Piero Piccioni, Montagna e Polito a giudizio con altri undici imputati

Piero Piccioni, Montagna e Polito a giudizio con altri undici imputati Il Presidente Siepe ha depositata Ma sentenza istruttoria sul easo Montesi Piero Piccioni, Montagna e Polito a giudizio con altri undici imputati Anche Adriana Bisaccia incriminata di falsa testimonianza - Silvano Muto è stato assolto - Una serie di indizi e le dichiarazioni di Anna Maria Caglio hanno convinto i magistrati della colpevolezza dei protagonisti - Piccioni e Montagna nell'equivoco mondo degli stupefacenti - Gli alibi imprecisi - Wilma avrebbe condotto una vita piuttosto libera - Non ancora fissate data e sede del processo (Nostro servizio particolare) Roma, 20 luglio. Il presidente dott. Raffaele Sepe ha depositato stamani In cancelleria la sentenza emessa dalla Sezione istruttoria presso la Corte d'Appello di Roma intorno al caso Moritesi. In parziale difformità della requisitoria del P.M., la sentenza ordina il rinvio a giudizio dinanzi al Tribunale di Roma di Giampiero Piccioni, Saverio Polito, Ugo Montagna, Pierino rierotti, Francesco l'annoi.\, Mercedes Borgatti, Mici'eie Simola, Pasquale Venuti, Maddalena Caramello, Anastasio Lilll, Terzo Guerrlni e Pulmini Ottaviano II primo deve rispondere di omicidio colposo, il secondo e il terzo -di concorso in favoreggiamento aggravato per avere aiutato il Piccioni a eludere le' investigazioni della autorità giudiziaria; e tutti gli altri di falsa testimonianza. Inoltre Adriana Concetta Bisaccia e Venanzio De Felice devono, rispondere di falsa testimoninnza, jwr uvere in Roma l'g giugno e 6 agosto 1051, deponendo 'come testimoni, dinanzi al Presidente della Sezione istruttoria nel procedimento penale relativo alla morte 'di Wilma .Moritesi, affermato il falso. La sentenza dichiara di non doversi procedere perchè non punibili ai sensi dell'art. 376 del Codice di Procedura Penale, a seguito di intervenuta ritrattazione, nei confronti di Siena. Angelini, Umberto Fontana, Ottavio Dolfì e Osiride Ganzaroll e Vincenzo Cepranl in ordine ai reati rispettivamente loro as?rltti. Dichiara di non doversi procedere- nei riguardi di Rosa Varvaluka per insufficienza di prove e di Silvano Muto per non aver commésso il fatto. Ordina infine l'unione agli atti anche dei verbali di intercettazione telefonica, in precedenza non allegati al processo. Erano da pochi minuti scoocate le dieci del mattino quando il presidente della Sezione istruttoria dott. Raffaele Sepe ha convocato nel suo studio il cancelliere dott. Bogg'fàhl è gli ha consegnato ufficialmente i due volumi nei quali è racchiusa la sentenza che reca la data dell'I! giugno 1955 e le firme in calce di chi l'ha redatta e dei suoi due collaboratori dott. Vito Stipo e Alessandro Baum'gartner. Nelle 424 pagine dattiloscritte del documento vi è tutta la storia del caso giudiziario più clamoroso di questi ultimi anni. Quasi contemporaneamente un giornale''del pomeriggio veniva posto in vendita con 1 passi più importanti della sentenza: la barriera del segreto istruttorio era stata superata con una facilità da lasciare tutti trasecolati. Quali i motivi che hanno indotto i tre magistrati della Sezione istruttoria a chiedere il, rinvio a giudizio di Piccioni, Montagna e Polito? Dopo aver dedicato 79 pagine dattiloscritte a riassumere i fatti, la prima preoccupazione del magistrato è stata quella di respingere l'addebito mosso da taluni difensori secondo i quali l'istruttoria doveva essere ritenuta « nulla ed irregolare > sia per gli eccessi di potere commessi dalla polizia. giudiziaria nel corso della indagine, per la irregolare allegazio■ ne al processo dei