Camera d'albergo a Belgrado

Camera d'albergo a Belgrado -7= PRIMA TAPPA DI UN VIAGGIO IN JUGOSLAVIA — Camera d'albergo a Belgrado Arrivo alla stazione vecchiotta e «stanca» - Difficile, all'albergo, fare un bagno; nelle vasche le cameriere lavano la biancheria - La stanza è ampia, signorile, grandi finestre - Ma alla porta invece del catenaccio, c'è un chiodo girevole, la lampadina del lavabo non s'accende, sul piumino una grande macchia, come una crosta insecchita - E' la sintesi al una serie di distruzioni, dolori, ripieghi, di una povertà imposta da guerra e dopoguerra (Dal nostro inviato speciale) Belgrado, aprile. Il Simplon-Orient-Express è l'unico buon treno che porti o Belgrado. Non è piti quello d'un tempo, quando metteva persino in moto la fantasia dei romanzieri, che lo immaginavano sempre carico di viaggiatori romantici od avventurosi; oggi, al contrarto, in più d'un tratto sembra che sbrighi un modesto traffico « locale » come un qualsiasi impoetico accelerato. Ad ogni modo arriva nella capitale jugoslava alle sei del mattino e così mi permise di conoscere subito un aspetto della vita cittadina, che altrimenti mi sarebbe rimasto sconosciuto. A quell'ora le strade sono già piene di gente, sui mar.ciapiedi ci sono le code per salire sugli autobus, che se ne vanno stracarichi. Belgrado e una capitale mattiniera, alle sette si comincia a lavorare: le officine, gli uffici e persino i ministeri già funzionano. Alle quattro del po¬ i■iiiiiiiiiiititiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiftiiiiiiiiii|iiiiiiiiitiiii meriggio tutto e chiuso. Ed i negozi ai adattano a tale orario stando aperti il mattino dalle sette a mezzogiorno e poi dalle quattro alle sette di sera: d'altronde è soltanto tn queste tre ore che ■la gente è libera, può andare a spasso o sbrigare le proprie faccende personali. La stazione di Belgrado è vecchiotta, molto modesta, non ancora rimessa in sesto dopo gli anni della guerra e per non dire che è sporca, dirò che è stanca. Guardo un grande orologio appeso sotto una tettoia e vedo che è fermo; prendo il tassi per andare all'albergo e vedo che è un ferravecchi con le portiere che non chiudono, con i vetri dei finestrini rotti, i cuscini sfondati, e starnuta, cigola, traballa minacciando ad ogni attimo di fermarsi; e poi entro nell'albergo, il portiere mi annuncia che il telegramma col quale prenotavo una camera è giunto da due giorni, ma dovrò aspettare sin verso mezzogiorno iiiiiiiiiitiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiititiiii» per avere una sistemazione. Mi dico che tutte queste cose insieme formano una maniera bonaria per ricevere uno straniero senea volergli subito mettere fumo negli occhi od ingannarlo' con piccoli espedienti di furbizia e di organizzazione propagandistica. Molto meglio che sic, così; intanto chiedo se posso fare un bagno. M'accorgo di sollevare un problema, che viene discusso tra il portiere e due suoi assistenti. Ma torno indietro un momento nel mio racconto. La via principale Avevo chiesto all'autista di quell'incredibile tassi perchè mai, d'inverno e d'estate, ci sia l'abitudine d'essere al lavoro alle sette il che significa alzarsi alle sei e per chi sta soltanto un po' fuori mano alle cinque. Mi ero sentito rispondere: « Io non lo so. Farse fanno così per mandare a letto presto di sera la gente*. E poi, davanti alle complicazioni per la richiesta d'un bagno, rivolta al portiere d'un albergo che gli jugoslavi classificano di prima categoria, mi ero tanto incuriosito da pregare che me le si spiegassero in una lingua a me comprensibile. Fui subito accontentato. « Vede — mi disse — le cameriere qui hanno l'abitudine di arrotondare il salario facendo il bucato per i clienti. E lo fanno nelle vasche dei bagni. Insaponano e mettono di sera in acqua la biancheria e il mattino risciacquano ». .Rispondo che ho capito; ma il mio interlocutore, pensando il contrario, aggiunge: c Che vuole, con salari di sette od ottomila dinari il mese è difficile vivere ». Mi dico che tale modo di parlare, quello dell'autista e del' portiere, è libero, franco e vivace; e sono contento di non trovarmi subito di fronte alla diffidenza, alla cautela, insomma all'ipocrisia intesa come norma giusta per evitare guai, che molti credono necessaria quando si vive in regimi politici troppo gelosi della propria sicurezza d'aver sempre ragione. Può sembrare che mi perda in aneddoti da nulla e può darsi che si pensi: « Ma che storie ci racconta? ». Adesso da quel mattino sono già passati quindici giorni e sempre più sono convinto che non c'è nulla di meglio e di più giusto per dare subito la sensazione d'una certa atmosfera di vita: la maniera mi pare tanto buona che voglio insistervi. Cosi, quel mattino fatto il bagno, dopo d'aver assistito ni disimpegno d'una vasca e bevuto un bicchierino di slivoviza, che è forte come la nostro grappa, ero uscito con l'unico intenzione di camminare a caso nelle strade. In guest! primi. incontri c'è sempre una nuovo emozione: è come vedere una persona sconosciuta e cominciare un dialogo senza sapere su quali argomenti sisvolgerà, se belli o brutti, se interessanti o noiosi. Intanto (mi dicevo) devo aspettare il .mezzogiorno, poi avró la camera all'albergoje, sistemandomi, potrò dire di essere veramente arrivato. Ho quattro