Certezze di un critico di Francesco Bernardelli

Certezze di un critico Certezze di un critico Silvio D'Amico era scrittore divertentissimo, spiritoso, brioso, scanzonato, con una punta romanesca e beffarda che insaporiva la sua prosa, sempre vivo nella trovata, sempre pronto all'aneddoto malizioso, all' arguzia opportuna. Cosi egli, piacevolmente, conquistò il pubblico. Ma il fatto curioso è che in questo tono brillante, in questi modi allegri, ai celava la più Intensa, tenace gravità di pensieri, intenzioni e principi, si celava la sua idealistica difesa dei valori spirituali, la sua fede di cattolico. Si potrebbe dire che questo critico di teatro, questo appassionato uomo di teatro, passò la vita a dimostrare la validità, l'onestà, la virtù di quello spettacolo scenico che tante volte, per 11 suo libertinaggio, e per l'immoralità e l'eccitamento sensuale, diede ombra e fastidio e fu condannato dalla Chiesa; onestà e virtù che si possono ritrovare Intere — diceva D'Amico — quando li teatro ritorna all'Impulso primitivo che lo ha generato, quando si rifa poetico e religioso. Tutta la polemica di D'Amico, garbata, ma cocciuta e vigile e aggressiva, e che. durò tanti anni, tutta la requisitoria di D'Amico contro la vanità degli attori, il materialismo e la frivolezza delle commedie e dei drammi, contro la faciloneria delle rappresentazioni, si aggira intorno a questo punto, di qui parte. Che lo spettacolo non è, non deve essere un divertimento spensierato o insensato o corruttore, ma un atto di solidarietà umana di fronte al mistero, una testimonianza corale della divinità del mondo (palcoscenico' e spettatori all'unisono, ben legati e fusi). «Il teatro è nato in Chiesa — esclamava la Duse —, io vorrei ricondurvelo >. E qualcuno osservò che 11 motto si addiceva perfettamente all'anima e all'opera del D'Amico. Il quale ricordando che la coscienza cristiana dei primi secoli repugnava all'idea e alla professione di attore < in quanto l'attore cede in qualche modo la sua personalità ai demonio opponeva, a tal concetto tutto parziale, un suo credo: «Fate che l'uomo, e l'attore, invece di sottostare agli spiriti di un'arte criminosa e lussuriosa, offia se stesso a quelli di un'arte cristiana, fate che non rappresenti più numi lascivi ed eroi corrotti, ma angeli, santi, apostoli, pie donne al Sepolcro, la stessa Maria, lo stesso Cristo: e non sarà più indemoniato; sarà santificato, indiato. La sua funzione ridiverrà sacerdotale >, Con questa chiave si può intendere bene tutta l'opera e tutta l'originalità di Silvio D'Amico. Quand'egli attaccava il mattatore (Tramonto del grande attore) e se la prendeva con Ermete Zacconi, distruttore di poesia, là, negli Spettri, che altro faceva se non ricondurre e l'attore e il dramma ad una essenzialità ed espressività nettamente spirituali? che altro faceva se non condannare la materialistica concezione del teatro come sensazione'impressione effetto, come colpo di scena e successo? E quando, orientati, dosi con la sua caratteristica lucidità logica, tra le molte e confuse tendenze, e scuole e. psicologie e ideologie dell'arte scenica tra l'Ottocento e il Novecento, identificava la crisi del teatro ih uno smarrimento delle coscienze, in un frantumarsi dell'uomo nell'incertezza, nel dubbio, e invocava la rinascita dell'anima, e già credeva di scoprirne i sintomi nelle pieghe segrete del tempo, da qual sentimento era mosso se non dal grande anelito ad una redenzione teatrale? E quando, Infine, si faceva paladino della regìa contro la prepotenza, l'eccentricità, la fatuità del primo attore e della prima donn- non tendeva egli forse ad una equilibrata armonia, ad una misura intima e delicata, dalla quale ancora e sempre trasparisse • splendesse la < religione > del teatro, e la sua estasi pura, specie di fantasiosa, poetica ascesi: Sofocle. Shakespeare, Tasso, Goethe? Colto cosi rapidamente quello che ci pare lo stato di coscienza essenziale, determinante, di D'Amico critico e studioso e maestro di cose teatrali, sottolineata la sua « vocazione > che fu più che di teatrante, di assertore di una fede attraverso il teatro (e ne derivò una splendida fioritura di opere di cultura, di pagine finissime, dì illuminazioni e chiarificazioni indimenticabili), ritorneremo al primo accenno, ossia che il D'Amico non fu mai un piagnone, ma anzi un animatore festevole, cordiale e lieto. I suoi libri eccellenti ne fanno fede: Teatro dei fantocci, Maschere, La crisi del teatro, Il teatro italiano del Novecento, Storia del teatro drammatico, Dramma sacro è profano, e via dicendo, e ne fa fede il ricordo dì tutti quelli che più o meno da vicino assistettero alla sua continua instancabile ottimìstica propaganda teatrale. Egli, professore di storia del teatro, organizzatore di congressi e manifestazioni teatrali, conferenziere, viaggiatore per il vasto mondo alla ricerca di rivelazioni o almeno di novità sceniche, egli amico dei giovani, e propugnatore di ogni attività che in un modo e nell'altro energicamente contribuisse all'auspicata rinascita, al vagheggiato avvento di uno spettacolo alto e nobile, una sola cosa rimproverava, e si faceva allora leggermente acerbo: l'indifferenza, e, peggio, lo scetticismo e la musonerta. Voleva tutti entusiasti, tutti pronti con lui e come lui, tutti allegri nella fiducia e nella speranza. A questa animosa e lieta perseveranza molto contribuì l'indole, ma forse anche l'educazione cattolica, l'antica saggezza trasmessa attraverso il tempo da quel san Filippo Neri ch'egli prediligeva, e insomma la sicurezza raggiante che pur si rivela in altri suoi scritti di vario argomento. Pellegrini in Terra Santa, Scoperta dell'America Cattolica, Certezze. Fu così, oltreché critico insigne e maestro coltissimo, un personaggio davvero singolare nella storia del nostro teatro. Ed ora, in un estremo, commosso pensiero, rammemorando il suo molto operare, si può racchiudere il senso della sua missione teatrale e umana in queste parole ch'egli ci ha lasciato: c Beilo io vuol dire legame, ecclesia vuol dire adunata. Parlare a un pubblico di teatro, vuol dire fare appello ai sentimenti che lo coMegano. che lo fanno uno >. Francesco Bernardelli

Luoghi citati: America, Spettri