fermo atteggiamento ha profondamente irritato i « buoni francesi», ma ha dato coraggio alla ancor piccola schiera di «omini che, sulla linea delle più avanzate correnti del cattolicesimo francese, dei Mauriao, Schuman, Teitgen, desiderano un accordo ed una fattiva collaborazione con i marocchini. Se la Francia, nonostante i molti errori commessi, non perderà tutte le sue posizioni in Marocco, lo dovrà a questi pochi uomini che, sgombri da ogni pregiudizio razziale, animati da una sincera volontà di realizzare quella giustizia sociale a cui anche i marocchini aspirano, saranno i soli in grado di riprendere il dialogo che il fanatismo colonialista ha reso impossibile. Francesco Rosso ngdtdfgrsdcsvldssT

Persone citate: Schuman, Vicari, Yussef