La sposa con gli occhiali di Clara Grifoni

La sposa con gli occhiali VIAGGIO A PICCOLE TAPPE TRA LE CITTA' DEL SUD La sposa con gli occhiali Un'americana, divorziata, giunge ad Enna per sposare un calzolaio - Esce da sola, si ferma al bar -1 siciliani del luogo queste cose non le vedono di buon occhio • Il cerchio della tradizione si stringe e l'americana si mimetizza - Cosi le maglie dell'uso antico tengon legate ragazze e giovani, che ricorrono alle fughe concertate per cercare la felicità (Dal nostro inviato speciale) Enna, agosto. Un giovane calzolaio di Enna, volendo espatriare In America, scrisse a certi parenti stabiliti a Brooklyn, o Broccolino come dicon qui, perchè gli cercassero una moglie del luogo (da quando l'emigrazione è ridotta a poche gocciole, i meridionali ricorrono sempre più spesso a questo mezzo che consente loro, scacciati dalla porta, di rientrare non dalla finestra, ma da un'altra porta: quella aperta ai mariti di cittadine americane). La donna fu trovata subito: era di origine Italiana, aveva un buon impiego, un buon carattere e un alloggio con frigorifero, particolare che abbagliò il giovanotto, mettendone in ombra altri due meno consolanti: la probabile moglie era quarantaduenne e divorziata. Ma tutto non si può avere. I due scambiarono le fotograne, si piacquero; di lì a non molto, la fidanzata attraversò l'oceano, per venire a sposarsi. E incominciarono le amarezze: la donna portava spessi occhiali, cosa che non era apparsa sulle fotografie e che avrebbe provocato dei sussurri in paese, (qua ogni malanno, sia pure una vista corta, è un «discredito»); poi, essendosi maritata- a suo tempo in Italia con un italiano, non poteva ottenere il riconoscimento del divorzio, e sposarsi di nuovo. Ma è inutile che mi dilunghi sulle peregrinazioni, da un legale all'altro, dei fidanzati impossibili e, appunto per ciò, sempre più intestarditi nelle nozze. Non è il lato giuridico o sentimentale della vicenda che interessa; è 11 suo stretto legame con un mondo solitario e impenetrabile, rimasto fuori del tempo. L'americana arrivò quassù (Enna sorge a mille metri sul crinale roccioso d'un monte, nel centro della Sicilia) ai primi di maggio e prese a fare quello che aveva sempre fatto: usciva e rientrava da sola, vestita di colori allegri; si fermava al bar per prendere un aperitivo o un espresso; qualche volta, incontrandoli per la strada, si fermava a chiacchierare in dialetto con gli amici del giovine calzolaio, un dialetto imparato a Brooklyn dai parenti siciliani e nel quale ricorrevano parole come W bungalò, u' merriggé, che erano la casa e il matrimonio. Abitudini innocenti. L'americana non intendeva rlnunziarvi, ignorando tranquillamente gli sguardi che certe donne della sua età, ammantate d'un nero luttuoso — come impone Il costume locale alle donne dai quaranta in su — appuntavano' sulle sue gonne variopinte, sulle sue unghie rosse. La famiglia del calzolaio, presso cui abitava, le si era affezionata e non osava dir nulla, anche in vista delle imminenti nozze e della successiva partenza per l'America. Ma quando fu chiaro che le nozze non ci sarebbero state, o almeno non subito e, comunque, non in Italia; quando si seppe che, nella attesa, la forestiera sarebbe rimasta a Enna, tutto cambiò. Da un giorno all'altro, l'innata gentilezza e ospitalità siciliana vennero sopraffatte dall'antica tirannia dei pregiudizi e una specie di morsa cominciò a stringersi intorno alla donna: gli occhi curiosi che fino ad allora avevan seguito le sue mosse da dietro le persiane o dal buio degli androni, scesero in piazza, per così dire e l'afr frontarono apertamente; i sussurri divennero voci, le voci lanciarono frizzi. Dapprincipio, essa cercò di resistere; ma a poco a poco 11 suo piglio americano cedette: usciva di meno, andava raramente al caffè e tirava di lungo se incontrava dei conoscenti maschi. Non basta ancora, dissero gli occhi della gente. Allora essa non uscì più o usci soltanto accompagnata dai familiari del calzolaio. Era a questo punto della sua mimetizzazione quando l'ho vista io, alcuni giorni fa; e non mi stupirebbe di sapere, tra breve, che ha smesso di dipingersi le unghie e porta soltanto abiti neri. E' molto difficile resistere a una muraglia, una barricata di occhi, in gran parte femminili. E una donna abbastanza intrepida per farlo, si troverebbe in completa balia d'altri occhi, maschili quelli, non meno difficili da tenere a bada. Come capita in ogni luogo dove la donna è sottomessa, anche qui il predominio dell'uomo si manifesta con una galanteria vistosa e sicura di sè. Dal mattino alla sera, il « gallismo siculo» è all'agguato nella strada principale, Via Roma e in Piazza Vittorio Emanuele. Giovani dai capelli neri ondulati e i baffetti sottili, giovani in popeline azzurro e scarpe da tennis, giovani col torace