ore davanti a me, una lunga battuta d'aspetto. Scopro òhe dietro all'albergo c'è la più grande strada di Belgrado, dedicata al maresciallo Tito, e comincio di li la mia esplorazione. Il traffico delle automobili è modesto, un vigile ad un quadrivio fa funzionare uno dei rarissimi semafori della città senza nessuna convinzione. In mezzo a poca folla, che corre avendo negh occhi e nelle gambe una méta ben precisa, sono l'unico sfaccendato. Dopo una camminata di quattro ore rientro all'albergo e mentre salgo al quarto piano verso la camera ili mi dico che non mi sarà facile descrivere le cose che ho visto: come è la gente, come sono le vetrine, gli autobus, le case, le strade e qualche cortile od androne nel quale già sono entrato a curiosare. Dipingendole ad una ad una finirei col mettere sulla carta un arido elenco e poi mancherebbero gli odori, i colori, le pàtine, le sfumature è tutto quel che impalpabilmente è diluito nell'aria e che l'aria vivifica a suo modo sempre diverso per formare il itone» d'una città. Non per pettegolezzo Afisi la chiave nella toppa e aperta la porta mi guardai intorno. Fu un attimo e compresi come descrivendo la mia camera, che è d'un albergo di prima categoria; aviei descritto in -modo indiretto gran parte di Belgrado, che va pur messa tra le città di prima categoria. Adesso conosco meglio di quanto non conoscessi quel mattino la capitale jugoslava, ma ancora ritengo giusta la mia prima sensazione, e crede? che non.abbia nessun altro modo per far subito capire dove sono. Dirò come prima cosa che la camera è ampia, con un piccolo « ingresso >, il gabinetto e due grandi finestre con i doppi vetri. Chi l'ha disegnata non temeva lo spreco dello spazio, doveva essere d'animo signorile e generoso. Ecco la prima impressione di carattere, dirò cosi, generale. Chiudo la porta e vedo che, alVinterno, non c'è un catenaccio o qualcosa del genere; ma c'è un chiodo, piegato a metà ed infisso nello stipite: lo si gira (difatti l'uso ha Cfinsunto il legno della porta) e così più nessuno può entrare in camera. Faccio un passo avanti. Sulla destra c'è un triplice attaccapanni di ferro, ma due becchetti sono rotti. Proseguo per curiosare nello stanzino che accoglie gabinetto e lavabo. Sopra il lavabo c'è una lampadina, ma non si accende e vedo che non c'è il tappo di gomma per trattenere l'acqua; nel gabinetto una goccia cade da un tubo che passa vicino al soffitto. C'è un odore poco gradevole e m'accorgo che il gabinetto non ha nessuna comunicazione con l'esterno e nemmeno uno sfiatatoio. Mi dico: tPoco male, chiuderò la porta > che infatti c'è per dividere questo locale dalla camera. Ma non è possibile. Il lavabo deve essere stato aggiunto in una sistemazione niiiiiniiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiD recente e la porta vi batte contro rimanendo per tre quarti sempre aperta. Passo nella camera. Il letto è di buone proporzioni e comodo; ma il piumino ha una grande macchia, come una crosta insecchita, che nessuno mai ha pensato di togliere; le federe non sono adatte per i cuscini essendo più corte ed una è rammendata in modo frettoloso. Dal soffitto pende un po' storto un mediocre lampadario con tre lampadine, ma anche qua una non si accende. Penso: < Sarà per econo-mia >, ma poi vedo ohe anche quella sul comodino non funziona. Le pareti avrebbero bisogno d'uno mano di vernice; i due lunghi e bassi caloriferi, messi sotto alle finestre, sono neri nei punti estremi più alti, a destra ed a sinistra, neri e lisci, come i piedi di quei Cristi di legno troppo toccati dai fiduciosi fedeli: anche qua vuol dire che molte mani si sono appoggiate per sentire, in questo caso, soltanto se erano caldi. Le tende sono di filo grosso intrecciato a maglie larghe, come le reti per la pesca: scorrono male, anzi non scorrono sui regoli in alto. Ad ogni modo voglio aprire le finestre, ma per la prima l'impresa è insormontabile perchè certi ferri che la tengono chiusa non si spostano e per la seconda Vimpresa è fortunata soltanto perchè quei certi ferri, che dovrebbero tenerla chiusa, non funzionano. Non ci sono le gelosie o tapparelle o persiane chiamatelo come volete; e la luce dell'alba, poco dopo le quattro, mi sveglia: forse vorrebbe farmi diventare mattiniero come tutti gli abitanti di Belgrado, Non mi si dica, adesso, che tale descrizione è pettegola. La camera numero ìli di questo albergo di prima categoria non deve essere presa come un troppo facile pretesto di denigrazione: ohi pensasse a questo modo sarebbe fuori strada e si metterebbe stupidamente dalla parte della maiignità. Questa benedet¬ ta camera ili sintetizza, re*, de evidenti, fa da paradigma ad una lunga serie di distruzioni, di dolori, di fatiche, di ripieni che guerra e dopoguerra hanno imposto a tutta la città ed a chi ci vive ed a quei molti che, alla fine del conflitto, sono venuti ad abitarci. D'altronde sono qua per vedere che cosa e come si fa per rimediare a questa situazione di coraggiosa povertà. Essa non si nasconde; anzi, per assurdo, potrei dire che mi è stata offerta in mostra sin dal primo momento ed intenzionalmente per farmi capire in quale < ambiente > mi muovo e sollecitare no.i il compatimento, ma la solidarietà. Enrico Emanuel!! «♦.■

Persone citate: Enrico Emanuel

Luoghi citati: Belgrado, Jugoslavia