Il "3 gennaio" di Perón di Vittorio Gorresio

Il "3 gennaio" di Perón Il "3 gennaio" di Perón Roma, 1 settembre. Anche per l'Argentina è arrivato il 3 gennaio, e noi già conosciamo questa storia, e ricordiamo l'esperienza dell'uomo politico che un brutto giorno non vede avanti a s' altra via di salvezza all'infuori di quella che mena dritto alla soppressione, non soltanto di tutte le libertà, ma,- ove occorra, anche della persona fisica degli oppositori. « Chiunque agirà contro le autorità costituite, potrà essere ucciso da qualsiasi argentino », ha dichiarato ieri Perón, drammaticamente risoltosi dopo qualche mese di esitazione a « sciogliere le mani» ai suoi descamisados. L'idea che fosse necessario sciogliere le mani agli squadristi, fu l'idea fissa degli estremisti in camicia nera per tutta la seconda metà del 1024, dopo il delitto Matteotti. Fu il titolo pubblicato dal quotidiano L'Impero su tutta la sua prima pagina il 4 settembre di quell'anno; fu la scritta che campeggiava sui cartelloni innalzati in tutte le adunate di squadristi della Valle Padana : « Duce, scioglici le mani! ». Erano i giorni che De Bono raccoglieva le firme di quattrocento ufficiali in congedo per telegrafare in loro nome a Mussolini che essi erano « pronti ad uccidere ed a morire per il fascismo ». Era allora che l'ammiraglio Costanzo Giano, in un discorso pronunciato il 20 settembre, ammoniva: « O gli avversari si ritirano nelle loro tane, o. noi saremo pronti con i nostri talloni a schiacciare loro la testa». E' lo stesso avvertimento che il generale Perón ha dato ieri dal balcone della Casa Rosada, e la minaccia è la medesima che Mussolini formulava nel suo discorso ai minatori del Monte Amiata, trentun anni fa, per spaventare gli oppositori: « Il giorno che uscissero dalla vociferazione molesta per andare alle cose concrete, quel giorno noi di costoro faremmo lo strame per gli accampamenti delle camicie nere ». Come Perón ha detto che la pazienza del popolo argentino è ormai giunta al suo limite, così allora L'Impero ferocemente scriveva: « Il gigante fascista freme e sta per dare uno scrollone terribile. Allora non vi sarà barba di normalizzatore che potrà impedire al fascismo di istituire in ogni piazza d'Italia quei plotoni d: esecuzione che avemmo il torto di non volere nel 1922 ». H sarcasmo con cui si parlava dei « normalizzatori », corrisponde al disprezzo che oggi Perón ha manifestato per ogni possibilità di ritorno del Paese sotto l'imperio della legge costituzionale: e fu del resto il tema preferito da Farinacci che raccomandava, esortava, esigeva che la situazione in Italia venisse risolta mediante la « legalizzazione dell'illegalismo ». I movimenti liberticidi vengono infatti, sempre, a trovarsi di fronte alla necessità delle estreme conseguenze, che Farinacci indicava a suo tempo con un grossolano dilemma : « O abbattere le opposizioni, o abbattere il fascismo ». Anche a Perón non è concessa diversa via di scampo, poiché chi va a cavallo di una tigre, tutto può fare tranne che scenderne. A Mussolini, Giunta disse in quei giorni drammatici della fine del '24 : « Se vuoi andare a picco tu, non è soltanto affare tuo : noi non vogliamo ». E Tarabella, uno dei consoli squadristi: «Siamo stanchi di segnare il passo: o tutti in prigione, voi compreso, o tutti d'accordo per agire ». Massimo Rocca testimonia del resto che in diverse province, attorno ai ras locali, si formavano squadre decise a « resistere anche al duce, se mai que> sti si fosse dimesso ». Ci sono momenti fatali in cui i nemici della libertà sono costretti, anche solo magari dalla paura, ad andare avanti a qualunque co¬ sto. Questa stretta, in cui si trova oggi Perón, Mussolini la conobbe allora: e non sono difatti senza significato e senza giustificazione certi slogane che alla prima impressione potrebbero anche apparire solamente grotteschi, come P« Indietro non si torna » o l'altro che comanda di « Vivere pericolosamente ». Non è un caso che tutti e due questi comandamenti siano stati coniati verso la fine del '24. Erano giorni che l'Italia era dominata da quattro grandi paure, concomitanti, intrecciate fra loro: l'onesta paura degli oppositori di venire sopraffatti; la paura degli squadristi di dover rendere conto alla giustizia ; la paura che Mussolini aveva degli squadristi, se mai li avesse abbandonati; .la paura del re per una possibile guerra civile. Anche in Argentina, a quanto sembra, sono in concorso diverse paure : degli oppositori più o meno legali, dei capi militari più o meno fidati, dello stesso Perón, dei capi sindacalisti. E' in queste circostanze che le situazioni precipitano. Perón ha inscenato la farsa delle dimissioni annunciate e ritirate subito: Mussolini non si sarebbe potuto permettere nemmeno questo espediente. Confidò allora a Margherita Sarfatti: « Se io mi dimetto, l'indomani non vivo più ». Testimonia, e precisa, uno dei suoi biografi, Yvon de Begnac: «Tutte le eventualità considerò Mussolini in quel momento di tragedia: allargamento ministeriale, maniera forte, più stretta alleanza con la Corona. Una sola decisione escluse dal proprio proposito: le dimissioni. Se avesse anche lontanamente acceduto ad una simile determinazione, Balbo o Farinacci, Tamburini o Padovani lo avrebbero ucciso ». Quando le responsabilità si fanno tragicamente pesanti, i complici sono dannati ad una stessa catena secondo la logica infernale del delitto: « Quando noi decidiamo di combattere — ha detto infatti Perón — noi combattiamo fino in fondo ». Così Mussolini aveva avvertito: « Gli oppositori non sanno che sono un cinghiale: non morirò prima di aver ficcato i denti nei fianchi dei cani e dei cacciatori ». Nell'immagine scelta si riflette l'oscura sensazione di Mussolini d'essere ormai un animale braccato: ed è la stessa che ha spinto Perón alla ferocia delle estreme determinazioni: « Se cadrà uno dei nostri, cadranno cinque dei loro ». Naturalmente non può mancare il tentativo di ali¬ bi: «Ho offerto ai miei avversari la pace. Non l'hanr no vohita, e ora la parola d'ordine è combattere », ha detto Perón. E Mussolini, sullo stesso tema : « H fascismo è ben deciso a snudare la spada se l'ulivo della pace non venisse raccolto ». Di qui il discorso del 3 gennaio, di qui il discorso del 31 agosto per annunciare la lotta ad oltranza, senza quartiere per gli avversari: « Siate certi che nelle 48 ore successive -al mio discorso la situazione sarà chiarita su tutta l'area, con l'amore se è possibile, o con la forza se sarà necessario », aveva detto Mussolini. Non bastarono 48 ore, ma, secondo Salvemini, « in meno di due anni fu spazzato via dall'Italia ogni vestigio di ciò che era stata la civiltà moderna e occidentale ». Anche Perón vuole chiarire la situazione su tutta l'area, vuole spazzare gli avversari : « La lotta che iniziamo ora non deve terminare finché non li avremo spazzati via e schiacciati definitivamente ». « Oggi non si può discutere — aveva affermato Mussolini. — L'opposizione è stolta e superflua ». La storia poi si incarica di far crollare gli idc -i mostruosi, nel sangue e nel disastro. E poiché non esiste una regola di durata per le dittature, si può augurare all'Argentina che il sUo calvario sia più breve del nostro. Vittorio Gorresio

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