"Il magnetofono ha registrato le mie vanterie» sostiene il presunto assassino dell'ing. Codecà

"Il magnetofono ha registrato le mie vanterie» sostiene il presunto assassino dell'ing. Codecà Oggi si ascolteranno i nastri delle confidenze del Faletto agli amici "Il magnetofono ha registrato le mie vanterie» sostiene il presunto assassino dell'ing. Codecà Avvocati e periti saranno presentì all'audizione che durerà almeno 3 ore - L'accusato non smentisce le frasi dei colloqui segreti, ma afferma che con quelle intendeva gabbare i due compari e farsi consegnare un anticipo sull'affare che gli proponevano - Le ricerche dei due probabili complici - Una pistola sarebbe stata trovata in casa del Faletto Rigorosamente isolato e sorvegliato nella cella del primo braccio delle < Nuove », Giuseppe Faletto ignora che alle 15,30 di oggi a Palazzo di Giustizia si giocherà una grossa partita in cui, benché assente, egli sarà il protagonista. In una stanza della sezione istruttoria, oggi pomeriggio saranno interamente riprodotte le lunghe conversazioni, avvenute in quattro puntate e fedelmente registrate su nastro magnetico, durante le quali il Faletto avrebbe « confessato » agli amici, che lo avevano invitato a cena nella casa privata di Druent, di aver ucciso l'ing. Erio Codecà. La voce del Faletto ripeterà: « C'erano altri due, mi aspettavano nell'auto, sul piazzale Motta, poco sopra la villa... >. All'audizione saranno presenti un magistrato, il cancelliere Costantino Quaglia, i periti dott. Mittone e Balbi, l'avvocato Arnaldo De Marchi difensore di fiducia del Faletto, l'avvocato Orazio Quaglia patrono della signora Codecà costituitasi parte civile con la figliola. Quali elementi possano scaturire da questa audizione è impossibile prevedere. Non può esserci, tuttavia, alcun colpo di scena vero e proprio perchè la magistratura conosce già, sia pure nelle sue linee essenziali, le parole di Giuseppe Faletto registrate nul nastro magnetico. . ! Resta a vedere quanto cretino si può dare alle parole stesse ed al sistema usato per farle pronunciare all'imputato. A quanto ci risulta, Giuseppe Faletto non nega di aver detto frasi compromettenti durante quelle cene e quindi riconoscerebbe come autentiche le registrazioni. Egli però sostiene che la vanteria di aver ucciso l'ing. Codecà aveva uno scopo ben preciso, quello di convincere i due amici, quelli che abbiamo già designato domenica come Ipsilon e Zeta, di essere capace di -uccidere, dietro compenso di venti milioni, un altro uomo. La carta dei 20 milioni Poiché preparare il piano per il nuovo delitto e garantirsi l'impunità non era cosa facile, furono necessari molti e approfonditi colloqui, sempre nell'ospitale casa di Druent, durante i quali Giuseppe Faletto, ignaro della rete ohe gli stavano tessendo intorno, si vantava di aver ucciso non soltanto l'ing. Codecà, ma una lunga serie di persone. Qualcuno vorrebbe sostenere che se ne è fatto addirittura un bilancio scritto. Si spiega in questo modo la facilità con cui i carabinieri incaricati della operazione poterono registrare fedelmente tutto ciò che il Faletto disse. E ciò non avvenne dopo abbondanti libagioni, come ir, un primo tempo si era supposto. Poiché si trattava di una faccenda estremamente seria (erano in ballo venti milioni, la vita dell'uomo da <far fuori > aveva scarsa importanza) Giuseppe Faletto non volle bere, assolutamente. < Brinderemo dopo, concluso l'affare », avrebbe detto, soggiungendo: < Non siamo qui per aiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiii ro p0 a a angae n e io ia di g. ari o, a neti onvo ia. umò di a a i, o eee r o. e tuie or o di li odi ei, o na ti e t, tli si n a lse in ui a re ane oa di te iar nlnaner vendere catrame » che in gergo significa: <per contare frottole ». Si potrebbe