verbali relativi alle intercettazioni telefoniche e sia per gli anonimi inseriti negli atti processuali. «Nessuna critica in tale senso ha consistenza — ha sostenuto Sepe con una approfondita disamina dei poteri che la legge riconosce agli organi inquirenti. • Ritiro dei passaporti « E tra questi poteri — aggiunge il magistrato — era anche quello del ritiro dei pas-| saporti a Piccioni, Montagna, Polito e D'Assia: " il giudice si è trovato nella necessità di limitare il diritto di espatrio perchè i testimoni fossero a sua disposizione entro i confini dello Stato "». La sentenza affronta quindi l'esame di tutti gli elementi raccolti nel corso della indagine. Premessa essenziale: nella sentenza si afferma che Wilma Montesi il pomeriggio del 9 aprile 1953 non fu vista ad Ostia e che la signorina Rosa Passarelli (che sostiene di aver incontrata la ragazza sul treno delle 17,30- per Ostia) è caduta in equivoco. E questo per vari motivi: 1) perchè Wilma uscì di casa in via Tagliamento tra le 17,15 e le 17,30, come ha sempre sostenuto la portinaia Adalgisa Roscini; 2) perchè il percorso dall'abitazione della Montesi alla stazione di km. 6,300 può essere coperto in 18 minuti con una macchina, in un'ora e 15-21 minuti a piedi con una andatura normale e circa 50 minuti a passo accelerato, in 24 minuti con l'uso dell'autobus: il che vuol dire che praticamente la ragazza non può avere preso il treno in partenza alle 17,30; 3) perchè la signorina Passarelli ha detto di aver visto una donna di 28 o 30 anni mentre la Montesi non ne aveva neanche 21; 4> perchè la signorina Fassarolli ha detto che la ragazza da lei notata in treno aveva le scarpe e il giaccone diversi da quelli di Wilma. La sua accertata, indiscussa moralità inducono ad escludere il sospetto di un consapevole mendacio da parte sua (il fatto emerso dalla istruzione che in epoca posteriore alla morte della Montesi ella abbia acquistato un appartamento al prezzo di cinque milioni e 600 mila lire per la metà versato in contanti, deve essere considerata una occasionale coincidènza e d'altra parte la erroneità del suo assunto trova adeguata spiegazione e nella sua leggera miopia e in un fenomeno di autosuggestione facilitato in lei dal suo temperamento poco riflessivo, impulsivo, con tendenza alla fantasticheria). Omicidio volontario? Dopo questa premessa il magistrato affaccia la tesi avallata da taluni accertamenti peritali, che Wilma Montesi fu abbandonata ancora in vita, ma in stato di incoscienza o sulla battigia di Tor Vaianica dove venne raggiunta dal flusso delle onde o in acque basse a breve distanza dalla battigia stessa dove in un periodo di tempo scarsa¬ mente ridotto, ma sempre con lentézza, morì. La sentenza non esclude che alla ragazza siano stati somministrati degli stupefacenti. Nella sentenza si profila anche l'ipotesi che il responsabile di quanto è accaduto a Wilma Montesi possa aver < voluto > sopprimere la ragazza o potesse sapere che Wilma non era ancora morta. Ma nell'alternativa delle due ipotesi delittuose, quella dolosa e quella colposa, una più grave ed una meno grave, soccorre il principio del favor rei 'n forza del quale va addebitato all'imputato la figura meno grave di reato. Ed infine si accenna anche alla quasi certezza che l'opera delittuosa di trascinare il corpo di Wilma in riva al mare venne^compiuta da almeno due persone. Il magistrato prende in esame con molta attenzione la figura morale di Wilma Montesi in rapporto all'ambiente familiare e sociale in cui visse. « Le indagini in verità — spiega la sentenza — hanno consentito di raccogliere non pochi elementi contrastanti con il coro, tanto uniforme da apparire