bombe nella maglietta bianca, vanno incessantemente su e giù, o bivaccano intorno ai tavoli del caffè centrale, o giocano a calcio balilla nella saletta dell'unico albergo, sperando nelle < novità » portate dalla corriera che s'inerpica fin quassù dalla stazione; o aspettando semplicemente che le tellé ragazze di Enna escano a « prendere aria», scortate dal parentado. Il « passeggio » segue un itinerario fisso, con punta estrema al superbo castello di Lombardia e sosta panoramica al famoso Belvedere. Credo che tutti i sogni, tutte le speranze di Enna, vengano a prendere il loro slancio sulla terrazza del Belvedere. Non esiste in Sicilia un altro luogo che offra, come questo, una visione caleidoscopica della natura e una natura che conservi, intatta, la primitiva bellezza della creazione. Da qui, in una fuga di monti, un susseguirsi d'irreali prospettive, l'occhio abbraccia gran parte dell'isola. E a ogni volger di ciglio si trova dinanzi un paesaggio che non ha nulla in comune col precedente, è magari tutto l'opposto. Ora groppe arsicce e valloni d'una solitudine lunare, ora boschi pezzati dal verderosa dei pistacchi; poi, ancora dirupi color cenere e all'improvviso, immobile nel suo/anello di eucaliptus, il mitologico lago di Pergusa, dove avvenne il ratto di Proserpina. Davanti a Enna, raggrumato su una vetta come un nido di pietra, il borgo arabo di Calascibetta, le cui donne tessono le proprie vesti su telai di un secolo fa e non si arrischiano ancora nel cinema locale, benché il proprietario di esso offra loro, per invogliarle, l'entrata gratuita. Questo e il Belvedere di Enna e il suo incessante teatro all'aperto, molto più grandioso di quello che si apre ogni tanto a più di seimila spettatori, fra le torri medioevali del Castello di Lombardia. Tutti i suoi personaggi, i primi attori e le comparse, vengono qui a dar rappresentazione, in ore e giorni immutabili. Verso il tramonto, la piccola folla delle «mezze maniche», gl'in vidiati burocrati. a venticinquemila lire mensili (stipendio favoloso: qui un bracciante guadagna sulle seicento lire al giorno, per non più di cento giorni l'anno). All'ora del vermut, i laureati senza impiego e i « figli dei baroni » senza laurea e per lo più senza un centesimo in tasca, malgrado lunghe discussioni pomeridiane con madri e sorelle, vanamente sollecitate a versar fondi. Dopo cena, la parte giovane dei nuclei familiari, compresi i ragazzini. La domenica è per gli umili. Tutta Enna confluisce su questa terrazza e una sera dopo le dieci— quando le case aspirano sin l'ultimo abitante dalle strade — mi è accaduto persino di vedervi una coppia. Sui venticinque anni lui, sui diciotto al massimo lei; molto belli entrambi ed evidentemente occupati a imboscarsi tra le piante del contìguo giardino. « Sbaglierò — dice l'amico che mi accompagna — ma quelli stanno per scappare ». E subito aggiunge, trattenendomi sull'orlo del romanzesco: « Scappare col permesso della mamma ». E' dunque la solita «fuitina» o fughetta, chiamata solennemente, in termini giuridici, ratto consensuale e ormai così provvista di consensi, da far sembrare eccessiva la parola ratto. Qui, tra l'esuberanza del sangue e i contrasti delle passioni, i motivi per fuggire son molti e in realtà si fugge parecchio, per l'amore, per l'odio, per il denaro; e ora anche per la miseria. Sposarsi costa caro dovunque, ma soprattutto in quest'isola mitica, ancorata a usi e costumi dal quali non si scappa: l'usanza della dote, per esempio, che grava ancora sulle ragazze della media borghesia, in varie parti della Sicilia, e l'usanza del corredo che incombe su tutte le altre, non escluse le poverissime. Oltre al corredo, la sposa deve « portare » i mobili per il futuro nido e sostenere le spese della cerimonia, che prevede l'abito bianco e il banchetto nuziale — con suonatori e dolce imponente come il Mastio Angioino — per non meno di trecento invitati. E poiché barare con la tradizione è impossibile (mani esperte di donna palpeggiano il corredo e frugano sotto le coperte per appurare se i materassi son di lana), quando il denaro per tutto questo manca, i promessi-spasi ricorrono alla « fuga » complottata in famiglia. « Sinni fuiù », comunica un bel giorno alle vicine la madre della ragazza, inondandole di false lacrime. Dopo una breve assenza, i fuggiaschi ritornano e dapprima scacciati, poi perdonati, si sposano alla chetichella, tornando ad abitare « in famiglia », visto che non hanno casa. E il giuoco è fatto. Ma la casa cercheranno di averla in seguito, a prezzo di non importa quali rinunce; e con le mura il più possibile solide (come si ama qua) per difendere il loro giovine amore dagli urti della vita che in questa terra di dèi è così spesso dura e nemica. Clara Grifoni ■lllltlllltllllltllllllliillillllillilllllllltlllliltlllll

Persone citate: Broccolino