La mostra "Francia-Italia" s'apre oggi a Palazzo madama di Marziano Bernardi

La mostra "Francia-Italia" s'apre oggi a Palazzo madama La mostra "Francia-Italia" s'apre oggi a Palazzo madama Alla base dei rapporti fra l'ormai famosa in tutta Italia mostra «Peintres d'aujourd'hui, France-Italie» che aprendosi stamane a Palazzo Madama rinnova la sua quarta edizione a Torino, e gran parte del pubblico che la frequenta, stanno probabilmente ' due equivoci. Quale fu ed è il programma di questa manifestazione patrocinata dalla città di Torino, oltre un simpatico — e politicamente significativo in clima di ritrovata libertà — « in2ontn> di molti, tra i più rappresentativi pittori dei due paesi »? Lo disse nel 1951 Raymond Cogniat: «Noi abbiamo voluto mostrare le differenti vie "aperte sull'avvenire senza favorire od osteggiare questa o quella concezione... In definitiva il tempo e il pubblico saranno i giudici >. Programma chiaro e onesto. Ma non per colpa dei volonterosi organizzatori (quest'anno il maggior peso dell'allestimento della sezione italiana ricadde sul dott. Viale e sul dott. Carluccio) parve, agli occhi di molto pubblico, tradito. In quelle « differenti vie aperte sull'avvenire» il pubblico (con numerosi valenti pittori non invitati) avrebbe voluto o sperato vedere la pittura che preferisce, la pittura leggibile, apertamente comunicativa, non problemistica ilIllliltlIIItllllllillillIIIIflillllItlIIIItlllItlllllilIl ma realizzatrice. Gli organizzatori, interpretando il « d'aujourd'hui » come un indice di determinate tendenze estetiche finirono col dar la precedenza alla pittura che piaceva a loro, o che comunque ritenevano la più significativa di un mal definibile « aujourd'hui », Di qui il primo equivoco. Da una parte: Quadri? son pasticci in cui non si capisce niente; se questa è la pittura « moderna », grazie, preferiamo rinunziarvi! Dall'altra: Il pubblico è sempre lo stesso bestione, che gli ci voglion cinquantanni a persuadersi dei « messaggi » affidati a capolavori vilipesi; ricordatevi degli Impressionisti! (Ah, questi benedetti Impressionisti, li avessero capiti in tempo, da quanti errori ci saremmo salvati, e adesso ci salveremmo...). Secondo equivoco: quell'ipoteca dell'* avvenire ». Cos'è l'avvenire? Lo spazio «ape- cgdprandvBOMpigiptlssbuaspi drimentale » di tre o cinque | manni, oppure il definitivo ■ collaudo di codesti esperimenti? Il fatto è che da entrambe pprle parti c'è un errore: credere j grisultati (ed entusiasmarsene j3o inorridirne) i tentativi ; nscambiare un provvisorio che | dprecipita di stagione in sta-jsgione con un punto d'arrivo i ada proclamare « quello del no-1 stro tempo»; da un lato vie- tarsi un giudizio critico su ciò che produce questo « nostro | tempo » perchè l'artista sa sempre ciò che si fa e quindi ha sempre ragione, e dall'altro rifiutarsi di capire che anche l'arte, come ogni altra manifestazione della vita, si trasforma. Insomma, rinunziare'ad accettare una verità molto semplice: che la botte non può dare che il vino che ha; e che quanto oggi si vede in questa mostra — ed è il motivo del suo eccezionale interesse — è appunto il prodotto di una grande crisi figurativa che se ha superato il traguardo del « gusto » non ha ancor raggiunto quello della pittura»: della pittura quale fu sempre intesa dagli \ uomini (élites intellettuali o j masse popolari), cioè come1comunicazione di idee e di sentimenti attraverso un'individuale invenzione poetica; e quale certo un giorno tornerà ad essere intesa. Non si voglia dunque scorgere nella mostra « FranciaItalia» un sopruso di artisti e rganizzatori; una mistificazione; una violenza a radicate legittime simpatie. Nè, d'altro canto, ci si illuda di aver fornito dei testi sui quali giurare con coscienza tranquilla. Immaginiamo per un istante tre secoli di