orchestrato, degli elogi formulati da vicini e conoscenti ». E a questo proposte si ricorda che la madre della Montesi « non godeva buona reputazione nel vicinato»; che aveva impartito alle figlie una poco severa educazione abituandole ad un lusso superiore alla loro modesta condizione economica; che i litigi anche, i più violenti erano frequenti in casa Montesi; che Wilma era stata udita pronunciare frasi tutt'altro che castigate: che negli ultimi tempi della sua esistenza la ragazza era in possesso di una borsa di coccodrillo del valore di circa 80 mila lire; che- in epoca prossima alla sua fine Wilma era solita uscire sola specie nelle ore pomeridiane; che, a dire di una cameriera, Annunziata Gionni, Wilma riceveva spesso delle telefonate e parlava al microfono a bassa voce per non farsi sentire da. parenti. Così inquadrato il fatto, affermato « con sicurezza » che il principe Mauri/lo d'Assia p estraneo alla vice da in quanto egli attraverso la tcni,f» di Capocotta. il pò ner /gio del 9 aprile con una .acchina chiara a bordo di ..^ quale era una giovane donna diversa dalla Montesi; accertato che la morte della ragazza risale ad otto o al massimo dodici ore prima che il suo cadavere fosse ritrovato; escluso che qualsiasi consistenza possa essere data a taluni elementi relativi a Giuseppe Montesi, lo zio di Wilma, il magistrato è passato ad esaminare la responsabilità di coloro che sono) stati poi rinviati a giudizio. /{iunioni a Capocotta PIERO PICCIONI: Le prove della sua colpevolezza — afferma la sentenza — scaturiscono dalle oriyhii delle prime voci messe in circolazione sul conto di lui; dalla inconsistenza delle accuse formulate contro il principe d'Assia prima e contro Giuseppe Montesi poi; dai contatti del musicista e di Ugo Montagna con persone dedite al traffico e all'uso degli stupefacenti; dalla presenza della Montesi nella tenuta di Capocotta nelle ore pomeridiane del 10 aprile 1953 in compagnia di Piccioni e dai rapporti che costui ebbe con la ragazza; dallo accuse di Anna Maria Caglio, dall'epoca e dal tenore delle telefonate di Alida Valli a Piero Piccioni; dalle vicende relative agli indumenti della Montesi; dalle confidenze dell'avvocato Alfonso Spataro; dal comportamento del Piccioni posteriore alla consumazione del reato; dal fallimento del suo alibi, questo mentre le indagini sul conto del musicista hanno accertato, — sempre secondo la sentenza — che il Piccioni aveva una garsonnière in via Achcrusio, che — lo avrebbe riferito ad Adriana Bisaccia una frequentatrice di Cinecittà — ricorre- va, sia pur non frequentemente, all'uso di stupefacenti; che era stato visto, al pari di Montagna, frequentare il « Baretto » di via del Babuino in cui < erano soliti 'irsi convegno insieme con esistenzialisti anche persone dedite agli stupefacenti ». « Le. approfondite indagini svolte sulle origini delle voci — spiega 11 magistrato — relative ad una paftecipazione di Piero Piccioni alla vicenda in cui la Montesi aveva trovato la morte consentono di affermare che esse cominciarono a diffondersi non in vista o in connessione della campagna elettorale per le elezioni politiche ma appena pochi giorni dopo il ritrovamento della salma di Wilma Montesi a Tor Vaianica e partirono proprio dai giornalisti che più frequentavano la locale questura. E quando — commenta la sentenza — la giornalista Clelia D'Inzillo lo avvertì di cosa si diceva sul suo conto, Piero Piccioni non replicò affermando che erano infondate, nè fece riferimento alla malattia che, come in seguito egli assumerà a sua difesa, l'avrebbe tenuto inchiodato a letto proprio nel giorno della scomparsa della Montesi e in quelli