Non à detta l'ultima parola di Vittorio Gorresio

Non à detta l'ultima parola Non à detta l'ultima parola Al terzo giorno dagli avvenimenti di Moscai la situazione generale sembra essere schiarità. Dopo i commenti suggeriti dall'immediata emozione, si nota in tutto il mondo la tendenza a valutare con maggióre pacatezza e ne risultano mutate — in meglio — le prospettive. La stessa stampa americana, la più sensibile agli atteggiaménti dell'Unione Sovietica, scrive con molta ragionevolezza che non sussistono cause obbiettive di aggravamento della tensione. Il presidente Eisenhower ha parlato di Zukov nei termini che si usano a riguardo di un vecchio amico, ed è mancato poco che una vera euforia si diffondesse in luogo della preoccupazione provocata dalle prime notizie. In ogni modo, da quando Truman discorreva nel '48 con i propri elettori chiamando Stalin familiarmente il buon vecchio Peppino («Old good Joe»), è stata questa la prima volta che un uomo di Stato americano abbia vantato la propria amicizia con un responsabile della politica sovietica. Con fiduciosa curiosità la pubblica opinione del Paese già si domanda se Eisenhower inviterà il suo vecchio compagno a visitare gli Stati Uniti, secondo il desiderio confessato dallo stesso Zukóv. E, dopo Zukov» 'si potrebbe magari estendere l'invito al terribile Kruscev, che da sè si è proposto come ospite, parlando l'altro giorno a giornalisti americani. A veder correre così sbrigliate le fantasie, ci si 'domanda se tutto questo non sia il frutto di un tentativo di autosuggestione, come cioè se i popoli dell'Occidente . cercassero fuggendo di sottrarsi ad un incubo. E' mai possibile, difatti, che la sostituzione di Malenkov al terzo giorno venga salutata addirittura come un contributo alla distensione? Una risposta non è semplice, e sarà il caso di evitare il quesito diretto. Sta di fatto, però, che si cominciano a considerare elementi più validi e più sostanziali di quelli apparsi in luce al primo annuncio delle novità moscovite. L'aria di calma che si è diffusa oggi nel mondo è dovuta anzitutto alla ragionata persuasione che la politica di un grande e potente Paese come l'Unione Sovietica non è mai in funzione di un uomo solo, quale che sia il suo temperamento di « duro » o « molle ». o la sua personale tendenza verso il burro o verso i cannoni. Salvo forse durante gli ultimi anni della vita di Stalin, Mosca ha sempre seguito una politica che essenzialmente consisteva nel pesare ì rischi con molte avvedutezze. Non sarà la retrocessione di Malenkov da presidente a vicepresidente del Consiglio ad abrogare questa norma, che è condizione di vita o di morte per lo stesso regime. Neppure in Russia, insomma, un cambio della guardia legittima il timore di un nuovo corso awentu roso di politica estera, nè chi abbia il testo 'integrale del discordo che Molotov ha pronunciato il giorno del l'avvento di Bulganin, ne potrebbe citare un solo passo che testimoni! di propositi diversi da quelli sempre espressi dai rappresentanti sovietici durante il regime di Malenkov. In esso avrà trovato la consueta alternata esposizione di profferte di pace e di severi ammoni' menti, di impegni a una leale coesistenza e di minacce di ritorcere, colpo per colpo, eventuali aggressioni. A un certo punto vi si legge, per esempio : « E' possibile un miglioramento nelle relazioni tra TU.R.S.S. e gli Stati Uniti? Sì. esso è perfettamente possibile. Per questo, tuttavia, è necessa rio che non solo il governo dell'Unione Sovietica lo desideri, ma anche il governo degli Stati Uniti ». Non vi è alcun dubbio che questo passo sia di un perfetto stile malenkoviano, di quello siile che ha preso il nome dal deposto presidente, considerato l'ispiratore di una politica di distensione. Dobbiamo ammettere, però, che questa etichetta di uomo pacifico è stata accollata a Malenkov dall'opinione occidentale « dopo » e non « prima » della sua caduta. Fino a tre giorni fa lo stesso coro dei timorosi che oggi lo rimpiange echeg. giava in Europa ed in America per esortare a non prendere sul serio le sue proposte distensive; e la sua faccia larga e bonaria veniva presentata su tutti i cartoon* occidentali come una maschera che doveva coprire il vero volto dell'immutabile orco sovietico. Ciò viene a dire che chi aveva paura fino a ieri di una guerra aggressiva scatenata dall'U.R.S.S., è ben giusto che oggi continui ad averne, ma esattamente quanta ieri e non di più. Così bloccata la misura della nostra preoccupazione, resta comunque da spiegare la ragione dei cambiamenti avvenuti a Mósca. L'ipotesi che sembra più attendibile è quella che ha enunciato ed illustrato Ignazio Silone, uno fra gli interpreti migliori dei misteri del Cremlino. Egli- ritiene che la caduta di Malenkov altro non sia che un episodio della crisi di assestamento aperta in Russia dalla morte di ' Stalin. La cosiddetta direzione collegiale dell'Unione Sovietica è a suo giudizio un espediente temporaneo, adottato in attesa che p più forte si riveli per comandare solo. Si può concludere che Malenkov il più fòrte non era; e questo è tutto, probabilmente. Almeno per ora. Infatti le nomina del maresciallo Bulganin a presidente del Consiglia e del maresciallo Zukov a ministro della Difesa dimostrano che il segretario del (partito Kruscev non è ancóra il più forte nemmeno lui.i'che deve fare i conti con l'Armata Rossa. Sembra dunque che, nella lotta per il supremo potere, non aia stata detta l'ultima parola. Vittorio Gorresio