pittura, come dalla metà del Quattrocento alla metà del Settecento, come da Antonello da Messina a Chardin (non siamo forse in France-Italie»?), ripieni, da oggi, di tele dipinte con i concetti — si capisce, via via evolventisi nel tempo — che, hanno guidato la pittura dei qui presenti Chastel o Lagrange, Meloni o Ajmone, Estève o Germain, Pancaldi o Afro, De Beauvoir o Cortot, Ruggeri o Saroni, Ubac, Davico, Cannassi, Gischia, Rendon, e fino a un certo punto Romiti, LeviMontalcini, Peinado, Corpora, Licata, Breddo, ecc. La bellezza, ora raffinata ora energica, di un colore applicato a soggetti esterni o a contenuti emotivi che restano proprietà esclusiva del pittore in quanto incomunicabili malgrado gli inopinati titoli (sfido chiunque a distinguere la « Natura morta » dal « Paesaggio » di Pancaldi); l'estro costruttivo di forme che diremo « astratte » perchè senza alcun riferimento ad acquisizioni della nostra mente; tutto ciò è innegabile. Ma ne rimarrebbe, per la nostra supposizione, lungo tre secoli, una sensazione generica, ondeggiante, nebbiosa. E vorrete contrapporre, chiamandola come l'altra, da Antonello a Chardin, « pittura», una simile sensazione vaga e incerta a quel mondo, appunto, di idee e di sentimenti espressi in termini pittorici da una figuratività esemplata, poniamo, su un Pier della Francesca o su uh Fouquet? No, certo: resta soltanto lo spavento dell'ipotesi. Tre secoli di vuoto. Dunque, proporzioniamo an-zitutto 11 discorso ai fatti. Di- ciamo che questa mostra è co-me un bellissimo laboratorio per le ricerche d'un linguaggio che dovrà pur domani significare qualcosa di concreto, di essenziale: analisi, assaggi, prove, controprove. Un laboratorio di gente convinta —anche se spesso ancora prigioniera di un'illusione su ciò che dev'esser la pittura — che lavora paziente, tenace: come Becchis o Radice, Melli ìod Omiccioli, Galante o Paulucci, Morlotti, Birolli, Moreni, 11 puntiglioso Vacchi ed altri, pur in direzioni fra loro diverse. (Di Guttuso non sono ancor giunte le opere). Qualcuno è in primissimo piano: Pignon, per esempio, che con una fantasia nutrita di realtà domina la mostra, o Lapique che col suo gioioso colore l'ingentilisce, o l'anziano teorico del cubismo Metzinger, che è già in una posizione storica. E a una storia più recente appartiene Atanasio Soldati, scomparso due anni fa, esempio raro di coerenza in un rii durre la pittura ad una geo- | metria che malgrado il com passo e la squadra resta sempre di un incantevole candore, piena di un'affascinante j grazia, come ha notato, pre j3entandolo sul catalogo, Lio neu0 Venturi. Già più lontana | dalla nostra sensibilità, la « pojstUma» di Louis Marcoussis, i aitra recluta della falange cu1 bista, benché le sue due pic coie marine resistano al rapi j0 logorio d'una poetica che | parve decisiva per l'avvenire dell'arte. Sono proprio questi precipì1 tosi tramonti che nel gabinetto sperimentale dei « Peintres d'aujourd'hui » fanno meditare. Una piccola osservazione. Tolti Cortot e forse due o tre altri, gli espositori francesi nati dopo il 1920 tendono tutti, con modi vari, al < figurativo », ad una realtà naturale: Dauchot, Guerrier, Lesieur, \ Mayet, Petit ; e Sarthou e Mouly, di' poco più anziani, sono in parte sul loro cammino. Del nostri giovani al di sotto dei trentacinque anni vediamo soltanto Romagnoni star vicino al quasi coetaneo Daudhot. Temono di sembrar vecchi? At- bus, come al solito in Italia. A quei giovani francesi è evidente che le « postume » di De Stael e di Valmier appartengono a un passato che probabilmente si farà presto remoto. Forse per questo Paulucci, sempre molto vigile, è già diverso che a Venezia, dipinge, perbacco, delle <vere» colline. Marziano Bernardi j tenzione, non perdiamo l'auto1

Luoghi citati: Italia, Licata, Torino, Venezia