successivi ». « In relazione a quanto si è esposto circa la non estraneità del Piccioni e del Montagna all'ambiente dei trafficanti di droghe — aggiunge la sentenza — vanno ricordati dut episodi: quello della lettera inviata da una certa Gianna La Rossa e quello di Corinna Versolato ». Il primo episodio, secondo il magistrato, ha una notevole importanza perchè questa misteriosa ragazza — che dopo essersi presentata da un parroco di Bannone di Traversetolo, vicino a Parma, scomparve, — fa cenno nella sua lettera ad una amicizia tra Ugo Montagna e Piero Piccioni in relazione al traffico degli stupefacenti e alla morte di Wilma Montesi ancora prima che i nomi di questi due personaggi appa risserò sulla ribalta della cronaca. La donna di Alessandria Il secondo episodio ha anche la sua importanza perchè la donna suicidatasi ad Alessandria il 2 ottobre 1954 era in possesso del numero telefonico di Piero Piccioni (561920) che non ara segnato sull'elenco della TETI, e di quelli di Ugo Montagna (393974 e 891397). « Dagli atti relativi — si legge nella sentenza •— al procedimento per il suicidio della Versolatto risulta che costei aveva fatto a Roma conoscenza con persone molto in vista, era frequentatrice del Club Victor, aveva alloggiato per circa un mese all'albergo Excelsior — dove si sarebbero svolte vere e proprie orge con la partecipazione di personalità e di due note artiste fra cui la Valli — aveva in tasca al momento in cui fu ricoverata, all'ospedale di Alessandria due ritagli di giornali, l'uno riguardante il caso Montesi, l'altro concernente la chiusura del «Piccolo Slam » a Roma; il signore presso il quale lavorava come segretaria, il venezuelano Mario Amelotti, residente a Valle San Bartolomeo in provincia di Alessandria, aveva inviato di recente 60 milioni da Caracas ed aveva realizzato una < sfacciata fortuna » sproporzionata ai normali utili d'un umile locale notturno, il Bar Grillo. Una recente segnalazione — conclude la sentenza su questo argomento — della Questura di Roma circa ì rapporti fra la Versolatto e Piccioni non è da tenersi conto in questa sede in quanto è pervenuta dopo il deposito degli atti in cancelleria». Questo per quanto riguarda Piero Piccioni. Poi la presentazione di Ugo Montagna attraverso il noto rapporto del colonnello Pompei. Di lui si ricorda che fu diffidato dal capo della polizia Bocchini a non avvicinare i figli di Mussolini, dei quali ostentava l'amicizia. Di lui si ricorda anche che, particolarmente legato al Direttore generale della « Difesa della Razza » prefetto La Pera, fu sospettato negli ambienti ebrei di prestarsi a pagamento per far ottenere a taluni di essi la discriminazione razziale; si ricorda che nell'ottobre del 1946 fu denunciato proprio dal questore Polito per avere tentato di conseguire la immissione sul mercato nero di una partita di mille quintali di zucchero provenienti dalla Svizzera e destinati invece ai sinistrati. Le false testimonianze «Nel corso di tale attività — aggiunge la sentenza — egli ebbe anche a spacciarsi per cittadino svizzero, vantò forti aderenze presso l'UNRRA e la possibilità di disporre, per li trasporto della detta partita di zucchero al domicilio degli acquirenti, di automezzi della polizia alleata; asserì di far parte dell'Intelligence Service e risultò essere in rapporto di affari con un onorevole svizzero e precisamente con un consigliere cantonale. Ma al momento di essere interrogato dalla P. S. non fu rintracciato perchè trovavasi in Svizzera. Il predetto rapporto si concludeva con il segnalare che il tempestivo intervento della Squadra mobile aveva impedito la realizzazione delle sue losche speculazioni ». Posti a fuoco i due personaggi, la sentenza è passata ad esaminare in particolare la posizione di Piero Piccioni. II giovane musicista venne visto a Capocotta insieme a Vilma Montesi: così afferma il magistrato. E tale affermazione la deduce da quanto ha detto Irma Mangiapelo, moglie del guardiano Venanzio De Felice, la quale nel vedere la fotografia di Piccioni, come dicono due testimoni, esclamò: « Questo è proprio quello > fermandosi senza completare la frase, perchè il marito la fulminò con una occhiataccia. Ma l'elemento che più ha convinto il magistrato sulla presenza di Piero Piccioni a Capocotta .nel pomeriggio del 10 aprile 1953 è quello che Palmira Ottaviani, la moglie dì un altro guardiano, Terzo Guerrini, confidò in carcere a una sua compagna di pena, Bruna Griminelli e a suora Vincenza del Buon Pastore: < Ho visto passare per Capocotta una macchina nera con una donna morta o svenuta. Mi vogliono far dire che ho visto il principe d'Assia. Avrebbero dovuto arrestare soltanto mio marito, che sa ». Dopo avere ricordato che Piero Piccioni venne riconosciuto dal meccanico Piccinini come il giovanotto ch'era in compagnia di una ragazza a bordo di una macchina insabbiatasi sulla litoranea di Ostia nella prima decade di marzo 1953, il magistrato ha posto in rilievo che, seppure le risultanze istruttorie non consentano di dire come Wilma Montesi conducesse una doppia vita, si può ben affermare che la' ragazza da qualche tempo godeva di una notevole libertà, della quale sembra usufruisse all'insaputa del padre. Indagini preliminari Ma l'accusa contro Piero Piccioni (e nei caso specifico contro Montagna) si fonda soprattutto sulle affermazioni di Anna Maria Caglio. « Le risultanze processuali consentono — sostiene il magistrato — di dire che quanto la ragazza ha rivelato è risultato rispondente a sostanziale verità, oppure si è rivelato come una esagerata o non esatta interpretazione soggettiva di - circostanze vere, dalle quali ella è stata indotta a trarre conseguenze erronee. Ad ogni modo tutto In lei è da ritenersi attendibile ». E' da ricordare inoltre, che i padri Luigi Dall'Olio e Rotondi, ai quali la Caglio aveva riferito le sue constatazioni sul comportamento di Montagna e i conseguenti elementi di sospetto e di accusa a carico del medesimo e di Piccioni, riportarono anch'essi la convinzione dell'attendibilità sostanziale dell'assunto, specie dopo avere accertato la verità del colloquio notturno al Viminale. Nè è da trascurare la circostanza che il Dall'Olio ritenne opportuno informare dei fatti narratigli dalla Caglio l'allora Ministro dell'Interno, e che questi conferì l'incarico di procedere alle relative indagini preliminari al colonnello dei carabinieri Pompei, e quando fu informato dei primi risultati di esse ebbe a dirgli: «Vada fino in fondo e non abbia riguardi per chic chessia. Chi vi è caduto in buona fede rimarrà a galla, e chi vi è caduto in malafede andrà in fondo ». Quali sono dunque, per riassumere, le accuse di Anna Maria Caglio? Esse sono: 1) 11 Montagna l'invitò a ripartire subito per Milano, dopo le feste pasquali, asserendo di avere un impegno con Piero Piccioni alla riserva di caccia di Capocotta; 2) essendo rien trata Anna Maria Caglio a Roma, il 14 aprile, trovò che Montagna era molto adirato per il suo ritorno; 3) la sera del 29 aprile 1953 Piero Piccioni • Ugo Montagna si re tiistsMsdastcarono d'urgenza al Viminale per conferire con il capo della Polizia, episodio questo che per quanto negato sia dal musicista, sia dal marchese, risponde a verità, come padre Dall'Olio ebbe la possibilità di controllare direttamente attraverso la testimonianza diretta