Mia cugina Delizia

Mia cugina Delizia Mia cugina Delizia Se la conosceste, capireste subito perchè mia cugina Giulia io la chiami « mia cugina Delizia ». Ha novantadue anni, ma guardandola alle spalle da una certa distanza, la direste una guizzante signora di trent'anni, tanto è diritta, floridamente snella, in continuo e rapido movimento, anzi in corsa, dalla cantina alla soffitta e per i campi che circondano la sua solitaria villa di Spin, in comune di Romano d'Ezzelino, poco lungi da Bussano del Grappa. E se l'afferri perchè un poco si riposi, ti sguscia di tra le braccia con una risata. — La Natura — mi disse un giorno — me ne ha fatti molti di doni, e prima di tutto la salute: alla mia tenera età leggo e cucio senza occhiali; sì, qualche rcumetto di tanto in tanto; a novantadue anni non posso pretendere di fare la ballerina in corda; mi è capitato anche un maluccio artritico a un ginocchio; ma è capitato male, come la gotta in casa del contadino in una favola di Gaspare Gozzi: l'ho tanto strapazzato che se n'è dovuto andare. Dici bene tu: « Sta' un po' queta e riposati! ». Ma se non ci bado io ai servitori e ai contadini, il grano non spiga, il mosto non fermenta nei tini, le galline non fanno uova, i galletti non mettono la cresta, il gatto è capace di scoperchiare la pentola e di rubare il lesso che bolle. E an drebbe alla malora il poco ben: che il babbo ha lasciato ai miei figli, che sono veramente il dono più bello, più santo che Dio mi ha fatto. Eh si, sarei bene ingrata se non riconoscessi che il Cieio mi ha largito tutti i beni che po tevo desiderare. Tutti meno uno forse, almeno per un numero di anni che mi pare infinito: la fede. Non vorrei farti pensare che 10 negassi Dio. No, no, no! Io ho sempre voluto credere in Dio: e per tutta la vita l'ho cercato con una intensità quasi do lorosa. Lo hai detto tu che Dio è il più bello dei nostri desi' deri? Proprio così. Ma... E' molto difficile per una povera donna come me che, a furia di leggere e di pensare, non ha capito nulla, dire con chiarezza ciò che proprio chiaro non è neppure dentro di me. - So che la scienza oggi ha smisuratamente allargato l'Universo e ha tentato di penetrare, senza riuscirvi, le leggi supreme che non hanno altra spiegazione che Dio: perciò io credo veramente che il Grande Spirito con un atto del suo pensiero ha creato nel tempo infinitamente lontano gli atomi, le cui particelle cariche di elettricità turbinano nell'immenso vuoto intorno al nucleo: energia prima che materia, di cui sono costruiti i miliardi di stelle che formano le Galassie turbinanti con le stesse leggi dell'atomo nell'infinito spazio dell'Universo, nell'eterna vicenda delle formazioni e delle dissoluzioni. E so che con lo stesso atto del suo Pensiero il Grande Spirito ha creato la vita, la vita del germe cosi piccolo che al suo confronto il microbo è un gigante, e la vita dell'uomo che Egli ha plasmato a sua somiglianza, infondendogli la coscienza e un raggio della sua luce. Così penso, così credo, così so. Ma... ma è il mio cervello che lo crede e lo afferma; non il mio cuore. E' difficile a dirsi: Dovunque il guardo lo giro Immenso Dio ti vedo; Nell'opre tue t'ammiro... E vorrei per concludere come 11 Metastasio: Ti riconosco In me. La più umile, la più ignorante delle contadine può abbandonarsi a Dio con una passione di fede che assomiglia all'estasi, e il suo cuore ne è infiammato: io ho cercato per tanti e tanti anni della mia lunga vita Dio nel cielo fulgente, e l'ho cercato in me; ma il mio cuore è rimasto freddo. Comprendimi...! Se io penso alla mia povera mamma santa, o al mio caro marito, o ai miei figli diletti, il loro pensiero mi prende tutta, e l'anima si strugge di tenerezza; così avrei voluto che il pensiero del Padre nostro misericordioso m'infiammasse o almeno mi accorasse; e spesso la sera prima di coricarmi, la mattina prima di cominciare a sfaccendare per casa, cercavo di concentrarmi con uno sforzo che mi faceva battere il cuore recitando il Pater Noster, e tendevo l'orecchio interno, ansiosa di cogliere in me, che so io?, un palpito, un fremito che mi rivelasse finalmente la presenza divina; e nel cuore muto avvertivo soltanto il vuoto. Mi era più facile e perciò più consolante affidarmi alla Madonna, e parlarle con un abbandono pieno di soave confidenza. Certo se La pregavo per me con le parole deli'Ave Maria, del Salve Regina, facilmente mi distraevo; ma se le mie figlie o i miei figli soffrivano o erano in pericolo, inginocchiata sul pavimento della mia