Creano una città «progressista» che sarebbe stata moderna 50 anni fa

Creano una città «progressista» che sarebbe stata moderna 50 anni fa IL COMUNISMO URBANISTICO IN POLONIA Creano una città «progressista» che sarebbe stata moderna 50 anni fa Nowa Ruta, edificata su terreno vergine, senza impacci del passato, riproduce i soffocanti quartieri operai di un qualsiasi centro industriale dell'Occidente - Essa dovrebbe essere la città-tipo della società senza classi, la residenza ideale dei nuovi proletari polacchi (Nostro servigio particolare) Danzica, marzo. Gdansk — l'antica Danzica — è stata oggetto nel 1945 di una nuova controversia fra gli < storicizzanti » e i moderni. Bisognava decidere se la vecchia città, distrutta come Varsavia nella proporzione del 95 per cento, sarebbe stata ricostruita nel suo splendore anseatico, o se sulle sue fondamenta millenarie sarebbero sor. ti quei grattacieli di stile moscovita, ohe sembrano la personificazione stessa dell'architettura « progressista >. Non era un problema facile: rifacendo le belle forme rinascimentali, si poteva essere rimproverati di restaurare l'antica città tedesca, proprio mentre appariva necessario dare un carattere slavo ad una regione, che i Cavalieri teutonici avevano colonizzato secoli prima a colpi di spada. Gli dèi e le ricerche archivistiche si pronunciarono a favore degli c storicizzanti > Pazienti indagini sulle carte polverose consentirono di stabilire, sembra, che su venticinque architetti occupati nel Cinque¬ cento ad abbellire Danzica, tre furono polacchi, due soli tedeschi e gli altri olandesi; e poiché l'arte fiamminga non conosce frontiere, fu lecito ricostruire Gdansk secondo i piani originali, senza offendere per questo l'onore nazionale, ed ornare le facciate a punta acuta delle antiche (nuove) case con tutta la gamma dei colori pastello più vivaci, verde, giallo ocra, rosa, rosso. L'effetto è eccellente, ed i quartieri ricostruiti, liberati dall'orrore delle costruzioni moderne di altre città, danno un senso di gioia, che nel tumulto del XX secolo è una felice eccezione. Non sono tutti felici, però, i risultati del nuovo urbanesimo polacco; e in nessun posto lo si vede cosi bene come nell'immenso Palazzo della Coltura e dello Sport donato dai sovietici a Varsavia, colossale edificio piramidale che eleva la sua punta a 230 metri. Non è tanto orribile nelle proporzioni, quanto nelle decorazioni. Doveva ispirarsi Inizialmente al nuovo stile russo; ma, per fare più < polacco >, gli architetti hanno avuto la sciagurata idea di ricopiare fedelmente gli orna- menti della rinascimentale Ca-i sa dei mercanti di drappi di Cracovia, senza essere nemmeno sfiorati dal dubbio che una simile decorazione, assai adatta ad un edificio antico e di proporzioni ridotte, avrebbe fatto a pugni con le linee moderne e smisurate di quel grattacielo. E non si tratta del solo errore. Come in tutte le democrazie popolari, anche l'urbanesimo polacco pretende di essere all'avanguardia in confronto all'architettura dei Paesi capitalistici; ma in pratica riesce spesso a realizzare soltanto del falso nuovo, che è già vecchio. Me ne sono accorto a NowaHuta, la < città socialista > ner eccellenza, capolavoro dell'urbanesimo progressista, costruita dal nulla a pochi chilometri dall'antica capitale, Cracovia. Su un terreno vergine, in cui tutte le audacie erano possibili, nelle condizioni ideali sognate da qualsiasi architetto (disegnare una città tutta nuova, senza alcun impaccio di edifici preesistenti) i polacchi hanno costruito la più piatta, la più monotona, la più anacronistica e la più convenzionale di tutte le città. Infatti Nowa-Huta non è se non la riproduzione fedele dei quartieri operai di una qualsiasi città industriale d'Occidente, stile 1925. Non c'è una ferrovia metropolitana, ma i tram; non ci sono quartieri distinti — residenziali, commerciali, indù* striali — ma un assieme di piatta uniformità; e le case non sono distribuite come in una città-giardino, ma sorgono a grossi blocchi rettangolari di quattro piani lungo le strade di traffico, costringendo i bambi ni a giocare ancora fra le ruote delle automobili, quando ci saranno automobìli. Asili, scuole, teatri, dispensari sono esattamente gli stessi che si vedono in tutte le periferie delle nostre città; non è stato dato alle massale nemmeno l'immondezzaio automatico, ma sopravvive l'anacronistico bidone delle spazzature. Con una specie di mirabile ostinazione, questi architetti hanno edificato una città che sarebbe stata splendidamente moderna negli anni attorno al 1900; tutti proiettati sufi' avvenire, hanno in realtà cinquantV •->! di ritardo. Ma c'è a ragione. Non e che gli ar^nitetti fossero privi di coltura, di immaginazione o di talento; sono stati semplicemente vittime della politica. La decisione di creare a sette chilometri da Cracovia una città artificiale e tutta nuova di centomila abitanti, rispondeva a due esigenze: modificare l'atmosfera « reazionaria » dell'antica capitale, e costruire la città-tipo della società senza classi, la residenza ideale dei nuovi proletari polacchi. Ma la maggioranza degli operai di Nowa-Huta provengono dalla