La gente balza dai letto quando passano le "ganghe" di Nicola Adelfi

La gente balza dai letto quando passano le "ganghe" MOTORETTE E FRASTUONO DELLE NOTTI ROMANE La gente balza dai letto quando passano le "ganghe" (Nostro servizio particolare) Roma, agosto. Nelle notti romane, quando spira l'umido flato dello scirocco, la vita della città fluisce e si raccoglie in poche strade e piazze, al centro e nei quartieri di periferia; davanti a un caffè, a un'osteria o trattoria, accanto al fresco .di una fontana; per ragioni misteriose su un determinato punto dei marciapiede di questa o quella via, oppure non si sa perchè sull'uscio di una casa qualsiasi. Tutt'intorno a queste isole deste, le notti sono lunghe, il passo tra la veglia e il sonno è breve. E i forestieri stupiscono ; arrivati qui con l'idea che il romano stia gran parte del giorno a dormire, si meravigliano nell'accorgersi che, semmai, è il contrario. Sotto il greve alitare dello scirocco, il romano si appisola nelle ore più insolite, sonnecchia, cade in lunghe sieste, ma di dprmire veramente non ha voglia, non è mai disposto ad andare a letto e dare sette, otto ore di seguito al sonno. Un americano qualsiasi, innamorato del nostro Paese al punto che preferiva vivere qui da noi con poco denaro piuttosto che a casa sua nell'agiatezza, una volta si lamentava di queste abitudini romane con gli amici; con arguzia, ma senza ombra di rancore. Abitava su un lungotevere, in una zona considerata tranquilla, e di là questa fu la lettera che ■mandò agli amici: «Nella parte opposta della strada c'è una osteria, che comincia ad animarsi verso le dieci di sera E' un locale piccolo, ma si direbbe che mezza Roma si rechi là ogni sera con i bambini, le fisarmoniche, i compari spiritosi e le suocere. Vi restano fin dopo mezzanotte; allora il padrone dell'osteria tira giù energicamente la saracinesca e i clienti cominciano a gridarsi < ciao ». Questi < ciao > vanno avanti per molto tempo, nel cuore della notte. C'è poi il vi cino cinema che termina dopo mezzanotte. All'uscita tutti si raccontano ad alta voce l'in tero film, scena per scena; poi discutono le attualità cinematografiche e infine si accalorano sul film che si darà prossimamente. A questo punto entrano in scena i ragazzi; a cavallo di motoleggere cercano di impressionare le ragazze con la potenza del loro motore di un cilindro e prima di andar via lo imballano al massimo alcune migliaia di volte. «Nessuno porta con sè le chiavi del portone. Queste vengono gettate ogni volta dalla finestra dopo brevi, ma concitate discussioni. Di fronte a noi, in un appartamento al quarto piano, vivono due studenti di musica, un italiano e un americano. Evidentemente di giorno sono occupati altrove; infatti mai si esercitano sui loro strumenti se non è notte. Fra le tre e le sei c'è infine un relativo silenzio. Poi si svegliano tutt'ìnsieme, facendo a gara a chi sarà il primo a gridare dalla finestra che la giornata si presenta molto calda. Un'ora dopo, alle sette, un uomo si accampa di fronte alla nostra abitazione e grida: < Ombrellaio », con molta ostinazione, finché qualcuno, al colmo della disperazione, non rompe un ombrello e non glielo getta giù per farlo riparare ». Non esagerava nè molto nè punto l'americano; anzi, questa faccenda dei rumori sta diventando una delle più grosse ed esasperanti. Dimesso il linguaggio d'ogni giorno e bandite le arguzie agrodolci, i giornali, sotto titoli sempre più alti e lunghi, stanno ora tirando fuori le parole più solenni e impegnative. In quelle eccitate cronache romane, si parla di « crociate » per il ritorno del silenzio in « questa Roma che è la città più rumorosa del mondo », si suggerisce di autorizzare i cittadini a sparare « colpi di pistola nelle gomme > delle motorette, di costituire comitati di vigilanza civica per resistere, con la violenza ove occorra, a quanti lacerano senza misericordia il silenzio. E sta nascendo una terminologia che