camera dinanzi all'imma¬ gine dell'Addolorata, io La invocavo, non con le preghiere della Chiesa, ma con le parole che mi sgorgavano dal cuore con tale passione e con tante lagrime e sospiri come fossi certa che la Madonna mi ascoltava pietosa e mi avrebbe esaudita. Questa fiducia mi aiutò a vivere quando tutti e due i miei figli, come tanti e tanti figli di povere mamme, furono in quotidiano pericolo mortale. Il maggiore, Giovanni, tenente dei lancieri di Vercelli appiedati, era in trincea sul Carso; e sul Carso l'altro mio figlio Giuseppe, tenente lui pure dei lancieri, ma del reggimento Vittorio Emanuele, anch'essi appiedati, comandava una sezione di mitragliatrici a una trentina di chilometri di distanza dal fratello; e il 18 luglio del 1915, nella battaglia di Monte Sei Busi, fu colpito da una granata che gli squarciò il petto e la spalla con una orribile ferita vasta come un piatto da tavola. Molte volte prima di allora avevo creduto di toccare il fondo del dolore; non era vero: lo capii il giorno in cui seppi che mio figlio era stato trasportato morente in un ospedale da campo. Come sia sopravvissuta a quello spasimo non so: avevo nel cuore la piaga del mio figliolo; e per settimane e settimane, di giorno e di notte non cessò di sanguinare. Neppure il sonno, quando riuscivo ad assopirmi, mi placava, perchè i sogni esacerbavano il mio soffrire, e anche dormendo singhiozzavo. Inginocchiata, tra le mie due figlie, dinanzi all'immagine dell'Addolorata languidamente rischiarata dal lumino ad olio, io La pregavo con tanta effusione che talvolta mi pareva di vederla far cenno con gli occhi come se dicesse: «Sì, sì, povera mamma! ». E io riprendevo speranza; ma anche spogliandomi per coricarmi piangevo; e Vincenzo, mio marito, mi guardava pallido, cupo, con le labbra suggellate; ma talvolta gli scorsi una lagrima sul ciglio, e non giurerei che coricandosi non dicesse silenziosamente una preghiera anche lui. Non sono superstiziosa; non credo .alla iettatura nè ai presagi, e tanto meno agli scongiuri; ma la superstizione deve essere un'ansietà radicata nel buio strato. ancestrale della natura umana, e un lungo soffrire, debilitando le resistenze dell'organismo e della ragione, o un urto violento può farla risalire a galla come dal fondo melmoso risale il pullulare di gocce d'aria alla superficie di uno stagno. Dopo parecchie ore d'insonnia e di sospiri, una notte riuscii a prendere sonno; ma fui presto svegliata con il cuore in tumulto da un brutto sogno, e aprendo gli occhi avvertii che la camera era perfettamente buia « Maria Vergine! — pensai — se ga smorza el lumin de la Ma' donna! ». E mi prese l'atroce spavento che lo spegnersi della lampada significasse che si era spenta la vita del mio Beppi. Era il mese di agosto, e io singhiozzavo battendo i denti per il gelo che mi aveva invasa; scesi traballando d.l letto, e mi inginocchiai tendendo le mani congiunte verso la buia immagine di Maria Santa, pregando con tutta l'effusione dell'anima straziata: — Madonna, Madonna, fa che non sia vero; fa che non sia vero, Madonna! Poi, come se mi prendesse l'ansia di far qualche cosa per salvare mio figlio*, e prima di rutto rianimarlo riaccendendo la luce della lampada dinanzi all'immagine dell'Addolorata, scesi a tentoni in cucina, risalii con la candela in una mano e l'ampolla dell'olio nell'altra; versai l'olio nella lampada, l'accesi, m'inginocchiai ancora chinandomi fino a toccare con la fronte il pavimento, pregando: — Fa che non sia vero. Madonna Santa, fa che non sia vero! E forse singhiozzai forte perchè Vincenzo si svegliò: mi vide; vide la candela accesa in terra accanto a me, disse spaventato: — Che cosa è successo? Non volevo comunicargli il mio terrore; gli risposi: — Niente, niente! Si era spento il lumino della Madonna e avevo fatto un brutto sogno. Lui capì; soggiunse: — Guarda se una donna intelligente come te deve abbandonarsi a queste superstizioni! Io invece quando mi hai svegliato ero tutto contento perchè sognavo che Beppi guariva. Vieni a letto, donna benedetta, che io devo alzarmi presto per fare il giro della condotta. La sua voce poteva parere burbera, ma io ci sentivo come un'insolita vena di compatimento e di tenerezza; e ne fui confortata. Ma più mi aveva alleggerito il cuore l'impeto appassionato della,mia preghiera. Fatto sta che, pur piangendo e singhiozzando pian piano, finii coll'addormcntarmi prima dell'alba; quando mi svegliai, Vincenzo era già uscito e sentivo sfaccendare per la casa le mie fi- gliole. Finivo