dell'addetto all'ufficio dell'on. Piccioni, allora vice-presidente del Consiglio, dott. Ralnesi Dolci. Telefona Alida Valli Poi vi è la telefonata di Alida Valli da Venezia a Piero Piccioni ai primi giorni di maggio. « Che cosa hai fatto? — disse l'attrice. — Che cosa ti è sUccesso con quella ragazza? Allora tu la conoscevi? E adesso che cosa fai? Vorrei sapere che ne pensa Ugo ». E — aggiunge la sentenza — riallacciando il microfono commentò: «Ma guarda un po' in quale pasticcio è andato a cacciarsi quell'imbecille ». Dopo avere ricordato la rivelazione di Natale Del Due?, il quale anche se poi fu smentito, riferì che un agente di pubblica sicurezza, Francesco Servello, gli aveva detto che : Piccioni si era presentato !n Questura a consegnare gli indumenti mancanti a Wilmr» Montesi, e che la pratica relativa alla morte della ragazza era stata archiviata per ordine superiore, il magistrato ha posto in rilievo che tutta la biancheria di Wilma non aveva affatto subito un processo di inzuppamento con acqua marina, come risulta dalla perizia. Anzi avanza la ipotesi se non il sospetto che « gli indumenti trovati indosso alla vittima non siano quelli indossati- dalla Montesi l'ultimo giorno della sua vita e formula il dubbio che essi siano stati sostituiti ad opera o su suggerimento dei suoi familiari al fine di rendere più attendibile una disgrazia a seguito di pediluvio e di escludere la configurabilità di un fatto delittuoso occasionato da un convegno amoroso ». « Tutto questo — osserva ancora la sentenza — dispenserebbe l'esame dell'alibi esibito da Piccioni. Infatti, pur non essendo stato possibile accertare dove e come la Montesi abbia trascorso il periodo di tempo che va dalla sua uscita di casa al tardo pomeriggio del 10 apr.le '53, sono così numerosi, concomitanti e coordinati gli indizi a carico di Piccioni e Montagna da costituire prove più che sufficienti a giustificare il loro rinvio a giudizio. Ad ogni modo si può dire che il tardivo alibi di .ciccioni è inficiuto da due sostanziali elementi: l'incertezza assoluta della data ch'era nella prima ricetta del prof. Filipo e che è risultata falsa dalla perizia del prof. Sorrentino, e la falsità del certificato di analisi delle urine in data 10 aprile 19a3 che avrebbero dovuto provare come il Piccioni in quei ;giorni fosse realmente amma-|lato. «Il prof. Filipo — com- menta la sentenza — fu prò-1 babilmente sorpreso nella sua buona fede, fu indotto, sulla base del suo ricordo certo della visita fatta al Piccioni nell'aprile del 1953 e della concepibile sbiadita reminiscenza della data precisa di essa, a rilasciare la ricetta con la data, del 9 aprile, in epoca successiva di parecchio alla visita stessa ». Ed infine vi è l'esame della posizione dell'ex - questore di Roma, Saverio Polito. Il magistrato, dopo avere posto in rilievo che la tesi del pediluvio era assolutamente contraria alla logica più elementare, osserva Innanzi tutto che è sta- ( to proprio Polito a ingenerare i sospetti dell'inquirente con il proprio atteggiamento. Egli spiegò di non essersi mai interessato al caso Montesi: e questo non risultò vero. «Invero la tesi del suo assoluto disinteresse per il caso Montesi e dell'autonoma e incontrollata attività dei suoi dipendenti funzionari — dice la sentenza ■— appare in contrasto non solo con l'osservanza del dover] gerarchici, ma anche e soprattutto con il prestigio del Polito e con la fermezza con cui notoriamente egli faceva valere la sua autorità in tutti gli uffici alle sue dipendenze. Ma a parte tali rilievi, va ricordato che, richiamato dal magistrato Inquirente il fascicolo della Questura relativo alle indagini sulla