Ha parlato il fulmine

Ha parlato il fulmine li K BOTICI! DI SELIIUITI Ha parlato il fulmine Fra Sciacca e Selinunte, la strada non perde quasi mai di vista il mare: ma a noi non vien più fatto di guardarlo, il mare mediterraneo, con l'occhio e la mente, col pensiero e con l'animo con cui lo guardavano gli antichi, e, in certo qual modo, venendo a noi, con cui guardammo noi stessi le acque del Mediterràneo quand'eravamo ragazzi: con un ingenuo sentimento, se si possa dire, precolombiano. Fatto sta che basta esserne «sciti una volta; e anzi la prima volta che ci si torna è l'unica veramente sorprendente, perchè d'esperienza inattesa e nuova, e irrimediabile. Rientrare in Mediterraneo da una traversata atlantica, con l'animo effuso e i sensi conformati alle misure dell'acque, dei cieli, delle luci, avvezzi a scandire il moto della nave sui tempi e i ritmi dèll'on,da oceanica; rientrare, subito di qua dallo Stretto di Gibilterra, è l'indefinibile e certa sorpresa di ritrovarsi su un mare dove tutto è lineato, proporzipnato, cadenzato e mosso, anzi creato secondo caratteri naturali ed estetici tanto diversi da quelli di là dallo Stretto, quanto diverso, e nella storta e all'animo, è dal mondo moderno il mondo antico. Rientrare e ritrovarlo, il mare classico, è un riconoscerlo e riconoscere, insieme, perduto il senso, le misure, la-fantasia che n'ebbero gli antichi, cosi come smarrito è il senso ingenuo che potemmo averne noi al tempo dell'adolescenza incan.tata. ■ ' Ammirazione e affezione crescono, come, che so?, supponendo si fosse avuta la prima rivelazione della poesia dalle reliquie della lirica greca, tornarci dopo le tant'altrè letture che può offrire il mondo: una selva, ma quelle son fiori, come le viole della chioma di Saffo nel verso di Alceo. Mentre percorrevo quella stra da sui vasti pianori e le larghe ondulazioni della riva siciliana in quel tratto, sui monti arcigni d'entroterra posava, grigio, aggrondato, peso, il maltempo; ma sul mare e dal mare s'avvicendavano, in rapide e rapinose comparsei turbini di vento e di pioggia, con qualche corrente folata di sole, simile- a un'appa? iririone sull'acqua, nella nube, Bel vento. - -• Sulle rive, di quel rosso terroso che è una fra le dovizie dì colore del lido siciliano meridionale, il mare rompeva con l'andamento incalzante) col ritmo breve e la cadenza frettolo-' sa, quasi ingorda, con la quale corrono e si rincorrono le onde del Mediterraneo, mare variabile, estroso, nel quale anche le furie, quando gli saltano, hanno il carattere dell'ira bizzosa. Maré, del resto, molto più pericoloso di quanto non confessi la sua vista comunemente. E intanto quei veloci turbini repentini sul mare e dal .mare, che venivano a disfarsi in grossi scrosci di pioggia stille rive; percotevano, aizzavano, istiga- " vano le acque da ben tre direzioni a vicenda, talvolta urtandosi e accavallandosi e annodandosi insieme, con ogni gradazione di bigio, dall'argentino, con un sospetto di roseo tramandato dal sole in nube, al tenebrarne del nerofumo. E subitanei voli radenti del nembo raggricciavano e rabbrividivano le acque procellose e frementi, senza distruggere la nota fondamentale e ricorrente di un verde meravigliosamente squillante, frigido, ' invernale: sto per dire superstizioso, per via del ricordo, che anche da cotesta sua nota coloristica emanava, della regola die gli antichi seguivano riguardo, alla navigazione, inibendosela nei mesi vietati, non che dal pericolo, dal volere stesso delle deità marine e marinare. Curioso a dirsi, la crudità lucente e fissa di tal verde, stupendo, aveva un che d'inibitorio, più che il buio dei nembi correnti. I quali, svariando fra loro negli estri loro, ogni tanto, lungo d cammino costiero, quasi giuocando, m'inseguivano, mi raggiungevano, svagavano; sparivano, improvvisi nel venire e nell'andarsene, con quella specie di vivacità malignante e maliziosa, per cui la natura e il clima stesso, nell'isola marina e vulcanica, congiungonò in un tratto solo aspetti di giovinezza e di decrepitudine naturali. Così, la fiorita degrf^ agrumeti e dei mandorli e dei frutteti di peschi e di meli, sulle lave dell'Etna e nelle scabre, austere vallee dell'isola indimenticabile. Anche cotesta congiunzione di giovinezza e d'antichità della terra, di ciò che la rinnova e la infiora e vi luce, e