ha tutto il sapore e tutti i sottintesi di un furore ideologico: i motoscuteristi sono chiamati per antono¬ masia « i selvaggi > o « i fanatici»; le strade più percorse sono diventate nel parlare corrente « le piste », e quando più strade si raccordano in modo da sembrare circuiti, e come tali sono usate, specie nelle ore notturne, da motorette in gara, si dicono «i mondiali»; tutto il fenomeno vien poi definito « teppismo squadrista », e anche peggio. Una parola di nuovo conio è «il motoscioc»: designa la punta massima dell'offensiva scatenata dai « selvaggi ». Quando cala la notte, il motoscuterista isolato se ne va solo, tranquillo, badando ai fatti propri. Irrompono allora sulle strade romane « le ganghe ». Sono bande di dieci, quindici e anche venti motorette e motociclette che obbediscono a un capo e prendono d'assalto ora questo ora quel quartiere; di solito non badano che sia al centro o di periferia, seppure amino tenersi lontani dalle strade con troppe automobili. Poiché è un punto d'onore avere la «pignatta» rotta e lo scappamento aperto, il fracasso d'ogni singola macchina è già intollerabile; se poi moltiplicate quel rumore per dieci, per quìndici e anche per venti, allora il linguaggio di guerra di chi vuole riposare in pace non vi apparirà più eccessivo. Ma, badate, non è tutto. Spesso la « ganga » di Romoletto si dà appuntamento con quella di Bruno, e presto, richiamata dal frastuono, le raggiunge la banda di Nello; quartieri - interi, investiti dalle sfide singole, le staffette, le corse a squadre, si mutano in succursali dell'Inferno. E' il « motoscioc ». La gente balza dai letti, i bambini si agitano nel sonno o piangono, i vecchi tendono con cuore spaurito l'orecchio alle dure sconve nienze dei tempi moderni. Il « motoscioc » è imposto per due, tre ore, e inascoltato rimane l'urgente appello alle forze dell'ordine. Un professore d'università, che s'intende d'acustica e partecipa ai congressi, mi assicura che un destino ineluttabile attende chi vive in 'città: nel giro di qualche lustro, se continuerà di questo passo, siamo tutti condannati a diventare sordi. Le cifre raccolte dall'Istituto centrale .di statistica documentano con spietata freddezza che enorme è stato l'aumento dei casi di sordità nell'ultimo trentennio; concerne quasi esclusivamente le città. Mentre nei paesi e nei villaggi i casi di sordità acqui sita continuano a riguardare campanari, fabbri, calderai e in genere quanti fanno lavori assordanti, nelle città sono colpiti tutti. La causa principale sta nei motori a scoppio e nei segnali acustici. Per darvi un'idea del punto al quale siamo, tenete presente che per calcolare l'intensità di un rumore si usa come unità di misura il « decibel ». Fino a 40 decibel, l'orecchio umano sopporta senza danno; oltre questo limite, invece, i timpani sono sottoposti a una tensione progressivamente crescente, fino alla rottura. In genere, i segnali acustici usati dalle automobili italiane sviluppano 70 decibel: le piccole e le grandi motociclette con lo scappamento aperto producono rumori fra 90 e 100 decibel; il clacson dei pullman spesso tocca i 110 decibel. A sua volta un medico, che conosce il delicato meccanismo dei nervi come noi le nostre stanze, sostiene che uno Stato previdente dovrebbe investire somme enormi nella costruzione di manicomi e case di salute: non si dà assuefazione ai rumori violenti e improvvisi, e ogni volta è uno strappo al cuore e un arricciarsi di tutto il sistema nervoso. A lungo andare o scoppia il cuore o cadono in un ammasso di rottami i fasci, le molle nervose. Così, parrebbe che non ci sia scampo: siamo destinati a diventare sordi o malati di cuore o nevrastenici in città protette tutt'intorno da grandi cartelli dove, fra trombe sbarrate, campeggiano con un tono breve di perentorietà queste scritte: «Zona del silenzio », « I segnali acustici sono vietati ». Nicola Adelfi

Persone citate: Notti Romane

Luoghi citati: Roma