vicenda Montesi, si accertò che in data 5 maggio proprio dal Polito era stato compilato un comunicato destinato alla stampa e mai divulgato nel quale, con riferimento alle voci in quella data pubblicate da alcuni giornali sul conto del Piccioni, si affermava, pur senza fare esplicitamente il nome di quest'ultimo, che ogni notizia « sul figlio di una nota personalità politica non nominata ma tuttavia individuata nelle chi- ~e -illusioni, era destituita di qualsiasi fondamento e che il giovane al quale si alludeva aveva 1 lineamenti completamente diversi da quelli indicati nella cronaca; nè risultava che avesse mai co- nosciuto nè visto la Montesi >. Nella stessa data del 5 maggio fu invece dato alla stampa un comunicato molto più breve (del pari predisposto dal Polito) in cui qualsiasi accenno anche velato alla persona interessata era scomparso e si affermava soltanto « che ogni ricerca esperita dopo il ritrovamento del cadavere no» era valsa a modificare le risultanze delle prime indagini e le constatazioni della giustizia ». A contestazione, il Polito non è stato in grado di spiegare il perchè del duplice comunicato e della mancata pubblicazione di quello più particolareggiato e si è limitato a ripetere che le indagini erano state opera esclusiva dei suoi dipendenti. . La tesi del pediluvio Al ministro De Caro egli aveva asserito, invece tacendo del secondo di tali comunicati, che il primo era stato divulgato per rispondere agli attacchi della stampa e che esso era conforme all'esito delle compiute indagini di cui nessuna trascurata. E' risultato invece che al contrario nessun accertamento venne fatto sul conto di Piccioni. Lo stesso atteggiamento d'altra parte aveva assunto dinanzi al capo della polizia Tommaso Pavone, al quale confermò la tonta della teei del pediluvio, nonostante le osservazioni critiche dell'altro. Orbene — dice la sentenza — nei confronti del Polito costituirebbe prova sufficiente igiustificare il suo rinvio a giudizio la cosciente artificiosità e falsità dell'ipotesi da lui escogitata nel tempo e nel modo innanzi .chiariti e sostenuta anche nei confronti dell'autorità giudiziaria indirizzando la stessa fin dall'inizio su falsa strada e avvalorandola con l'assunta iniziativa di denunciare mediante un lungo e motivato rapporto a sua firma gli esponenti delia stampa che della vicenda si erano occupati in difformità delle sue vedute. Ma a tali due atti originali molti altri seguirono come ti è visto: omissioni gravi, falsa rappresentazione di circostanze dimostratesi inesistenti, travisamenti di circostanze vero, equivoci volutamente creati, tutti aventi lo scopo di frustrare gli accertamenti circa la causa e le effettive modalità della morte della Montesi, di allontanare ogni sospetto e di evitare ogni indagine a carico della persona fin dal pr1mo momento ' indiziata quale autore principale del fatto delittuoso da cui l'evento letale era stato cagionato. E vano perciò sarebbe soffermarsi a stabilire se sull'animo del Polito abbia fatto maggior leva l'antica amicizia di cui era legato al Montagna, deciso ad « aiutare » il Piccioni, oppure queir* elasticità di coscienza » « di cui è parola in un rapporto informativo agli atti»; e che nel corso della sua carriera « gli avrebbe consentito di ingraziarsi personalità di ogni colore politico, capovolgendo o ad^otiesticando fatti e situazioni ». Guido Guid! Saverlo Polito, ex-questore di Roma, il quale verrà processato per concorso in favoreggiamento aggravato Ecco 11 voluminoso Incartamento della sentenza di rinvio a giudizio: è composto di 421 pagine in 2 volumi (Telefoto) Giampiero Piccioni dovrà rispondere di omicidio colposo