Ricordo di Marcello Soleri liberale di sinistra, aperto e coraggioso di Marcello SoleriNicola Adelfi

Ricordo di Marcello Soleri liberale di sinistra, aperto e coraggioso -ss il DIECI A XXI DALLA MORVE! » Ricordo di Marcello Soleri liberale di sinistra, aperto e coraggioso "Le nostre istituzioni liberali offrono aperta la via e legittimo il mezzo per qualsiasi rinnovamento,, Il padre di Marcello Soleri era un socialista come ce n'erano molti verso la fine del secolo scorso; poco sapevano di marxismo, ma molto s'indignavano di fronte alle ingiustizie della società. Compagno assiduo di Edmondo De Amicis, l'Ingegner Modesto Soleri, prima di spegnersi nel flore dell'età matura raccomandò nel testamento ai suoi due figli di non badare al successo nella vita, ma di coltivare un carattere fermo, generoso, retto, e di sentire profondamente « il dovere di solidarietà umana verso tutte le infinite miserie che l'egoismo umano ha accumulato .sulla terra >. Per non dimenticarsi mai delle parole paterne, Marcello Soleri, non appena ebbe un suo studio di avvocato nella natia Cuneo, le fece trascrivere a grandi caratteri su una pergamena, e mise il quadro di noce massiccio di fronte alla scrivania. Il padre gli mori nel 1898, quando Marcello Soleri aveva 16 anni; egli visse altri 47 anni e restò sempre fedele agli umili e agli oppressi, contro superbi e oppressori: intese la vita come gli aveva indicato il padre, una quotidiana milizia, un alternarsi di assalti e di difese strenue. E pagò sempre di persona, con la fermezza di chi è convinto di quel che fa e ha coraggio. Scoppiata la prima guerra .mondiale, lui giolittiano e perciò neutralista, non esitò ad arruolarsi ^volontario fra gli alpini della sua «Provincia Granda >, in un assalto una pallottola gli trapassò il torace, ebbe la medaglia d'argento e, non appena rimessosi, tornò in prima linea. Quando 1 fascisti stavano per marciare su Roma, Soleri aveva 40 anni e di già un ricco passato politico: deputato da dieci anni, era stato sottosegretario alla Marina nel Gabinetto Nitti, poi commissario agli approvvigionamenti negli anni di penuria 1920-'21 con l'ultimo Ministero formato da Giolitti, ministro delle Finanze con Bonomi e infine ministro della a e è a a a a n o iiiiiiiiiiiiiiiiieiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiEiiiiiiiniiiii Guerra con Facta. L'8 ottobre 1922 Vittorio Emanuele in lo consultò sulle minacce gridate ogni giorno dai fascisti di voler occupare Roma; Soleri gli spiegò tutte le disposizioni che aveva preso per fronteggiare qualsiasi pericolo, e il re» nel congedarlo, gli disse: « Si ricordi che io a Roma quella gente non la voglio >. La sera del 27 ottobre il re, giunto a Roma da San Rossore, ribadì ai ministri che « Roma avrebbe dovuta essere difesa a qualsiasi costo». Aggiunse: «La corona deve poter deliberare in piena libertà e non sotto la pressione dei moschetti fascisti ». Ciò non toglie che il giorno dopo mutò opinione e si rifiutò di firmare il decreto per lo stato d'assedio. Soleri fu subito all'opposizione. Quando, dopo il delitto Matteotti, sorse la questione morale e molti oppositori abbandonarono Montecitorio per salire sull'Aventino, egli convinse l'incerto Giolitti, il suo grande maestro, a non lasciare la trincea. Gli amici cercarono di dissuaderlo prospettandogli uno per uno tutti I pericoli ai quali si esponeva restando in un'aula dominata dalla violenza, ma l'ex-capitano degli alpini non volle stare a sentire quei prudenti. Disse: «Ricordatevi che noi siamo soldati di una fede; qualunque cosa possa avvenire alle nostre persone, non abbandoneremo la battaglia». La pattuglia liberale era formata da sei o sette deputati, ma l'opposizione nell'aula continuò fino all'ultimo con coraggio, freddezza, determinazione. Furono anni di grande tensione, ma anche i più proficui per la maturazione delle idee liberali. Un partito liberale non esisteva, ma c'erano liberali democratici, democratici liberali, democratici senz'altra definizione, democratici sociali, democratici nazionali; può dirsi che il nome dei liberali mutava da regione a regione. A questa confusione e indeterminatezza dei nomi, corrispondeva un'eguale confusione nel campo delle idee; pressappoco come avviene nell'attuale partito