"Così dice la storia ma io non ci credo,,

"Così dice la storia ma io non ci credo,, "Così dice la storia ma io non ci credo,, Io avevo in Siracusa dei parenti, dai quali mi fu raccontato, quand'ero ragazzo, che un cicerone locale, bel capo ameno, facendo la dimostrazione delle antichità siracusane: Teatro greco, Anfiteatro romano, Ara di Ierone II, Tomba d'Archimede,' mura e Castello Eurialo, la possente e ingegnosa opera a cui.l'urgenza del bisogno e l'imperio di Dionisio il Vecchio adibì, dicono, sessanta migliaia di lavoratori e seimila buoi, probabilmente trattati meglio degli uomini; facendo dunque la dimostrazione, vi intercalava, risoluta quan-i to lepida chiosa di un suo categorico scetticismo, una sentenza: — Così dice la storia, ma io non ci credo. Ma uno potrebb'anche ' sottoscrivere a cotesta sentenza in tutto: resta il fatto che le Latomie furono scavo di man dell'uomo, fatica umana, a cavar la pietra chiara, luminosa, forte, per la costruzione della grande città antica, -coi suoi monumenti bellissimi e con le sue immense e imponenti opere e difese marittime e terrestri. In quei ruderi immani delle antiche cave siracusane, il carattere, anch'esso immane, del luogo, i segni riconoscibili che fanno ricostruire i procedimenti « i progressi dell'immane fatica, le notizie, e storiche c tradizionali e leggenda rie, tutto trae la fantasia a immaginare, secoli e secoli, le tante generazioni di schiavi e le torme di prigionieri di guèrra, che faticarono, stentarono, perirono negli antri di quelle immani cave. Vi avesse o no, il gran despota di Siracusa, quell'amplificante spia acustica che vien chiamata Orecchio di Dionisio; fosse quella o fossero altre, fatto è che nell'immenso e altissimo speco echeggiante, il suono fa pensare a quello degli scalpelli e mazzuoli; allo stridere dei curri sotto i massi e al cigolare dei ver coli sotto i carichi, e delle leve; allo scrosciare dell'acqua versata sui runei di legno affinchè, ere scendo, finissero di sradicare dal corpo della roccia i ritagli di pietra; alle voci di comando, alle cantilene per dar tempo ed unione agli sforzi: e al clamore degli urli d'imprecazione, d'ingiuria, di lamento, di spasimo, talVolta di ribellione, e degli aguzzini e delle torme ad essi soggette in quei sotterranei spaventosi. E quando, 'sulla soglia dell' « oreechio», basta stroppare un foglio di carta per sentir IfeÉo^fe» sciare nell'alto dello spe'cV nuoso, vien- dispensare all'eco delle parole, dei mormorii,' dei gemiti e lamenti di disperazione, di pena, di fatica, di morte. Così, quella fatica, la raccontano minutamente, la parlano, le mille e mille scalfitture, degli scarpelli sulle pareti e volte e pilastri di tanto scavo. E quell'eco sembra in fantasia che ripeta aneliti affranti e sospiri mortali, e i sibili delle fruste. E la fantasia si perde in un perdut j riflesso di raccapriccio fantasiante. Così accade ogni volta che riaffiora, da indizi risorgivi e dai ruderi del passato, il senso del l'onerosità della storia, delle civiltà, delle opere umane, quanto costarono di pena e di sangue e di morte, a costruirle. Sorge un che di orrifico e d'incantato nella mente stupita, angustiata, scorata, incapace di fermarvisi e quasi stanca prima d'essercisi provata, quasi patisca come una remota trafittura di compassione. Parlo del passato, per non dir del presente e delle esperienze attuali. Si vedono dall'altura del Castello Eurialo, chiave delle grandi difese, gli specchi marini e le spiaggie e le piane e i colli, dove la forza di Atene si sfibrò nella fatale impresa contro Siracusa, già