Un libro antipatico

Un libro antipatico 66SjE chiavi di sax pietro 99 Un libro antipatico Le mie opinioni personali essendo abbastanza note, mi sia lecito scrivere che Les clefs de Saint-Pierre potranno urtare le anime dei credenti; lasciano tranquilli e annoiati quelli che credenti non sono, che le valutano con criteri puramente letterari. I razionalisti coriacei, i libertini, non vi trovano nulla di originale: non saranno le lunghe enumerazioni di miracoli e reliquie proclamati apocrifi o confezionati su misura, gli elenchi interminabili di indulgenze, i pettegolezzi di curia o di sagrestia a commuoverli. Nè gli amori di un chierico con la nipote di un cardinale di manica larga, ad eccitarli. In Italia, poi, dove si è poco al corrente delle beghe degli ecclesiastici francesi causate prima dalla condanna dell'Action Francaise e poi dal collaborazionismo con Pétàin di alcuni porporati, le malizie di Peyrefitte non faranno effetto. E', il suo, un libro antipatico, e questo aggettivo era per me già valido per le due serie delle Ambassades nonché per le Amitiés particidières con cui Peyrefitte esordì. La sua sensualità gidiana, di cui credo superfluo citar dei tratti — ma proprio nelle prime pagine, ci sono sguardi e occhiate che confermano l'antica ossessione — ripugna; e quan do egli descrive degli amori normali, ha sempre bisogno di insudiciarli: l'episodio del suonatore cieco nelle Ambassades, il pizzico di sacrilegio nelle Clefs de Saint-Pierre sono cantaride per i gonzi. Il protagonista delle Clefs de Saint-Pierre è un chierichetto che si trova male al seminario di Versailles e che riesce a farsi trasferire a Roma, famiglio del cardinal E.lloro. Dobbiamo quindi sorbirci una specie di Baedecker ecclesiastico romano, minuziosissimo, che potrà interessare gl'ignari, ma non certo noi: chiese, catacombe, udienza papale, statuto degli ordini, tutto è implacabilmente catalogato e descritto, avendo cura di rilevare il particolare erotico, il dialoghetto ambiguo, il sogghigno: Peyrefitte è un reporter senza carità cristiana, anzi, capace d'inventar la scena, quando non la trova. Les Clefs de Saint-Pierre, quantunque battezzate «romanzo » in copertina, di romanzesco hanno ben poco: la coppia amorosa, il finale appiccicato. Il chierichetto Victor Mas, a differenza del suo modello zoliano Pierre Froment, non va a Roma per compiere una missione spirituale: ci si reca per sfuggire al seminario di Versailles, subisce la tentazione di Paola, che — abruzzese conseguente — gli propone di lasciar la tonaca e di sposarla; all'ultimo momento, per la morte improvvisa del cardirial Belloro, che lo fa suo erede, decide di rinunciare all'eredità, di entrare negli ordini, e di tornare in Francia. Nessuna seria consistenza psicologica ha la sua figura («Ce furent ses dernières paroles. A cette minute, l'abbé retrouva sa vocation »! ), pupazzo grazie a cui il microfilm di Peyrefitte percorre tutta la Roma papale; ed anche le sommarie spiegazioni di Paola, studentessa e avvocatessa, per. averlo scelto, non stanno in piedi. I curiosi, i fiutatori di scandali si getteranno sui paragrafi relativi alle malversazioni Cippico, alla faccenda Montesi: anche qui, i giornali ci avevano detto più delle Clefs de Saint-Pierre. Ma dove la baldanza dello scrittore cozza col buongusto, e col sentimento di parecchi italiani anche miscredenti, è nel giudizio su Pio X, papa bellicoso («Pie X mourut probablement de joie, en voyant éclater la guerre qu'il avait encouragée, dan lamesure deses moyens... » - pag. 119)- C'è difatti in lui ciò che io chiamo « il complesso della maldicenza », che non rifiuta i più ridicoli paradossi, le chiacchiere da trivio, mescola problemi politici nazionali e internazionali a ipotesi avventurose, senza la scusa — che aveva Tommaseo — dell'arguzia e dello stile. E la giustificazione dei libellisti — si ricordi — è tutta nello stile. La pittura della Roma papale che esce dalle Clefs de SaintPierre è sordida e squallida: una selva di meschini intrighi, dei protagonisti avidi,, aridi, mediocri. Anche la figura centrale del cardinal Belloro, che dovrebbe essere nella tradizione del cardinale Lambertini salvo il colpo di scena finale del cilicio, è convenzionale. E là sua corte non ha il pittoresco e il chiaroscuro della Rome zoliana. Qualcuno ha paragonato i preti di Peyrefitte a quelli di Anatole France e — peggio ancora — ha osato con-[frontare la satira grossolana delle!Clefs de Saint-Pierre all'ironia franciana. Protesto con tutte le mie forze, memore àeWHistóire contemporaine. Peyrefitte manassolutamente di ciò che France aveva in misura egregia: il ricordo dello stile di Bossuet e di Massillon, il timbro della prosa di Renan nell'orecchio. E' uno scrittore prolisso e bambagioso, un incastratore di « echi » e di arguzie da settimanale illustrato. Uno dei fenomeni singolari del nostro tempo è di aver ridotto le campagne ideologiche che si combattevano alla fine dell'Ottocento, a punture di spillo e a scorbacchiature. Se riapro la Rome di Zola vi ritrovo affrontate e discusse, sia nei ri- niiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiittiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiii [guardi della politica interna ita! liana che di quella ecclesiastica, le grandi questioni del giorno: immobilismo di Leone XIII, crisi economica umbertina; è un libro che precorre i prctres-ouvriers e il modernismo. Se scuoto Les clefs de Saint-Pierre sento fetore di ripostiglio; sono scomparsi i dibattiti ideali, l'eloquenza torrenziale zoliana è diventata una cascatella di piccole sudicerie pubbliche e private. La faine de l'abbé Monret col suo panteismo naturista, gli amori di Rome, cedono il passo agli ammiccamenti gidiani. Se un laico può dar consigli in faccende di questo genere, lisciatemi concludere: non perseguitate Peyrefitte, il s"o libro si seppellisce da se. • • Arrigo Cajumi iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii