Un ingegno lunatico

Un ingegno lunatico EMILIO L O V A fi I 1[ I Un ingegno lunatico Di Emilio Lovarini, che se n'è andato l'ultimo dell'anno, non intendo ricordare gli studi e l'ingegno, ma semplicemente H fatto che mi fu professore d'italiano nei tre anni di liceo. Ed è proprio questo a mettermi nella penna cotesta locuzione: «se n'è andato», dimessa, familiare, affettuosa. Così diciamo degli amici, dei prossimi. Filologi, critici, storici della lingua e della letteratura, non solo diranno dei suoi meriti e delle sue benemerenze, ma penso che troveranno nelle sue carte, e ne trarranno, contributi inediti, da accrescer gli uni e le altre. Questo, specialmente riguardo alla restituzione critica e storica, ed estetica, ossia viva e vivente, e anche, nel'caso particolare, sulle scene, di quel vigoroso e scabro e singolare poeta e teatrante, che è iì « pavano » Angelo Beolco, il gran Ruzzante. Ma ritengo che ne uscirà ri-' costruita anche la figura di lui stesso, il Lovarini, ingegno ed animo inquieto, estroso, fervoroso, ma anche ombroso, scontentabile, stranamente smagato di quel che studiava e faceva, proprio nel mentre che vi si adoperava con solerzia, con acume, con tenacia di studi acuti e profondi e originali, e curiosi. Direi che fosse proprio la curiosità. Non che gli si smussasse sul lavoro prima di portarlo a compimento, ma anzi gli durava e gli si destava, ad un tempo, per una folla d'altri e diversi argomenti. I quali non è che, attraendolo, lo sviassero nè lo svogliassero: gii attraversavano la strada, Io mettevano su varie, diverse, in parte divergenti. Forse proprio un eccesso di fiducia, quando uno studio era impiantato bene e condotto fino a buon punto; forse la sicurezza, giustificata, d'essere in vista del compimento, si traduceva in impazienza di conseguirlo. Rimandava, pensando che quel dato studio potesse aspettare la fine già sicura e concreta: pòi, quando ci ritornava, quella troppa sicurezza e la sua curiosità erratica, si cambiavano in una sfiducia e una sorta di stanchezza impaziente. Penso, anche, che di ciò aves-se una segreta dilettazione amara, crucciosa, dell'umore melanconico e;4]iijàtico, con un certo gusto d'indispettirsi con se medesimo, e con gli altri, se è vero che si svogliò, molti armi, degli studi ruzzantiani, perchè il Mortier pubblicò' là sua traduzione, inadeguata. ! del Ruzzante in francese. D'altronde, proprio sul Ruzzante il Lovarini ha lavorato, e ripreso, e continuato a lavorare, con grande perseveranza. Penso dunque che c'entrasse un umore saturnino, che noi suoi scolari gli conoscemmo quasi quotidianamente tre anni, al liceo Galvani di Bologna. Era anche profonda tristezza, di padre colpito nella fìgliuolanza da tragica sventura: non ricordo più con la doverosa esattezza quale; ma fosse anche un inganno, un mito della memoria, pur come tale, poiché data da allora, direbbe e dice il nostro sentimento di ragazzi adolescenti, timorato, verso quella tristezza d'uomo, adulta. Noi eravamo, in quell'inizio del secondo quinquennio del-secolo, in quel ginnasio-liceo'Galvani che aveva proprie tradizioni e carattere, ed era stato :n origine comunale e non statale, allievi, carducciani, di allievi, in buona parte, e di adepti delta scuola carducciana. Carducciani tutti, scolari e maestri, entusiasti o per lo meno di stretta osservanza. Scopersi più tardi, e soltanto più tardi, che proprio i più fini tra quei maestri sape-, vano distinguere e criticare, ma sulle cattedre, insomma, l'impronta generale del gusto e dei criteri, il canone delle letture e dei giudizi, era carducciano ortodosso. S'aggiunga lo stravagante entusiasmo degli adolescenti, e anche della prima giovinezza, che non discerne, non capisce quel che legge, e prende vita ed impronta da uno stile, da un'aria, da un carattere, non diciamo poetico quanto, piutto sto, verbale, estetizzante. Voglio fare un esempio; e, per esempio, alcuni, potevamo già sapere, altri averlo saputo per educazione religiosa, quel che .tiesse una sparata anticristiana Iella forza di quella del Clìtuvmo: « un g.