Dagli errori alla tragedia di Ferdinando Vegas

Dagli errori alla tragedia Dagli errori alla tragedia Il bagno di sangue che si è rovesciato sul Marocco e nella finitima Algeria, alla paventata scadenza del 20 agosto — secondo anniversario della deposizione di Maometto V, legittimo sultano del Marocco — segna l'epilogo, tragico ma inevitabile, di una lunga fila di errori, esitazioni, equivoci e macchinazioni. Cosi, ancora alla vigilia dei massacri, Le Monde qualificava la politica marocchina della Francia in questo dopoguerra: giudizio assai duro, ma che risponde perfettamente alla verità. Il torto capitale dei responsabili francesi consiste nell'avere sciupato la magnifica occasione che si offriva, all'indomani della liberazione, per fondare su basi rispondenti ai tempi mutati i rapporti fra la metropoli e i territori dell'Impero. Non si volle capire che il vecchio colonialismo era finito per sempre; peggio, ancora, non si intuì che proprio dalla Francia, tradizionale portatrice delle istanze di libertà della Rivoluzione dell'89, i popoli soggetti attendevano una politica nuova e audace, che realizzasse veramente un'associazione su piede di parità, a comune vantaggio. Istituendo l'« Unione Francese » solo sulla carta, un grande patrimonio di fiducia e di simpatia fu così irrimediabilmente compromesso. L'esempio di quanto è accaduto nel Marocco illustra nella maniera più pertinente la gravità di questo errore. Fino all'agosto '53, proconsolo prima e poi eminenza grigia il maresciallo Juin, la situazione si trascinò, come dice l'ex-ministro Mitterand, tra il conformismo indolente e un lasciar correre a base di promesse sconsiderate e pericolose, che non potevano essere e non furono mantenute. Venuti infine i nodi al pettine, anziché scioglierli pazientemente, si credette di poterli recidere con la violenza; e si ebbe il colpo di Stato di due anni fa, con l'estromissione di Maometto V, sospettato di favorire gli elementi nazionalisti e indipendentisti. In realtà, agendo così, l'intreccio d'interessi in conflitto fu reso ancora più aggrovigliato, fino al punto di divenire inestricabile. Pari' gi si trovava già fra l'incudine e il martello: da una parte gli elementi marocchini appoggiati da un esiguo numero di francesi illuminati, che premevano per le riforme, prima che fosse troppo tarai, prima di essere scavalcati dagli estremisti; dall'altra potenti gruppi di «feudatari », francesi e ma rocchini, i quali invece op ponevano la più sorda e te nace resistenza. Ora, col porsi della questione dina stica, si creava una «pre giudiziale » che rendeva praticamente impossibile affrontare direttamente i problemi di fondo, pur così urgenti. I partigiani del sovrano deposto,., che è quanto dire la stragrande maggioranza dei marocchini, hanno insistito a chiederne la restaurazione, come premessa indispensabile alle trattative. Per respingere questa do: manda, sostanzialmente fondata, gli avversari si sono trincerati dietro lo schermo, puramente formale, della legittimità del nuovo sovrano. Ma tutti sanno che il vecchio Ben Arafa è soltanto un prestanome dietro il quale sta il potente Glaoui, il pascià di Marrakesc, a sua volta strettamente legato ai più retrivi esponenti del colonialismo. E si tratta di vincoli non solo economici, di portata colossale, ma anche politici, datò che il Glaoui da circa mezzo secolo è fedele sostegno della Francia. Anche se è provato, co me lo è. che il colpo dell'agosto '53 fu effettuato all'insaputa e contro il volere del governo francese, non era dunque una impresa fa cile per Parigi sbarazzarsi dei temibile pascià e del suo protetto, l'attuale sultano bgaRvsbsACctvbssstrsFssaugcrBGvbEppure era questa la via ób- bligata per la quale bisognava passare, la via che aveva suggerito il nuovo Residente generale, Grandvai, e che il governo Faure sembrava disposto ad imboccare. H piano predisposto — abdicazione di Ben Arafa, istituzione di un Consiglio di reggenza, d'accordo con l'esule Maometto V, formazione di un governo provvisorio che avrebbe discusso con la Francia sia la questione dinastica sia le riforme — aveva un solo difetto: non era gradite ai « feudatari » ed ai loro portavoce politici. Alla pervicacia di costoro ed alla debolezza di Faure spetta pertanto la responsabilità del compromesso infine approvato, troppo abile per riuscire a sanare una situazione che abbisognava, invece, di cure radicali e non di un ennesimo rinvio. Dando mandato a Ben Arafa di costituire un Gabinetto « rappresentativo, forte ed efficace », in brevissimo tempo, pena la decadenza dal trono, si è data ai marocchini l'impressione che la Francia intendesse ancora una volta temporeggiare, lasciando trascorrere, senza avere nulla concluso, la data fatidica del 20 agosto. Così, quando questa è arrivata, « il piano, il calendario e il metodo » di cui si vanta Faure, sono stati travolti dalle orde scatenate. Di chiunque sia la colpa immediata di essi, i responsabili veri e ultimi sono quindi tutti coloro che, per deliberato proposito o per insipienza, hanno lasciato incancrenire la situazione. Un filo di speranza tuttavia, se il governo non si lascerà prendere la mano dagli avvenimenti, esiste ancora: la presenza francese nel Marocco per il migliore avvenire di questo Paese dipende dalla conferenza in corso ad Aix-les-Bains, appunto tra autorità parigine ed esponenti qualificati marocchini. Ferdinando Vegas r r o . , à a o o d Soldati francesi e marocchini, armati di mitragliatrici, controllano dai tetti delle case i quartieri arabi di Casablanca (Tel.)

Persone citate: Ben Arafa, Mitterand