vincitrice di cartaginesi e di etruschi e dei molti nemici isolani. Si vede anche la costa lunata dove sbarcò il console Marcello ad assediare e assalire ed espugnare, che fu la fine della grandezza di Siracusa, la città difesa invano dal genio inventivo di Archimede. Ma la fantasia si rintema nelle tombe di vivi, nel ile Latomie, pensando la volta che vi furon chiusi a perire di sfinimenti i settemila dell'armata di Nicia sconfitta'sul fiume A* sinaros. Ci si ripensa nella luce armoniosa'di cielo e di mare e di sole, che colma.e perfeziona la bellezza del Teatro. Per intimar loro quella sentenza che li mandava a struggersi nelle Latomie, i siracusani radunarono i capi di quei settemila nel Teatro Così dice la storia, direbbe quel cicerone faceto; ma non andrò a riscontrare i testi: non m'avessero a ridurla favola di leggenda. Mi sembra, stando a ripensarci sui gradini del Teatro, che quella cerimonia sia stata ordinata secondò una sorta di perversa ispirazione estetica e propriamente tragicizzante. Già l'averli condotti ed esposti a tanto' sole e sotto una così greca luce com'è quella di Siracusa,; per sentirvisi condannati e destinati a non riveder più sole, nè luce, nè il mare, che ha l'azzurro e il violetto e il colore del vino, quali hannp l'acque marine della patria di quei vinti e morituri, madrepatria dei vincitori • inge¬ gnosi carnefici, sa di vendetta raffinata, di crudeltà spietata e soleggiante, davanti allo splendore del gran golfo e alla nitida Ortigia siracusana, che facevan da sfondo alla funerea cerimonia atroce. Greci di Grecia e greci di Sicilia, .fra gli uni e gli altri la comunanza di sangue e di civiltà dovette, come suol fare nell'odio, conferire alla vendetta un più amaro sapore di feroce e sottile perfidia, col fasto, quasi sacrificale, di quell"ultorio convito alla morte, e ad una morte orrenda. E la comunità di lingua e di religione e di poesia, perfezionava, anche esteticamente, il trovato di quella solare crudeltà antica. Erano ateniesi i condannati, e i siracusani li convitavano a sentirsi già morire, guardando, cogli occhi di già sepolti vivi negli antri orrendi e ciechi, la luminosa scena delle favole sublimi e l'orchestra armoniosa dei cori stupendi. Erano ateniesi i chiamati a tal simposio nel teatro sacro al più ateniese portato del genio ellenico, nel ' teatro della tragedia: con che potente e sottile strazio degli animi e delle memorie, rammentando la città e il teatro d'Atene, s'intende a ripensare, che so? gli errori e la rovina dei persiani e di Serse, i terrori e l'assoluzione di Oreste, il fato di Edipo e il suo transito, il compianto di Antigone sulla bocca della sepoltura. Ci dovett'essere, in quella tragedia storica, insieme allo strazio delle vittime, un che del religioso e poetico orrore tragico, ma profanato da quella fastosa e ingegnosa crudeltà d'odio. Aria e terra, mare e luce, il cielo e l'uomo, la storia e la poesia, illanguidiscono e si esaltano, brillano e vaniscono lontanando e addentrandosi non so se in me o nella scena del mondo visibile, quasi su traccie di ricordo perduto e larvale. Inducono nel tempo e nell'attimo dell'effìmera vita un'abbagliata e quasi dolce paura, forse simile a quella che disponeva gli antichi ad accogliere dalla pienezza del sole e dal colmo del meriggio gli stupori, le apparizioni, gli spettri del timor panico. In questa spettralità luminosa vanisce . il senso - del mondo: non ha,più còrpo, e la vita appare andata coi morti. Verrebbe anche voglia, bizzarramente, di adoperare a modo d'esorcismo la formol^jsciatta del bizzarro : cicerone, mentre, per contro, la fantasia, e nel teatro, e neH'« orecchio » echeggiante, e nella clamorosa « grotta dei cordati », e nei silenzi deHa Latomia dei Cappuccini dove fùron chiusi a perire di lenta morte_ i settemila di Nicia, si ripopola di doglie morte da tanti secoli. D'altronde, doglie e disperazioni, quando mai n'è infeconda e libera, la storia? Alle foci gemelle dell'Anapo e del fiume dei papiri, il Ciane, mi accompagna il ricordo di un amico. Il cielo grigiazzurro fa lucida e cupa la limpidezza del breve fiume e delle sue polle improvvise, ubertose e profonde, tra le solinghe selvette della pianta che ha allignato ed ha vita naturale, fuori dell'Africa nativa, soltanto sulle rive di cotesto fiume. Ed è anche, questa una curiosità, che aggiunge incanto e grazia alla tacita navigazione segreta sulle acque brune, sui verdi fondi, fra le rive del pallido papiro, un po' strinato da una recente notte di vento freddo. Giannotto Bastianelli. in vita sua, adoperò tutto, anche l'ingegno, ch'ebbe alacre, penetrante, esigente, a tribolarsi. Compositore e critico e saggiatore musicale, ebbe mente .è curiosità critiche ed inventive robuste e pertinaci, larghe e profonde, agili, vivaci, precise, ma, come compositore, restò incompiuto e tronco, quasi bruciato e distrutto anche dall'inquietudine del suo travaglio intellettuale.' Gli fui amico e vicino in momenti dolorosi della sua passionata e travagliata esistenza di disperato. Come nella sua persona, di figura sto per dir gotica, la vivacità si univa alla fragilità mingherlina, così il suo spirito vivido ed acre, di toscano e talvolta di i toscanaccio » volontieri caustico, lo faceva spericolato e timoroso, risoluto ed affranto, temerario e spaurito di sè, dell'arte, del pensiero, e della vita, che' amò disperatamente e disordinatamente, fino ad aborrirne e a tentar di togliersela. Anche nel disordine e nel peccato che ve lo ridusse, anche in quel che di lui artista rimase travaglio, anelito, illusione, anche nei suoi errori, ci fu nobiltà di uomo tormentato, ancor più che dalla sorte, da lui medesimo. Le generazioni feraci e vigorose, com'è stata insomma la nostra, esigono vittime; ed egli fu una: anche questa è una disgrazia degna di grave rispetto, che lo sortiva a una perpetua ansia fuggiasca. Vicino alla sua fine squallida é triste, e in parte misteriosa, era venuto, anzi era stato portato dalla inquietudine angosciosa, a Siracusa, come il poeta tedesco Piateti. E da tempo io non sapevo più nulla di lui, quando, improvvisamente, mi scrisse che in barca fra i papiri, remeggiato da un vecchio barcaiuolo siracusano, s'era sentito come navigante di là dalla vita su un fiume d'oblio, su un fiume! degli inferi, leteo. Allora, mi sembrò, pur con pietà, che fosse fantasiamento non privo di compiacenza estetizzante oziosa e viziata. Adesso vi ravviso un pudore, intellettuale e morale, dell'amico che voleva dirmi addio senza lamenti nè recriminazioni nè rimpianti: in un modo, insomma, virile, e che teneva ancora, in quell'estrema quiete dello spirito affranto e sfibrato, di ciò che fu fervido e generoso e nobile nella nostra gioventù. Le generazioni, dicevo, vigorose e feraci, vogliono vittime. Come ch'egli l'abbia espressa, il mio povero amico ebbe, sulla cieca e silente limpidezza del Ciane, un momento, l'ultimo, d'ultima e rinunciata felicità, stillata dalla pena e fatica a cui stava per soccombere. Riccardo Bacchelli iiiMmiimuiinmiMiiiiNmiiMMiiiiiiiiimniimi

Persone citate: Bastianelli, Giannotto, Greci, Riccardo Bacchelli

Luoghi citati: Atene, Grecia, Sicilia, Siracusa