Le amicizie di Bagutta

Le amicizie di Bagutta Le amicizie di Bagutta Milano, trent'anni fa, era la città delle braccia aperte. Gente venuta da ogni paese vi trovava pronta, e appena un po'. ironica, accoglienza. I vecchi milanesi (ve n'erano ancora molti) evitavano i giudizi troppo crudi verso i forestieri, preoccupandosi, di «non farli restar male »; e guardavano con simpatia ai giovani artisti, li seguivano nelle loro vicende, si divertivano alle loro allegrie: perchè, in quei tempi, si incontravano anche artisti allegri, che andavano per i caffè e le osterie, qui cantando, là discutendo, più proclivi a passar le ore nell'attesa della ispirazione che non nel lavoro. D'altra parte, in una città tanto operosa da bastare a se stessa, nessuno li considerava socialmente impegnati a fornire una produzione quotidiana regolare e costante; bastiamo noi, parevan dire con rude fierezza gli industriali e i commercianti, ad affrontare gli affanni della vita intensa. •In quel libero espandersi degli ingegni, esistevano tuttavia due cèntri di maggiore attrazione: la «Fiera letteraria» di Umberto. Fracchi? e la trattoria toscana di via Bagutta; e poiché quasi sempre gli scrittori della prima andavano a mangiare nella seconda, i due centri, divennero in realtà uno solo, col risultato di attirare non soltanto i letterati, i pittori, i musicisti, i giornalisti vecchi e giovani che. assicuravano a Milano un forte vantaggio culturale sopra ]e altre città, ma anche gente delle più varie origini e professioni: editori, avvocati, medici, ingegneri, e perfino certi uomini d'affari desiderosi di distendere un poco i nervi in compagnia degli «scapigliati». Se alla « Fiera », che aveva aperto una libreria in Piazza San Carlo, i « non addetti ai lavori » si limitavano ad entrare per comprar qualche libro o per invitare i redattori a prendere un aperitivo al bar più vicino, in Bagutta, più liberamente, andavano a sedersi alla stessa tavola degli artisti. Ed era proprio li che nascevano e si consolidavano le amicizie. Non c'erano ostracismi, non diffidenze, non superbie, -sicché capitava che i più uniti»-i più. fiaterai, .Sparissero sovente i più diversi per mestiere o per temperamento: Io scrittore già famoso accanto al cronista ' in erba, il pittore a braccetto col libraio, l'attore a tu per tu col banchiere. Quanto, alle idee e alle tendenze letterarie, era sottinteso che tutte fossero ammesse 6 almeno, tollerate. Come non c'erano « direzioni vietate » rielle strade della città, cosi non dovevano esservene in arte; ognuno poteva far quel che voleva, pensarla come meglio gli piaceva, e tutt'al più si sarebbe poi guardato ai risultati. Ma anche in questo caso non esistevano prevenzioni. E se ne ebbe una prova quando nella trattoria omonima nacque il « Premio Bagutta ». Non tocca a me, che fui il primo a beneficiarne, dire quanto la giuria, composta anch'essa di uomini dalle inclinazioni più disparate, fosse onesta e savia nei suoi verdetti; ma proprio io posso testimoniare della coraggiosa indipendenza . mostrata davanti a pressioni, anzi a minacce tutt'altro che irrilevanti, avanzate da energumeni che non vedevano di buon occhio un'premio assegnato a persona politicamente, sgradita. A parte questo episodio, occorre anche ricordare co me nella scelta non avesse peso neèsun movènte personalistico; e l'ottimista premiava il malinconico, il chiassoso favoriva il solitario, l'eloquente difendeva il taciturno. Infine, il premio an dava quasi sempre a un giovane, oppure a un isolato, a un irregolare; nè mai capitò che, premiando un libro, si volesse lusingare una corrente qualsiasi o un qualsiasi interesse commerciale. Queste cose, ritengo, andavano ricordate, perchè nessuno le ha messe in rilievo nel recente volume di celebrazione baguttiana: Bagutta, a cura di Marino Parenti (ed. Casini, Roma). Riccardo Bacchelli, in una succosa pagina di prefazione, si limita a scherzare, anzi si schermisce, quasi che in quella faccenda lui non c'entrasse per nulla: ed era, come rimane, il più autorevole di tutti, il supremo moderatore, giustamente amato e rispettato dagli ormai quasi duemila baguttiani regolari o