di vestirmi con la finestra aperta, quando udii una voce festosa gridare dal basso: — Siora Giulia, allegri! Buone notizie! Mi affacciai; il fattorino del telegrafo scendendo dalla bicicletta, agitava verso di me un telegramma. Credo che se quel bravo uomo non avesse gridato « Buone notizie », vedendo il telegramma nella sua mano dopo la terribile notte, sarei caduta fulminata. Scesi di furia; con me giunsero alla porta le mie figlie; Rina lesse forte il telegramma: era di mio figlio Giovanni; diceva che Beppi era ormai fuori pericolo e che presto dall'ospedale da campo sarebbe stato trasportato all'ospedale militare di Vicenza. Ero talmente felice che avrei voluto vedere intorno a me tutti felici, uomini e bestie. Regalai al fattorino del telegrafo cento lire di mancia, che allora non erano poche; doppia elemosina ai mendicanti che venivano alla porta, doppio vino ai servitori, doppia avena e doppio fieno al cavallo, doppio grano alle galline. E spogliai il giardino per portare una bracciata di fiori in chiesa all'altare della Madonna. . All'immensa gioia si univa completandola — ah se sapessi dire! — uno struggimento estatico che era insieme sgomento e beatitudine, anelito di elevazione spirituale e appassionata riconoscenza per la grazia miracolosa che mi era stata concessa So bene: il telegramma di Giovanni era precedente alla mia notte di spasimo,' e l'intervento della Madonna aveva preceduto la mia implorazione. Perciò la logica... consequenziale (si dice così?) non avrebbe potuto ammettere quello che mi pareva un miracolo. Ma guai a chi non sente che la logica del cuore soverchia il ragionamento e conclude per intuizioni che non hanno nulla di comune con i procedimenti ordinari della mente. Per me la successione dei fatti era avvenuta, così : la disperazione della notte allo spegnersi della lampada dinanzi all'Addolorata, la invocazione che per la prima volta forse mi era sgorgata dall'anima con fede appassionata, e poche ore dopo l'annuncio che Beppi era salvo. Ma la Madonna interceditrice di .grazie non è concepibile se non come la celeste intermediaria tra le creature e il Creatore; perciò la grazia della Vergine suscitava in me il presentimento dell'altra grazia alla quale avevo sempre aspirato invano: la fede totale, senza ombre nè dubbi nè interrogazioni presuntuose, e la certezza quasi sensibile della presenza di Dio in me. Ma passarono molti e molti anni, e ancora io imploravo con le parole dello Stabat Mater: Padre, fac ut ardeat cor metani Venne la seconda guerra mondiale, e la mia casa fu nuovamente invasa da militari e da sfollati. Io soffrivo di troppi disagi, ansie e pene, separata dai miei figli perchè l'Italia era divisa in due e le comunicazioni impossibili o difficili. In quel tempo venne a visitarmi a Spin la contessina Anna Bianchi-Michiel: aveva vent'anni o poco più; era di famiglia dogale, bella, alta, snella, viva come tutta la sua cara gente che abita qui presso a Sant'Eusebio; nei balli, nelle conversazioni, negli esercizi sportivi aveva brillato su tutte per eleganza e allegrezza di spirito; e aveva avuto una sola ardente aspirazione: farsi monaca. E ora, sul punto di partire per il noviziato, veniva a prendere congedo da me. Le dissi: — Anna. Tu che sei tanto vicina a Dio pregalo che mi faccia la grazii di rivelarsi a me. Il suo bel volto s'illuminò di allegrezza; mi rispose: — Lei mi fa pensare a mio zio, il marchese di San Cataldo, che un giorno cercava nervosamente un po' dappertutto gli occhiali che aveva sul naso. — Che vuoi 'dire, benedetta? — Voglio dire che lei non cercherebbe Dio se non lo avesse in cuore. Ma la fede deve essere pace, non ansietà. La cara giovinetta insegnava a me vecchiona una così semplice verità. Eppure in quella spaventosa tragedia del mondo che mi pareva la negazione di Dio, io sentivo intiepidirsi in me la fede a cui un tempo mi aveva accostata la grazia della Vergine; e ne ero sgomenta. Ma appunto perchè mi pareva che Dio avesse abbandonato gli uomini, e sentivo il cuore anche più deserto, in quelli notti affannose, come un tempo, ma forse ancora più avidamente, io Lo cercavo nel cielo stellato e in me. Una notte, nell'ora più oscura che precede l'alba, mentre ero come perduta nella contemplazione del cielo che era tutto uno sfolgorìo di astri, d'un tratto mi raccolsi in me per spiare se mi coglicssi dentro un segno della Sua Presenza. Mi parve di riudire infinitamente dolce e profonda la voce della contessina Biaa-

Luoghi citati: Italia, San Cataldo, Vercelli, Vicenza