Fatto il socialismo, tocca ora alla Jugoslavia fare i socialisti

Fatto il socialismo, tocca ora alla Jugoslavia fare i socialisti MARX, STALIN E L'ERESIA Fatto il socialismo, tocca ora alla Jugoslavia fare i socialisti Si accusano i sovietici di aver tradito la causa della classe operaia - In Russia, si dice, il potere ■ dello Stato non è strumento nelle mani delle forze socialiste, ne è il padrone - l "comitati di gestione,, - Se la fabbrica va male, sono diminuiti i salari per ritrovare il pareggio del bilancio • Anche qui vi sono gli operai fortunati e quelli non fortunati (Dal nostro Inviato speciale) Novi Sad, maggio. In Jugoslavia lo straniero è libero d'andare dove vuole, vedere quel che gli pare e discutere con chi gli fa comodo. In nessun cittadino c'è diffidenza verso lo sconosciuto (come posso essere io), che si incontra per caso al caffè od in treno. Simili cose, molto semplici e naturali, si sa che non avvengono di frequente in quei Paesi che hanno fatto le rivoluzioni di questo secolo; e ritrovarle in Ju-' goslavia basta per far subito capire che nessuno vive schiacciato dal terrore di improvvise rappresaglie o di castighi. Un giorno ero a Novi Sad e mangiavo nel ristorante di una cooperativa agricola. Incontrai due persone, che andavano in una piccola città distante due ore d'auto do¬ iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiii vendo prendere accordi con la compagnia filodrammatica d'una fabbrica di stoffe; ed avendo chiesto se potevo unirmi a loro, furono felicissimi. Dal canto mio ero contento di poter entrare in una fabbrica qualunque ed un poco fuori mano: nessuna autorità me ne aveva consigliato la visita e, per fortuna, non era una visita ufficiale. Anche se non m\ intendo di telai e < di macchine per colorare le stoffe, posso dire che non si trattava di una fabbrica molto moderna; ma non ha importanza. In quell'occasione desideravo soltanto vedere gli operai e sentirli parlare. Infatti alla fine della visita mi condussero in una sala per presentarmi il « comitato di gestione ». Dai vari reparti dove lavoravano, avevano chiamato gli operai che lo compongono; erano iiiiiitiiitiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiKiiiiiiiitn cinque e rappresentavano quel che di più nuovo offre il socialismo jugoslavo. Tra costoro uno era alto massiccio, ed indossava una specie di vestito per cacciatore. Parlava sempre lui, come se la sapesse più lunga degli altri e dopo (ma quando st fu molto lontani da quella sala) mi si raccontò che un guaio dei « comitati di gestione » era proprio questo: su cinque o sei membri si trova sempre uno che parla e parla, mentre gli altri stanno zitti o perchè timidi o perchè impreparati o perchè non alla • altezza del compito. Pochi giorni prima, mentre ero a Belgrado e stavo andando a Dettine per visitare un ospedale, dovetti attraversare una vasta zona di ville circondate da boschi e da giardini. Tutti i maggiori dirigenti politici abitano qua: c'è anche Tito e c'è anche Edward Kardelj, il teorico più noto degli esperimenti che dal 191,8 si fanno per dare realizzazione pratica alla nuova struttura sociale. Davanti a quel « comitato » di operai mi venne naturale pensare a Kardelj ed alle idee che elabora nella sua villa di Belgrado in mezzo ad un bel parco. Da noi un tempo, appena dopo l'unità, sì diceva che fatta l'Italia restava da fare gli italiani e parafrasando mi pare di poter dire che fatto il socialismo in Jugoslavia si tratta adesso di educare gli uomini ad essere socialisti, dimostrando cosi agli avversari che la strada scelta è la buona. Il direttore tecnico Sono cose che deve pensare anche Kardelj, anzi formano la sua grande preoccupazione. Egli ed i suoi amici affermano d'essere i veri seguaci di Marx e di Lenin e fanno colpa ai sovietici di avere tradito non soltanto lo spirito del socialismo, ma persino la causa della classe operaia, ha questione della divergenza con Mosca, ridotta all'osso e detta velocemente, è questa: in -Russia (dicono gli jugoslavi) c'è un potere assoluto dello Stato, il quale non è più uno strumento nelle mani delle forze so- «iiiiiiii<iiiiiiitiiiiiiiiiiiiiii*iiiiiiitiiii«i»««>innmi i i e i e o a o e e e n a i e i cialiste, ma è il loro padrone. Uno Stato simile è un potere al di sopra della società collettiva e sempre più si rivela grande base economica del burocratismo imperversante e centralizzatore. Con parole molto gravi i dirigenti di Belgrado fanno capire che dopo tre anni di comunismo (dal 19^5 aViO^S), accettato come è praticato in Russia secondo le eresie di Stalin, si sono accorti di correre dentro un vicolo chiuso: invece di procedere verso una nuova forma di rapporti sociali, cambiavano soltanto il nome a quelli vecchi. Lungo questo vicolo alla classe operaia non rimaneva altro che obbedire al nuovo •padrone, senza nessuna possibilità di intervenire nel dirigere la propria esistenza, senza nessun controllo effettivo sui mezzi di produzione, senza nessuna autorità per decidere che cosa produrre ed infine senza nessuna autonomia nell' amministrare quel che guadagnava. Nei confronti dei sovietici che gli jugoslavi rinnegano, non si trattava di tornare indietro o di correre più avanti; ma di andare senz'altro per una strada diversa. Stabilirono che una delle maggiori risorse per una vita socialista, consiste nell'auto-governo od auto-gestione del lavoratori. Soltanto