occasionali. Orio Vergani, che assomma in sè lo spirito più combattivo e operante di Bagutta, lo vediamo invece in questo li' bro diffondersi in una lunga, e in più punti deliziosa, rievocazione della « vecchia Milano », e parlar di strade,-di osterie, di gente-varia, ma tacer dei meriti propri e dei suoi compagni di tavola e di giuria. C'è nelle sue parole l'affetto, il rimpianto, la commozione; manca l'elogio; ed è riprova del suo animo gentile, del suo delicato altruismo, di quel suo costume d'uomo pronto a prodigarsi per gli altri, anche a scapito di se stesso. Rimane da dir qualcosa di Mario Vellani Marchi, infaticabile illustratore dei baguttiani, il quale in questo volume lussuosissimo ha sciorinato tutta una galleria di ritratti dove la caricatura non è mai offensiva o spietata, insieme con gran numero di tavole in nero e a colori riproducenti i menus dei pranzi dati in onore dei commensali distintisi, diremo così, per atti di valore artistico o letterario: da Monelli, inerpicato su un picco alpino, a Piovene in abito da .monaca, da De Chirico a De Pisis, da Pizzetti a Ungaretti, dal libraio Branduani ad Eugenio d'Ors, da Comisso a Ingrid Bergman. Anche qui, tutto è posto sotto il segno della amicizia, accompagnata dal rispetto per il lavoro altrui, e come dal piacere di far piacere: che potrebbe essere l'insegna stessa del baguttismo. Molti anni sono passati, e forse Bagutta è un po' diversa da quel che fu nelle origini. Può darsi — ma vorrei ingannarmi — che i milanesi d'oggi non la seguano più con l'affabile attenzione d'una volta, distratti come sono da avvenimenti tanto più clamorosi (centomila lire per un premio letterario devono parere quasi un'elemosina: mentre proprio nell'esiguità della somma rifulge il disinteresse dei promotori e dei candidati). Lascia anche perplessi il fatto che per un libro così legato alla storia recente di Milano, si sia dovuto ricorrere alla buona volontà d'un editore di Roma. Ma, ripeto, forse sono impressioni errate. L'importante è che Bagutta esista sèmpre. Ho passato un'intera serata, e parte della notte, a leggere e a sfogliare questo bel volume che ne rievoca le vicende. Dire che mi sono ' commosso sarebbe anche troppo semplice; e voglio aggiungere che ho provato un po' d'amarezza. Un premio così non si farà mai più, temo. Era il pri: mo, nasceva dall'entusiasmo e da una- specie di innocenza;-—^:l'innocenza dei credenti nell'arte — che s'è perduta. Altri premi sono venuti, a centinaia, ormai a migliaia, e per la più gran parte freddamente concepiti, svogliatamente conferiti davanti a un pubblico , di ballerini impazienti,, scetticamente accolti dallo stesso autore, ridotto a sussurrare agli amici: «Ho concorso soltanto per via di quel milione, di cui avevo proprio bisogno... ». Anche la letteratura, sotto la spinta del «mondo in mutamento», ha veduto moltiplicarsi i « sensi unici », le « soste vietate »; e gli irregolari, gli isolati, i giovani pensierosi e taciturni, restano quasi sèmpre fermi a mezza strada, troppo timidi o troppo dignitosi per praticare l'autostop letterario. Ma quel che oggi soprattutto manca, mentre a Bagutta abbondava, è l'amicizia. Ogni slancio è subito frenato dalla beffa, dall'irrisione, ci si impiccherebbe piuttosto di mostrarsi sinceramente cordiali, ci si nutre di riserve, di limitazioni, di pettegolezzi, si sostiene che tutto va a rotoli, ma in fondo a nessuno importa nulla di nulla. C'è più serietà, si dice, si lavora per uno scopo sociale, per dare una precisa testimonianza dèi tempi, non si ammette più l'individualismo dell'artista. Ma a che serve, se più ci confonde con la folla, e più la folla ci ignora? Se perfino i vicini, gli interessati, alzano svogliatamente le spalle? Il decano dei premiati di Bagutta pensa che la maggior soddisfazione letteraria della propria vita la conobbe proprio quella sera del 14 gennaio 1928, fra quegli amici che così spontaneamente lo festeggiavano; e se non ci fosse stata Bagutta, dalla letteratura non avrebbe ricavato neppure il piccolo, fuggevole piacere di un consenso non intriso di veleni e non volto subitamente in parodia. G. B. Angioletti

Luoghi citati: Milano, Roma