quindi pensare che egli abbia reso la sua «confessione» in perfetta lucidità di mente, ma é proprio su questo punto che potrebbe innestarsi la linea difensiva di Giuseppe Faletto. I venti milioni di cui gli « amici >, alleati ai carabinieri, gli avevano parlar to, potevano tentarlo. Forse egli giocava una grossa carta durante quelle cene, tentando di gabbare i due commensali che già lo stavano gabbando; farsi consegnare cioè un anticipo sui venti milioni e poi sottrarsi, con la fuga o in qualche altro modo, all'impegno e non consumare il nuovo delitto a cui si diceva pronto. La fuga dopo il delitto Dichiarando di essere l'uccisore dell'ing. Codecà egli forniva un < atout» ohe poteva convincere i due < amici » a versargli un acconto per le prime spese. Poiché sa di non poter negare queste circostanze, Faletto riconoscerebbe come autentiche le dichiarazioni registrate sul nastro magnetico, ma nello stesso tempo le rinnegherebbe definendole pure e semplici vanterie escogitate per far colpo. Tuttavia, nella congerie di parole inutili e banali, tra le lodi ai pomidoro ed al vino, il magnetofono dovrebbe avere registrato alcune frasi che potrebbero avere un peso determinante. Nei giorni successivi al delitto di via Villa della Regina, i giornali hanno riferito quel poco che era scaturito dalla voce dei pochissimi testimoni secondo i quali, subito dopo lo sparo, sarebbe stato visto transitare vicino al cadavere un camioncino rosso e si sarebbero uditi i passi d'un uomo in corsa che percorreva la strada in salita, verso la collina. Fu quasi subito accertato che il camioncino rosso apparteneva ad un'opera pia e che era estraneo al fatto. Poi sembrò strano che l'assassino, fuggendo dal luogo del delitto, non avesse scelto la strada più agevole, quella in discesa, verso la città e le molte vie in cui avrebbe potuto far perdere le sue tracce. Se le indiscrezioni trapelate in questi giorni risulteranno vere, Giuseppe Faletto avrebbe dato la chiave dell'enigma con alcune sue dichiarazioni. Egli avrebbe detto che a compiere il delitto non sarebbe stato solo, ma che due complici lo avrebbero atteso' in automobile e con il motore acceso. La macchina dei complici attendeva all'angolo di piazzale Motta con via Villa della Regina. Fatti i pochi passi di corsa in salita, Vassos ' .o sarebbe saltato sull'automobile la quale, imboccato corso Quintino Sella o via Alberto Picco, potrebbe aver rapidamente percorso il tragitto di circa due chilometri fin verso il Motovelodromo. All'epoca del delitto Giuseppe Faletto abitava in via del Lauro, una strada che sale verso la collina, a monte del Motovelodromo. Egli potrebbe, perciò, esser¬ eLeiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiifiiiiiiiiiiiiiiiiifiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii si trovato a casa sua pochi momenti dopo che l'ing. Codecà era spirato in mezzo alla strada. Ciò può aver avvalorato l'alibi che egli forni alla polizia quando fu fermato due giorni dopo il delitto su denuncia del suo amico Zeta e che gli valse l'immediato rilascio. Tuttavia! quell'alibi potrebbe oggi crollare se risultassero esatte le sue dichiarazioni. Per appurare la verità delle « confessioni » registrate, l'operazione, più importante potrebbe essere l'identificazione dei due presunti complici, di cui egli avrebbe fatto cenno agli * amici» durante le cene di Druent. Questa, forse, è la parte più difficile di tutta la vicenda che gli inquirenti dovranno chiarire. Identificarli potrebbe essere possibile, se già non è stato fatto; estremamente difficile sarebbe però indurli a confessare, a tre anni dal delitto, con tutte le possibilità che hanno avuto di crearsi alibi indiscutibili. Sembra che si possa escludere nella maniera più categorica che essi siano quel Mario e quello M. G. di