La Juve in Jugoslavia di Enrico Emanuelli

La Juve in Jugoslavia La Juve in Jugoslavia A Becej, paesone di campagna distante migliaia di chilometri da Torino, c'è una ragazza, una giovane attrice, che ha un desiderio solo: avere una tessera della "Juventus,, - È un'ammiratrice lontana; non la si potrebbe accontentare? Quanto sto per raccontare tira in ballo il presidente della società calcistica Juventus, e con un attimo di pazienza spieghe.ro in che modo. Dopo tutto è abbastanza curioso. Qualche settimana fa, viaggiando nel nord della Jugoslavia, mentre con un amico andavo da Novi Sad a Rumi, per caso feci sosta a Becej. La vetrina illuminata di un caffè era servita come richiamo; e cosi entrammo. Non so nemmeno come sia questo grosso paese perchè all'arrivo era già quasi buio e quando ripartimmo era notte: ricordo soltanto una strada larga e affollata sulla quale la nostra automobile doveva procedere adagio. Eppure una descrizione sarebbe necessaria per far capire come io ragionevolmente non potessi supporre che in un luogo simile, sperduto in una piatta campagna, mi sarebbe toccato uno di quegli incontri che restano nella memoria. Una guida turistica stampata pochi mesi fa dedica tre righe al paese dì cui parlo e le trascrivo: c Becej (24.000 ab.), è notevole per l'iconostasi della chiesa ortodossa e per la piccola cappella della famiglia Dundjerski ». Bisogna che il lettore si accontenti di tali magre notizie; ad ogni modo servono per dire che non mi trovavo In una metropoli ricca di monumenti. Nel racconto sono rimasto all'istante in cui io e il mio amico Mikailo Clrich, giornalista di Belgrado, entravamo nel caffè. Appena dentro Cirich trova un vecchio compagno, che a sua volta è circondato da altri compagni ed eccomi seduto a un tavolino e tutti vogliono offrire caffè e slivovitza, la buona acquavite di prugne. Come ho detto ci eravamo fermati a Becej per caso; e il caso continuava ad accumulare piccoli avvenimenti. Perchè, dopo gli amici d'un amico e dopo numerosi caffè e bicchierini di Blivovitza, saltò fuori che due tra i presenti erano attori dilettanti e stavano avviandosi al teatro per una prova. Fummo così invitati ad assistervi ed era un'altra, invenzione del caso. H teatrino mi apparve squallido, bisognoso di riparazioni, illuminato come per una veglia. Ci sedemmo su poltroncine cigolanti e dopo pochi minuti sopra il palcoscenico comparvero due uomini e due donne. Non capivo nulla di quel che dicevano; ma potevo vedere che quei quattro si trattavano con maniere brusche perchè così voleva il copione. Recitavano il finale d'una I commedia di Jozef Debrucini, intitolata Smena, che si potrebbe tradurre (come mi dissero) con Turno, oppure con Generazione. Da quel poco che ho capito doveva trattarsi d'un groviglio ideologico fra due generazioni che si avvicendano; ma anche queste notizie sono marginali e le riferisco soltanto per far capire come tutto era lontano dal giuoco del calcio, dalla Juventus e dal suo presidente. Intanto sul palcoscenico quei filodrammatici recitavano piuttosto male. Lasciamo stare gli uomini. In quanto alle •donne una era alta, allampanata, quel che si dice un manico di scopa; e l'altra era il contrario. Era ben fatta, appariva agile, vivace e aveva magnifici capelli biondi che le incorniciavano il volto: ogni tanto sccteva 11 capo per buttarseli sul collo. Di tutto quello che accadeva sul palcoscenico soltanto simile gesto mi parve interessante e mi divertivo a prevederlo. Scopersi che era regolato da una specie di ritmo e con simile piccolo giuoco mi salvavo dalla noia. Finalmente' le prove ebbero termine e fummo ancora invitati, Cirich e io, a bere caffè e slivovitza con gli attori. Adesso ci trovavamo in una piccola e calda stanza, con molto fumo di sigarette, in mezzo a mobili del cinquecento che dovevano servire per le scene d'una commedia e circondati da gente cordiale e simpatica. A un tratto la giovane attrice bionda, che