Convivènza di uomini semplici

Convivènza di uomini semplici Convivènza di uomini semplici Se l'atmosfera politica del mondo sta veramente cambiando dopo la conferenza di Ginevra, se i popoli si avviano in realtà verso un'era di pace costruttiva, credo che uno dei primi compiti nostri, di noi europei, sia quello di formarci una coscienza europea. Si tratta in realtà di tirare le somme. E prima di tutto di dar forma a un sentimento che è ancora impreciso in noi, ma già si avverte. Non è più soltanto un'esigua categoria di persone a sentire e a sapere che l'Europa costituisce un'unità spirituale. Non sono più soltanto gli uomini di cultura, appartenenti alle varie nazioni europee, che sentono di poter comunicare fra di loro come . se vivessero nello stesso paese, dentro una stessa tradizione di civiltà, di pensiero e di costumi. Sono, oggi larghi strati di popolazione che avvertono quello di cui prima non avevano sentore. Cioè che in Toscana, mettiamo, il campo ■ non si coltiva, molto' diversamente che in Baviera; che l'impiegato di Bruxelles ha su per giù gli stessi bisogni, vive su per giù nello stesso ambiente dell'impiegato di Torino o di Milano. Le guerre e il lavoro hanno mescolato fra di loro gli uomini d'Europa, che si sono conosciuti per contatto di vita, di dolore, di necessità. Come in tutte le cose umane non c'è un male che non sia accompagnato da un bene, cosi accanto agli orrori di quest'ultima guerra, alle invasioni, alle deportazioni, ai saccheggi, agli odi barbarici, c'è stata una convivenza tra uomini semplici e modesti di varie nazioni, che nelle necessità giornaliere hanno imparato a capirsi e ad aiutarsi, a considerarsi vicini e a vedersi nel fondo dell'anima. E* questa la coscienza più valida, affinchè gli anelli delle varie cittadinanze s'innestino e si fondino in un solo anello, nell'anello di una cittadinanza comune: l'Europa. Gli uomini del la cultura, sottilizzano troppo, tendono a sofisticare, raramente insieme riescono a consolidare una comunità; gli uomini poli tici dell'Internazionale hanno altre mète, guardano soltanto agli interessi d'una classe e non curano quel sensibile tessuto che è la segreta ragione vitale di una società bene equilibrata e armoniosamente progressiva. Perciò la vera e costruttiva coscienza d'una Europa unificabile ver1 rà proprio dalle radici dello strato medio, dal popolo articolato in tutte le sue categorie lavoratrici. Ma insieme con questa base è necessario lavorare nei vertici. La coscienza nasce da un sentimento, ma si precisa e cresce e si consolida nella fede mantenuta alla pròpria civiltà. La ci viltà europea non è una parola, ma esiste e come esiste! Ha le sue fondamenta e su queste fon damenta tutti i popoli europei . hanno contribuito a elevare l'ammirevole edificio della loro civiltà. Tempo fa assistetti alla con ferenza d'un archeologo. Ci faceva vedere i due frontoni del tempio di Zeus a Olimpia e ci parlava del suo autore, di quell'ignoto maestro lapicida, che visse prima del grandissimo Fidia. Quell'opera risale al V se colo avanti Cristo: forse a più di duemilaquattrocento anni fa. Ebbene, in quelle forme, in que gli atteggiamenti, in quel lin guaggió artistico noi riconosciamo noi stessi, ' riconosciamo tutta l'arte che è venuta dopo. Ma non possiamo più riconoscere quello che si fa in certi campi della scultura, e in genere delle arti figurative, proprio ai nostri giorni. Davanti a certi linguaggi, a certe espressioni che ci si presentano come la «scultura moderna », la « pittura mo dcrna », noi dubitiamo che que sto sia un linguaggio nostro, i linguaggio della civiltà europèa In due millenni e mezzo l'arte nostra s'è arricchita d'infinite novità, è rinverdita su moltissimi innesti, s'è trasformata per necessità interiori e per circostanze esterne, ma è rimasta . sempre sul proprio terreno e col proprio carattere. Ora, se noi trascuriamo la nostra sostanza indigena, per imbeverci d'essenze esotiche, se abbandoniamo il nostro centro per puro desiderio d'eccentricità, corriamo il ri schio di non riconoscere più noi stessi e di perdere per sempre l'eredità spirituale che ci hanno lasciato i nostri padri. Se noi crediamo che innesti negri iniezioni indie possano scuotere la nostra pigrizia mentale, rigenerarci, ridarci nuova vitalità sbagliamo profondamente. II risultato è invece l'opposto E quello che avviene nell'arte, avviene anche nei costumi in generale nella mentalità. Ci snaturiamo, perchè non siamo sufficientemente consci di noi stessi. Per debolezza o per igno ranza siamo i primi noi a teme ■ re che la civiltà europea stia morendo o sia addirittura già morta e perciò, invece di resi stere sulle nostre posizioni, ce diamo, abdichiamo, mettiamo la nostra intelligenza al servizio di altre civiltà, che, per essere più gtivforastqseaindsevavprl'dpnrUsAa giovani e ottimistiche e invadenti della nostra, ci sembrano più vitali e più sicure per l'avvenire. E' necessario, come primo fondamento di una coscienza europea, che noi europei torniamo ad aver fiducia in noi, nella nostra civiltà, e che traiamo da questa l'energia per proseguire, senza chiuderci alle influenze di altri continenti, anzi curiosi e interessati a ogni rinnovamento a ogni vero impulso spirituale, da qualunque parte venga, ma senza lasciarci sopraffare, senza vacillare, mantenendo salda fede alle nostre tradizioni e consapevoli che soltanto restando noi possiamo sopravvivere come europei e affermarci uniti in quell'antica e nobile Europa, che è destinata a fare ancora una sua parte importante nella storia e nella civiltà del mondo. Giani Stuparich rn i m e 11111 e i r 11111 i 11 u i n n 1111111111111 l < i j i r 11 n i

Persone citate: Giani Stuparich