a questo modo l'apparecchio statale, invece di diventare sempre più forte, centralizzatore e dispotico si sarebbe a poco a poco annullato, rimanendo alla fine come organo coordinatore ed amministratore. Desideravo vedere queste cose nella pratica e quel « consiglio » di operai, nella fabbrica tessile che visitavo, doveva essere un buon esempio. Quel tale, che già ho ricordato e che vestiva da cacciatore, mi illustrò il meccanismo della democrazia economica diretta. Non è complicato. L'insieme degli operai d'una fabbrica, chiamato «il collettivo*, nomina, a scrutinio segreto e proporzionalmente al proprio numero, un * consiglio degli operai», Il quale a sua volta elegge un « comitato di gestione ». Questo comitato, attraverso un concorso, cerca un direttore tecnico, che deve però essere approvato da una commissione mista composta da membri del « consialio », da rappresentanti delle organizzazioni professionali e dalle autorità politiche del luogo. Nella fabbrica che visitavo il « consiglio » era di trenta operai, il « comitato » di cinque. Domandai di quali problemi si occupasse il « consiglio » e sempre quel tale, che parlava in nome di tutti, mi rispose: « Presto detto: dell'andamento economico della fabbrica. Noi decidiamo quali tipi di stoffa preparare e spetta poi al direttore tecnico disporre perchè tutto venga fatto. Le sue decisioni di ordine puramente tecnico sono insindacabili ». « E se sorge una discussione con il direttore t », domandai. In un primo tempo mi fu risposto che non erano mai sorte; poi mi parve di capire che in realtà i suggerimenti e le decisioni soltanto Il direttore le dava; infine dissero che gli eventuali contrasti sono, giudicati dalle autorità politiche del luogo. «E poi — concluse il mio cicerone — abbiamo sempre, come « consiglio », la possibilità di chiedere II licenziamento del direttore». Dovevo sapere più tardi che questi direttori sono la croce dell'economia jugoslava. Se sono incapaci conducono male la fabbrica, mettono nei guai gli operai e rendono la loro vita molto difficile; se invece sono in-, telligenti, qualche volta si lasciano prendere la mano da qualche megalomania personale. Quando qua sentite parlare di « criminali economici » st può star certi che generalmente s'allude a costoro. Ma di queste cose, che rivelano caso mai le debolezze degli uomini e non del sistema, parlerò un'altra volta. Stiamo ancora un attimo con questo « comitato » di operai. Sempre quel tale vestito da cacciatore mi disse che la fabbrica andava bene, il bilancio era buono. Guadagnavano migliala e migliaia di dinari all'anno e tale utile è ritenuto « sociale » perchè appartiene nello stesso tempo alla collettività ed al singolo. La ripartizione degli utili A questo punto cominciarono le spiegazioni più complicate Una, parte di questo guadagno va allo Stato, una parte al comitato popolare del luogo ed Infine quel che resta alla fabbrica. Non mi seppero dire in quale misura venga fatta la ripartizione e credo poi che sia varia da repubblica a .repubblica, da zona a zona; ma come è umano anche se non molto aderente alla coscienza socialista, mi parve di capire che la somma destinata alla fabbrica sembra sempre piccola. «Oh — mi si disse con simpatica sincerità — gualche direttore giunge al punto di non denunciare il vero reddito, fa dei sotterfugi, adopera quel danaro in vario modo; ma noi qua non lo facciamo ». Si andò avanti nell'illustrare come il danaro che rimane alla fabbrica viene adoperato. Una parte è destinata al fondo per l'incremento della fabbrica stessa, una parte per la razionalizzazione del lavoro, un'altra ancora per faccende sociali o per costruire case operaie; ed infine, quel che resta, viene diviso tra gli operai e gli impiegati, In vario modo, secondo le varie categorie, come supplemento di salario. Nella ripartizione della somma che rimane alla fabbrica non vi sono percentuali fis¬ sate in precedenza: «Siamo noi stessi — mi raccontò orgoglioso il mio cicerone — che decidiamo. Molte volte conviene rinunciare al supplemento del salarlo per aumentare il fondo destinato all'incremento od alla costruzione di case ». Nelle sue grandi linee il sistema dell'auto-gestione che rende le singole collettività padrone del loro destino, non è complicato. Funziona bene in quelle fabbriche che, rispondendo ad una reale situazione economica del Paese, sono floride. Ma prospettai a quel « consiglio » che avevo di fronte il caso di una annata negativa, di un bilancio passivo: che cosa sarebbe allora accaduto f Si stringevano nelle spalle come per dire che, fortunatamente, non si erano trovati in simile brutta posizione. Ancora quel tale vestito da cacciatore mi spiegò con quale sistema vengono fissati i salari: essi si discutono in « consiglio » ed una volts, stabiliti bisogna che il sindacato e le autorità politiche diano ti benestare. « Se la fabbrica va via'e — concluse sbrigativamente — è logico che i salari d::n<nuisca-.io. che non si po' di supplementi a fine anno. I salari sono ridotti dei dieci o del venti per cento sino a portare il pareggio nel bilancio; e se non basta si ricorre ad altri sacrifici ». Mi scappò detto che. almeno per ora, c'erano dunque operai fortunati ed operai non fortunati. Mi guardarono in un certo modo, quasi per dirmi: « La colpa non è nostra ». Enrico Emaniteli!

Persone citate: Edward Kardelj, Lenin, Marx, Stalin