cui ha parlato il detective privato milanese, i quali si troverebbero già all'estero. Poiché le indagini proseguono, non si può escludere che il fatto nuovo emerga da un giorno all'altro e che lo stesso Giuseppe Faletto offra agli inquirenti la miiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii chiave del mistero. L'isolamento assoluto e la sorveglianza rigorosa a cui è sottoposto in carcere, do-urebbe essere un segno della preoccupazione che i suoi custodi hanno di impedirgli qualsiasi contatto con l'esterno, non tanto per evitare che si diffondano notizie e particolari sulla sua vita in carcere, ma piuttosto per scongiurare eventuali, possibili accordi tra l'arrestato e coloro che, ancora liberi, potrebbero avere interesse a sapere ciò che ha detto, o taciuto, al magistrato che lo ha interrogato. Si noti che il magistrato ha voluto rinviare persino un confronto che Ì7i un primo tempo pareva imminente fra l'imputato e due comandanti partigiani. Questi sono stati sentiti dall'autorità, che si è limitata poi a contestare, di persona e da solo, le nuove accuse al Faletto. Esse riguardano il suo passato e gli omicidi che a n n e n e o o ò o. a o e ha compiuto nel 'U-'45 nel Canavese e di cui si riteneva scagionato grazie all'amnistia per i fatti avvenuti durante la lotta di liberazione. Anche il colloquio con i familiari, già previsto per sabato scorso, è stato differito. Minacce in una lettera Quell'ostinato rifiuto di cibo che provenga dall'esterno, anche se cucinato da sua moglie, potrebbe essere un segno della paura che domina Giuseppe Faletto. Paura di che cosa, e di chi? Un alone di mistero avvolge questa vicenda in cui, ad elementi indiscutibili si alternano circostanze sfocate ed imprecisate. Un particolare che può radicare profondamente il dubbio è fornito dall'arma con cui l'assassino uccise l'ing. Codecà. Dopo il delitto tutti i giornali riferirono che il proiettile mortale era stato sparato da uno «sten*. Soltanto i periti, dopo l'esame balistico, affacciarono l'ipotesi che quel proiettile fosse stato sparato da una pistola a canna lunga, di quelle usate dai tedeschi è di cui erano larga mente provvisti anche i parti giani. . Giuseppe Faletto, secondo la confidenza fatta dal suo amico, che continueremo a chiamare Zeta, alla polizia due giorni dopo il delitto, parlò subito di pistola o di « machine- iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii r o , a e e d d e e o e o i o i a e - pistole », e non di « sten >. Disse anzi: «Ho ancora la pistola in questa borsa ». Ancora di «machine-pistole» avrebbe parlato nelle conversazioni intime durante le cene di Druent. Su questo punto fondamentale, il suo difensore avv. Armando De Marchi ha chiesto una consulenza tecnica balistica per accertare se il proiettile fu sparato da uno « sten » o da una pistola, sia pure a canna allungata. Raccogliendo una voce di altra fonte, nella casa del Faletto sarebbe stata trovata una pistola, ma non dovrebbe essere quella del delitto. Intorno a questi elementi, ancora incerti, che potrebbero però precipitare da un momento all'altro, si addensa una atmosfera misteriosa da romanzo giallo. L'avv. Guglielmo Gillio, che con l'avvJ Quaglia patrocina la signora Codecà, ha ricevuto in questi giorni una cartolina, naturalmente anonima, in cui tra insulti e minacce di vario genere gli si dice testualmente: « Ora che sei stato nominato avvocato di p. c. nell'interesse della signora Codecà, non credere di fare la forca a Briga (nomignolo che Faletto aveva assunto durante il periodo partigiano) perché c'è il pericolo che si prepari la bara anche per te». Forse c'è anche chi si diverte ad ingarbugliare ancor più la matassa. iiiiiiiiiiniiiiiiiiii iiininiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiii

Luoghi citati: Briga