campagna, sono stati tolti alle loro fattorie ed alle loro stalle; per fissarli in città, era necessario dar loro non i quartieri sognati dagli architetti, ma il tipo di case che i contadini hanno sempre legato all'idea della città: non spazi verdi e giardini, bensì tanti edifici fitti l'uno accanto all'altro, con la possibilità di arrampicarsi su un tram, di passeggiare per strade animate, di schiacciare il naso contro le vetrine, di sentire il frastuono dei' motori dalla finestra dell'alloggio. Il problema della Chiesa In sede psicologica e politica, il calcolo si è rivelato giusto, anche se per il momento il cammino che deve portare l'ex-contadino dal feudalesimo al comunismo è stato percorso soltanto a metà, è giunto soltanto alla.tappa piccolo-borghese. Per " rendersene conto, basta osservare l'amore di questi neo-proletari per gli oggetti cromati, i soprammobili di paccottiglia, e l'orgoglio con cui mettono in vetrina nella loro stanza questi loro poveri, nuovi tesori. D'altra parte Nowa-Huta, involontario insuccesso degli architetti, è un trionfo per il partito: il suo spirito di città senza classi e senza chiese, materialista e progressista, sta invadendo anche le strade strette e pittoresche dell'antica Cracovia, dove gli splendidi campanili barocchi delle chiese sembravano fino a ieri una sfida con¬ ts e , i tro l'assalto della marea comunista. Non per questo si deve pensare che le chiese siano vuote: lo Stato ben sapeva di non potersi arrischiare ad impedire le manifestazioni della fede; e per tutta la giornata, anche fuori delle ore dei riti, è un'incessante sfilata di fedeli che entrano. nei templi a pregare. E molti cattolici si sono lealmente avvicinati al regime, senza rinunciare alle loro convinzioni ed alla loro ortodossia. Non è possibile — spiegano — andare contro la storia, e la Chiesa, in cui fermamente credono, non deve estraniarsi dalla società socialista dei tempi nuovi; essa può anzi ritrovare uno slancio nuovo a contatto con la rivoluzione, contro il desiderio stesso del partito che alla religione è contrario. Molti di questi cattolici progressisti sono degli ex-arlstocratici, ed il loro capo Boleslaw Piasecki riconosce egli stesso sorridendo di essere un « ex-fascista >. • Formidabili giocatori L'avevo incontrato a Varsavia: forme atletiche, volto leonino dalla folta capigliatura rossastra, occhi vivi e chiari, ed un temperamento certo non meno solido della sua figura tisica. Ardente patriota, comandò durante là guerra una formazione partigiana nell'Ucraina polacca; ma apparteneva alla corrente di Bir-Komorowski, l'eroe dell'insurrezione di Varsavia, e perciò i sovietici lo arrestarono appena l'Armata Rossa giunse nel territorio dove operava. Rimpatriato, fu messo in carcere anche dal nuovo governo polacco; ma riconobbe i suoi < errori > come esigevano i nuovi giudici, e il presidente Bierut gli diede la libertà ed il consenso di organizzare j cattolici « progressisti ». Pubblica persino una rivista: Oggi e domani. Parecchi dei suoi compagni, dicevamo, sono degli ex-ariatocratici che nella rivoluzione hanno perduto tutto. Se fossero stati dei borghesi, probabilmente non si sarebbero rassegnati al nuovo regime; ma 1 nobili polacchi non hanno mai dato peso ai valori materiali, sono stati sempre dei formidabili giocatori, credevano soltanto nella patria e nella fede. Abituati sin dall'infanzia a non valutare nè pena nè profitto, hanno abbandonato senza volgersi indietro castelli, cavalli e tenute; ed ora pensano non a riprendere 1 beni perduti, ma a lavorare ancora per la Chiesa e per la Polonia eterna, tante volte straziata e sempre risorta. Essi portano lo spirito, delle crociate nel tentativo di impedire la rottura fra Stato e Chiesa, nonostante l'alterna lotta fra 11 regime e l'episcopato, ed hanno convinto della loro buona fede tanto la gerarchla ecclesiastica quanto il governo. Diversamente dai « preti patrioti), che hanno ormai spezzata la fedeltà a Roma per guardare a Mosca, e che il Cardinal Primate ha colpito di interdetto, Piasecki ed i suol compagni restano nell'ortodossia. «Non transigeremo mai sui rapporti con Roma — mi aveva detto — e non vorremo mal trovarci In contrasto con il Vaticano >. Ma appunto per questo la loro situazione è difficile. Tuttavia sono ottimisti, dicono che le vocazioni sacerdotali non sono mai state così numerose, che la « piccola guerra religiosa > finirà da sola 11 giorno in cui il governo si accorgerà di non aver nulla da temere dalla Chiesa, che il regime non oserà mai attaccare di fronte una religione sostenuta dall'immensa maggioranza del popolo. Dirà ^avvenire chi ha ragione, se gli ottimisti o i pessimisti. Ma è certo che in Polonia il problema religioso si pone in termini diversi che nelle altre democrazie popolari dove la Chiesa di Roma, trovandosi in minoranza, è oggetto di una sistematica persecuzione. Qui, per applicare una simile politica, il regime dovrebbe liquidare l'85 per cento della popolazione. E nemmeno i comunisti si sentono capaci di tanto. Georges Penchenier Copyright dì « Le Monde » e per l'Italia de « La Stampa »

Persone citate: Asili, Boleslaw Piasecki, Georges Penchenier