II veto a Giolitti nel '22 di Luigi Salvatorelli

II veto a Giolitti nel '22 LETTE E AL I R E TTOR E II veto a Giolitti nel '22 Un chiarimento di don Sturzo e la risposta di Luigi Salvatorelli Roma, 24 agosto 1955. Signor Direttore, Nel febbraio 1922, cinque o sei ministri democratici liberali (detti giolittianl) si dimisero, a Camera chiusa, dal Gabinetto Bonoml. Invitato dal Re a formare il nuovo Gabinetto, l'on.- Giolitti, come d'uso, si riserbò di dare risposta dopo consultati gii esponenti dei gruppi parlamentari. I popolari risposero con un rifiuto e per quanto pregati, anche da altri colleghi, persistettero nella decisione fino a che Giolitti rinunciò all'incarico. > Questo il fatto schematico noto come < il veto a Giolitti », al quale nel recente articolo < Testamento di De Gasperi », Luigi Salvatorelli fa cenno come un atto, a dir poco, < di uno dei più robusti egoismi di partito • di cui si abbia il ricòrdo in questo paese » (parole di Amendola del 29 marzo 1920, applicate al caso). Non è di mio gusto polemizzare con chi ci ha lasciato da tempo e del quale ho alto e caro ricordo (egli nel 1922, ministro nel secondo ministero Facta, mantenne con me contatti continui e sinceri nella tremenda visione della imminente catastrofe). Ma ho il diritto di chiedere a Luigi Salvatorelli, perchè attribuisca egli il significato di egoismo di partito all'atto dei popolari che non vollero entrare ad un Gabinetto Giolitti e non a quello dei giolittianl che abbandonarono 11 Gabinetto Bonomi. E' vero che nell'azione umana sono quasi sempre mescolati fini nobili « motivi egoistici (nessuno si salva); ma il dovere di uno storico, anche se in veste di polemista, è quello di vagliare i motivi di un'azione e tener conto della correttezza morale, oltre che della osservanza delle regole, da parte delle persone cui si fa riferimento; gli attori principali eravamo De Gasperi presidente e Cavazzoni segretario del Gruppo parlamentare; chi scrive, segretario politico del partito. Si può, forse, contestare ad un partito il diritto di valutare i motivi prò e contro alla partecipazione ad un Governo? Ebbene, i popolari allora avevano fresco il ricordò del governo di Giolitti, il quale, nelle elezioni amministrative del 1920, aveva favorito le alleanze con i fascisti contro le liste popolari, e nelle elezioni del 1921 aveva, sciolta la Camera, sostenute le candidature di fascisti come correttivo 8,i gruppi popolare, e socialista. Egli riusci nell'intento •portando 35 fascisti alla Camera, ma non ottenne la diminuzione dei popolari che tornarono in 108. A parte altri motivi di dissenso con Giolitti, questi erano già importanti per un giustificato rifiuto. Debbo inoltre negare recisamente che, nella concezione e nella pratica popolare, lo Stato, anche lo Stato attuato dai liberali del post-risorglmento, venisse posto «sullo stesso piano del partito, se non addirittura In un piano inferiore », come afferma Salvatorelli nel citato articolo. E' questa una deformazione che non ha base'in nessuno. atto e in nessuno scritto, sia del partito, sia degli esponenti responsabili, sia del sottoscritto. Nell'appello è chiaramente affermato che « ad uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale (sottolineo, per farlo notare) sostituire uno Stato veramente popolare ». Questa la base riformistica del partito. Nella Costituzione attuale non è stato affermato che < l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro »? E non potevamo allora affermare di volere uno Stato popolare invece di uno Stato liberale, prima di arrivare ad uno Stato socialista 0 ad uno Stato fascista? Gradisca, esimio Direttore, 1 miei ringraziamenti e i più distinti saluti. Luigi Sturzo Caro Direttore, La crisi Bonomi non ebbe origine dalle dimissioni di « cinque o sei » Ministri « giolittiani ». Intanto, di giolittiani, nel Ministero, non c'era propriamente che Boleri: un altro paio potevano forse passare per tepidi amici. Nè la crisi cominciò con dimissioni di Ministri, ma con un voto di riunione del gruppo della democrazia nel quale, da qualche mese, democratici liberali — ohe non erano necessariamente tutti giolittiani — e democratici sociali si trovavano riuniti. La riunione comprese poco più d'un terzo del gruppo, e fu dominata dai democratici sociali, con alla te¬ sta Di Cesarò, scalmanati contro Bonomi soprattutto per la caduta della Banca Sconto. C'era anche, per verità, nel campo democratico viva con- . trarietà per una presunta, eccessiva ingerenza dei popolari nella pratica spicciola governativa. Giolitti non entrò ne punto nè poco in quel voto di gruppo, nè nelle dimissioni immediatamente seguite del Ministero: e io potei liberamente e ripetutamente censurare, sulla «gioiittiana» Stampa, i provocatori della crisi. E' appunto esercitando il mio dovere di storico — secondo che faccio da ormai cinquant'anni — che ho valutato e valuto come errore egoistico dj partito il veto che il sen. Sturzo preferisce chiamare genericamente < popolare >, ma che la storia da un pezzo ha precisato (senza contraddire quella qualifica) come « sturziano ». E ho in proposito un giudizio autorevolissimo di conferma: quello di Filippo Meda (Il socialismo politico in Italia, vag. 163), secondo il quale contro Giolitti « si determinò una inopportuna ostiiità dei popolari che gli rimproveravano specialmente la politica finanziaria... che essi dal giugno 1920 al giugno 1921 avevano approvata e difesa ». In quanto al mio giudizio del concetto di Stato del P. P. nel suo primo periodo, esso deriva — come accennavo nell'articolo — da un'analisi de» detti e fatti del partito stesso. I risultati singoli di codesta analisi saranno presto pubblicati nella nuova edizione della Storia del fascismo. Credimi cordialmente, tuo Luigi Salvatorelli.

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