avevo ammirato quando si buttava i capelli sul collo con una mossa del capo insieme volubile e imperiosa; venne verso di me rivolgendomi con naturalezza la parola. La delusi subito: a quel modo, se lei parlava soltanto il serbo, tra noi due non avremmo mai potuto capirci e chiamai in aiuto Mikailo Cirich. Senza tante storie o preamboli la giovane attrice, avendo saputo che ero italiano, desiderava chiedermi se conoscevo la Juventus. In un primo momento credetti ad un equivoco: la Juventus non è una compagnia teatrale e Memo Benassi o Rina Morelli, Vittorio Gassman o Elena Zareschi non ne fanno parte. La domanda che mi era rivolta meravigliava in quel luogo e in quell'occasione. Immaginai che fosse soltanto[una curiosità capricciosa; mi dissi che non dovevo lasciare senza premio l'interessamento per una c cosa > italiana e con l'aiuto euforico dei numerosi bicchierini di slivovitza mi fu facile, lì per lì, rispondere con una bugia. In realtà della Juve, come più brevemente gì nomi¬ na, conosco soltanto quel che mi ha detto molti anni fa, per una notte intera, Mario Soldati; ma improvvisandomi tifoso ed esperto parlai in modo così sicuro che la ragazza mi guardò con gratitudine. Vedevo nei suoi occhi una gioia tanto infantile da commuovere e proprio per questo, a fin di bene, volli strafare. Parlavo e Cirich traduceva. Raccontavo degli undici giocatori, delle riserve, degli allenatori. Senza aver mai visto in faccia una di queste persone si poteva credere, dalle mie parole, che le conoscessi tutte così come conosco il mio direttore e i miei colleghi. Mi accorsi presto della bravata, ma oramai non era più possibile ritirarmi L'attrice rispondeva alle mie parole con parole d'ammirazione per la grande squadra che amava. Ma quando le domandai per quali motivi avesse scelto la Juventus si mise a sorridere, si difese, fece la misteriosa ed infine sentenziò che io stesso potevo darmi la risposta tanto essa era semplice. Tutti questi atteggiamenti, che forse sul palcoscenico non le sarebbero riusciti bene, nella piccola stanza in cui ci trovavamo avevano l'incanto della immediatezza e della spontaneità. E così, senza sospetto, stavo per cadere in un piccolo imbroglio. Perchè, detto fatto, l'attrice confessò che aveva un grande desiderio: possedere la tessera della Juventus; e aggiunse ohe già aveva scritto due volte alla società e mai aveva avuto risposta. Era impossibile discutere simile desiderio. Sul primo momento provai la tentazione di risponderle crudamente. Ma non sarebbe stato generoso lasciare senza aiuto una ragazza che vive a Becej, un paesone di campagna lontano migliaia di chilometri da Torino. E poi perchè mandare all'aria tutti quei piccoli fatti occasionali che ci avevano portato l'uno di fronte all'altra per parlare della Juve"! Mostrandomi coerente con la parte recitata sino ad allora le risposi con tono sicuro: « Mi meraviglio, perchè non posso credere a un doppio disguido postale. A ogni modo ci penserò io. è una promessa >. Mi domandò quanto tempo avrebbe dovuto aspettare e la tran- [quillizzai dicendole: < Mi dia ¬ li tempo di tornare a casa. In somma si tratterà d'un mese >. Sul volto della giovane attrice non c'era l'ombra della diffidenza e con tanta buona fede che ancora mi mette rimorso, ebbi i ringraziamenti. Ora ini trovo con questo impegno sulle spalle e l'ho raccontato prl- ma di tutto per rendere ragione delle mie bugie e poi per indurre il presidente della Juve ad accontentare la ragazza, Come ho detto vive in un paese che non posso nemmeno descrivere; ma è un'ammiratrice lontana e sicuramente disinteressata. Ecco il suo no me e cognome, la via e il paese: Tinca Banicevic, Uliza Boris Kidrica. n. 18, Stari Becej Enrico Emanuelli

Persone citate: Dundjerski, Elena Zareschi, Jozef Debrucini, Mario Soldati, Memo Benassi, Rina Morelli, Tinca Banicevic, Uliza Boris Kidrica, Vittorio Gassman

Luoghi citati: Becej, Belgrado, Jugoslavia, Torino