liberale. Al congresso di Livorno nel 1924 per l'unificazione il vero protagonista, il dominatore fu Soleri: fu lui che diede un contenuto nettamente antifascista al nuovo partito. Ai ministri liberali che collaboravano con I fascisti spiegò l'assurdità di professare la libertà e di stare agli ordini di Mussolini. L'ordine del giorno sostenuto da Soleri contro la tendenza flancheggiatrice raccolse 24 mila voti contro 5.600. Questa votazione significò la vittoria dei liberali di sinistra, che avevano come loro patrono Giovanni Giolitti e come animatore Marcello Soleri. Che cosa fosse questo liberalismo di sinistra, vediamolo dai discorsi di Soleri. < Le nostre istituzioni liberali offrono aperta la via e legittimo il mezzo per qualsiasi rinnovamento, all'infuori di. inutili violenze. Nessuna conquista del lavoro e della democrazia ci spaventa, purché ne sia giunta l'ora dell'attuazione... la democrazia liberale vuole che al lavoro siano rese tutte le giustizie e riconosciuti tutti i diritti, perchè esso rappresenta il fattore essenziale per 11 progresso del mondo... non può seriamente parlarsi di libertà politica, ove non siano assicurati il diritto al lavoro, la garanzia di un salario minimo, la protezione delle assicurazioni sociali, e cioè quella sicurezza economica che sola protegge e garantisce la libertà politica, che altrimenti diventa un'ironia». Aggiungeva Soleri che I liberali dovevano proporsi « di portare al primo posto il lavoro anziché il capitale. La legislazione deve tendere a proteggere quello da questo, in quel limite che non scoraggi le iniziative private... 11 che può ottenersi con l'affidare alla legislazione tributaria compiti di distribuzione della ricchezza al fine di ridurre le distanze e 1 dlslivelli economici; e con l'assicurare che il risparmio di lavoro umano consentito dai progresso tecnico vada a beneficio, anziché del capitale, delle masse operaie, alleviandone còsi la fatica ed elevandone il tenore di vita morale e sociale... attraverso tali mezzi, e altri consimili, evitandosi esperimenti paurosi e costosissimi, le masse operaie potranno trarre forse maggiori elementi di benessere che non attraverso il crollo del sistema capitalistico e l'instaurazione del comunismo... ». E insisteva nel ripetere che «la libertà politica non basta; la libertà che difende interessi, illegittimi, posizioni precostituite, situazioni sorpassate, non è ammissibile. Al di là della libertà politica deve pur sussistere, e noi la difendiamo, la libertà economica. A che yale.il diritto di dare il proprio voto quando si ha fame? Occorre • garantire agli individui la libertà dal bisogno. Occorre assicurare la libertà sociale ed economica. Tutti i cittadini devono avere il modo di soddisfare non solo i loro bisogni principali, ma di elevarsi, di educarsi, dì vivere una vita degna e civile. Questa è la vera libertà, lontana dalla indigenza che umilia e deprime la dignità dell'uomo ». Per vent'anni di poi Marcello Soleri fu un avvocato e niente altro; un bravo avvocato piemontese che chiamavano dappertutto. Continuò a vedere gli amici di un tempo e a conservare la certezza' che la libertà sarebbe ritornata in mezzo agli italiani. Nel giugno del 1943 Vittorio Emanuele IH lo mandò a chiamare al Quirinale; Soleri era diventato un sessantenne tutto bianco, pallido per la. malattia che avanzava, ma ancora diritto, quasi giovanile nel portamento e nel gesto. Consigliò il re di mandar via Mussolini e di far le pace. Liberata Roma e diventato con Bonomi ministro del Tesoro visse ancora un anno. Fu un anno eroico, una lotta di ogni ora per sottrarre quante più energie gli era possibile all'anemia perniciosa e dedicarle al servizio del Paese, degli umili, degli oppressi, della libertà. Alcune ore dono una trasfusione di sangue che lo lasciava quasi morto, era di nuovo al lavoro. Teneva discorsi con la febbre a 38", anche a 39°. L'ultima sua battaglia fu per la buona riuscita del Prestito nazionale: raccolse 100 miliardi per la rinascita di un'Italia che sembrava dovesse spegnersi da uh giorno all'altro. Quando sentì che era la fine volle tornare nel suo Piemonte. Si spense a Torino dieci anni fa, pagando anche questa volta, di persona, come sempre nella sua vita' esemplare. Nicola Adelfi