ìlileo di rosse chiome », ecc. Però, nella letta ra dell'ode, fremevamo, anche non essendo massoni nè figli di massoni, nè mangiapreti. Altro «sempio, lo struccacuore di quel giorno d'inverno «alla stazione», lo sentivamo, non come poesia ma come nostro, magari aiutati da un insegnante amico di Enotrio e di Lidia, che poteva perfino averli accompagnati, se non proprio alla stazione e quel giorno, in qualche passeggiata. Tanto che una volta, ricordo, quell'uomo arguto e faceto e di mondo, proprio leggendo queir l'ode, con un sol gesto descrisse e delineò il naso di Lidia, che pare fosse pronunciato Come quello di una studentessa, di cui poi ero innamorato io. Ma guarda, a divagare, dove va a parare • il discorso! Però, di quel professore, un aneddoto dev'essere* (ricordato per utile incidenza. lì Ministero aveva divulgato un questionario; la moda futilissima cominciava col nostro tragico secolo. L'ultima colonna era intestata: «Desiderii dell'insegnante », E tutte quelle brave persone a scrivere, contenti che finalmente il Ministero interpellasse il corpo degli insegnanti, ecc. ecc. « Nessuno. — scrisse colui: — l'uomo saggio non nutre desiderii ». Un'altra volta, già che ci sono, mentre un movimento gerarchico alla a Minerva » rallegrava i colleghi, poiché aveva condotti molti amici al Ministero, e se n'aspettavano belle cose, egli disse: «Troppi amici», e fu sentenza d'oracolo. Ho riferito, perchè son avvisi valevoli per sempre Fatto sta che il nostro carduccianesimn era cosa di famigliai suscettibile e intransigente, dunque. Il Lovarini. senza per questo assumer grinta d'iconoclasta, cominciò subito a dirci che non prendessimo senza esame critico la poesia e tanto meno la critica storico-letteraria carducciana; che delle polemiche leggessimo Jhche la parte avversa; che leggessimo De Sanctis, da noi appena sentito ricordare, mentre un certo Benedetto Croce nemmen di nome ci era noto. Fu, nelle nostre teste, una rivoluzione del criterio, benefica, s'intende; ma non voglio dir questo, ora. yVoglio rilevare che, da parte sua, importava un vero e profondo affetto e rispetto, attivo all'esercizio della mente e del gusto, in quanto esigeva, nel caso, di affrontare un notevole fastidio. Infatti, lo sconcerto, le reticenze, le antipatie, da parte nostra, non furono poche nè poco risentite. E i più sciocchi, che vi deploravan quasi uno scandalo, eran quelli che si facevan sentire di più: primaria qualità degli sciocchi, e immortale come loro E sulle prime io fui tra gli sciocchi: il che non impedì al maestro di valutare con larga generosità i miei componimenti e saggi letterari, tanto da darmi qualche dieci, cosa in quelle scuole rarissima, specie in fatto di scritture italiane. E quando le mie non gli piacevano, pur generosamente s'arrabbiava, e me le dava indietro dicendo che avrebbe dovuto darmi zero, ma preferiva restituirmi il componimento. Finalmente, poiché, sorto la scorza d'uonio che poteva parere scontroso aveva il vero' animo del maestro critico e animatore, mi fece andare a casa sua a leggergli non so più quali mie prime prove letterarie, e non per lodarmele, ma per discuterle e criticarle insieme. E io avrei anche dovuto' dirle prima queste cose, e non farmi precedere, come ci accade troppo spesso, dalla morte, • Ed ecco che mi tornano in mente due compagni di'quella scuola, che si sono scelta, uno di solide attitudini alla storia letteraria, l'altro di felice disposizione alla filologia classica, una sorte simile a quella del nostro maestro, percorrendo degna ed onorata carriera'di uomini e di insegnanti, ma, come studiosi produttivi, eleggendo il ritégno, appartandosi in silenzio, e più di lui. . , . Ritegno o rinuncia o sprezzatura,' voglio dire che c'è della nobiltà, dell'eleganza intellettuale in questo ricusare di far troppo e di più di quanto comporta l'ingegno sortito;; ir» questo rinunciare a-far tutto,, e in questo preferire di far magari poco, rispetto alla capacità nativa. Lo so: esistono anche le difficoltà pratiche, e agiscono, eccome!, specie in epoca così sguaiatamente e stoltamente infesta alle arti liberali. Quell'eleganza rimane, e un ingegno e caratte¬ 81111111 ! 11 ! 11P ! M11 i 1111111F j 11 ! M U111111111111TIMI ( 1111 re come quello di Emilio Lovarini '.a portò con dolore e travaglio nobili, non della vanità o pur dell'ambizione letteraria, ma dell'animo profondo. E leggo in un necrologio di C A. Cibotto, che negli ultimi anni, nel paesello nativo di Lovadina. in un ritiro tutt'altro che inoperoso ma schivo più che mai. quando fu fatto un tentativo per cavarlo di là e ricondurlo al mondo, si provò ad accettarlo, ma poi disse che era inutile, perchè quand'uno si è lasciato morire, alla vita non può più tornare. Non è scontrosità, non è sconforto, non è tristezza, quella che parla così, degli anni tardi : è di quella profonda e nativa, di quella che riconoscemmo, timoratamente, noi suoi allievi di liceo, saranno, l'anno prossimo, cinquantanni, se non son già con questo. Signore Iddio, come fugge il tempo! Riccardo Bacchelli c 11 i 1111111 ! 1111 n 11M11111 n i n 11111 r 11111 il 1111 ) 111 r 11 ( 1

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