di ciò che vi produce, nelle manifestazioni vulcaniche, presenza primordiale delle forze buie sotterranee, fa ben collocata in Sicilia la sacra favola di Madre Demetra « del¬ lg ; la primaverile Persefone rapita da Ade, il dio degli inferi. D'altronde, anche l'archeologia rivela quanto fosse, oltre che sicula e avita, familiare e sentita e presente la greca religione delle divinità terrestri, connessa con quella del mondo infero di sotterra e d'oltretomba. Lungo mio andare, nei nembi correnti, spesseggiavano i fulmini, e il mare li beveva, al largo. Il fulmine, si sa, vien da Giove ed è essenzialmente olimpico e superno. Ora, fu proprio nel momento in cui i turbini estrosi accennavano a. placarsi e a sciogliersi, che un fulmine, l'unico terrestre fra i molti marini di quel giorno, venne a cadérmi abbastanza vicino perchè tuono e lampo,' barbaglio e scoppio,, coincidessero in uno schianto unico, secco, rapidissimo, ch'è ir segno, come si sa e come sa chi n'ha fatto qualche volta l'esperimento, della prossimità della folgore. Ogni' volta, col fenomeno, si ripete e domina, con la scossa abbagliante e intronante dei sensi, uno stupore dell'animo smemorante, violento. E' il fenomeno naturale più perentorio, ed ha pure in eè qualcosa d'incredibile; e tutti gli altri suoni sono lenti, prolissi, quasi molli, appetto alla secchezza e repentinità del fulmine vicinante. Non si vede nè si ode, e non si percepisce distinto e separato, nè diverso dallo stupore che gli si identifica e confonde. Sembra partorito, stupenda violenza, dalla mischianza, dalla conflagrazione di cielo e terra, dell'etra e del suolo, dei più profondi cieli e delle viscere terrestri. Non è solo celeste: è sotterraneo; non soltanto supero: è infero. Ormail quando scoppiò quello, mi stavo avvicinando alle rovine ,di Selinunte, in un tardo pomeriggio nemboso e procelloso. E quello stupore naturale mi diventò antico, remoto, misterioso, quasi a rinnovare atavici sensi delle religioni antichissime, in cui parlavano, per oracoli e auspici, gli elementi del cielo e del suolo e dell'aria, Calava ormai la sera, affrettata dal tempo che s'era disteso e infoscato in caliginoso e piovorno. Le rovine dei templi e dell'acropoli e della città sorgo no su una terrazza naturale a picco sul marti ' solitaria. Nel grigiore dell'ora, il , frangente ■marinò biancheggiava*' più spiccante, sulle spiaggie rosse ai piedì dèi dirupici dove fu il porto; ma le rovine dei grandi templi giganteggiavano, più ancor che per la grandezza delle dimensioni, per una loro'immanità biancastra, incombente e inattingibile, costernante ed esaltante all'animo, immanente, da tanti secoli di storia, sul luogo. Nelle immense, poderose e ponderose macerie accatastate e accavallate, fosse l'ora, fosse lo stupore e di èsse e del fulmine recente, era e appariva la forza della distruzione, quasi divinità di nume presente. Era come le avesse fatte crollare allora allora l'incendio, la furia delle guerre, mille e mill'anni fa, la po tenza. del. terremoto, la forza stessa del tempo e della vetustà tutta visibile, sensibile, sacra a un timore reverenziale e panico Pareva che non fosse lecito entrarvi a mettervi il piede e l'occhio, nè la mano, a scrutarli c a toccarli. Pareva che sarebbe stata un'irriverenza e quasi una profanazione della tacita, solen ne, squallida e augusta maestà tragica di tante rovine: e che l'avesse già detto la voce e l'auspicio della folgore nell'approssimarmi. Quasi' a rendere più domesti¬ cmsUIIIIIIIIlllIIIIIIlllllllltlllllllIlllllllllIIItlllIlllll co e più dimesso cotesto sentimento, più umana la sua persuasione, s'era anche messo a piovere distesamente e quietamente, e alla rapida sera seguiva, rapida, la notte. Una notte che in quelle e da quelle iiji-/ mani e tumultuose, rovine assumeva l'arcano della natura, del tempo, di noi effimeri sulla terra. , Ebbi e porterò cosi con me, me stesso intangibile ed ardua, arcana e remota, una conoscenza di Selinunte, che rimarrà irripetibile, anzi irrevocabile, sul limite di quella notte trasunta in un mistero annunciato dalla folgore. La quale avendo parlato, non è più il caso d'aggiunger parole. Riccardo Bacchelli ps«11 j 111111 r1111111 m i [ 11111• 11111 u 11 m 111 r 11111 n ■ 111111111

Persone citate: Riccardo Bacchelli

Luoghi citati: Gibilterra, Sciacca, Sicilia