A Fes tutto è antico e genuino tra le alte mura color del miele di Paolo Monelli

A Fes tutto è antico e genuino tra le alte mura color del miele A Fes tutto è antico e genuino tra le alte mura color del miele Mercanti, artigiani, sacerdoti e letterati, nobili e borghesi vivono qui in policroma mescolanza come nei secoli passati Più o meno intatto è quel Marocco che fece piangere De Amicis e sospirare Pierre Loti - Onorati gli stranieri come ospiti, purché la visita sia breve • Clamore, colore, brulichio ; ma nel fragore cittadino la voce della radio è inesistente i (Dal nostro inviato speciale) Fes, gennaio. Ogni città marocchina ha il suo quartiere indigeno, detto medimi; parola araba che vuol dire semplicemente città. Nella maggior parte di esse questo quartiere indigeno appare relegato, ai margini della città nuova che è sorta vasta e prepotente, con giardini e con viali, con edifici del Governo e delle banche, con cattedrali, con grattacieli, con caserme e officine; ansi a Casablanca, come vi ho detto, non si vede che questa parte nuova e nuovissima, enorme, disordinata, squallidamente americana ed europea. Ma Fes è tutta medina. iiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiuiiB Tutto quello che ha vita e tradizione in questa nobile città, le moschee e le mederae, il palazzo del Sultano i le case dei nobili e i musei, le biblioteche universitarie e i santuari, i traffici mercantili, la vita sociale culturale e religiosa, tutto è racchiuso entro le sue mura medievali; e le mura cingono soltanto un quartiere indigeno, meglio, quartieri indigeni dai vari nomi e di illustre tradizione. Anzi non si parla di medina a Fes: si parla diFes el Bali — Fes la vecchia che è la parte più antica e vivace della città con i fondachi e i mercati, di Fes Oedid — Fes la Nuova — dove sorge il palazzo del Sultano coi suoi ampi giardini, circondato da un groviglio di casupole povere abitate in grande parte da negri, dalle famiglie dei servi del Sultano, da gente delle montagne e del deserto; e della Mellah che è il quartiere ebreo. La città santa rutti questi luoghi e borghi sono serrati dentro alle alte mura color del miele, interrotte da torri e da grandiose porte maiolicate; qui dentro tutto è genuino, arabo, berberot magari spagnolo — per un certo stile portato qui dagli andalusi che erano stati convertiti per amore o per forza all'islamismo e vennero qui dopo la Reconquista —; le abitazioni del popolo e degli artigiani brulicanti intorno a palazzi sontuosi;, con giardini e patlos di cui non si immagina l'esistenza andando per la via, le grandi moschee, le mederse, che sono per gli arabi quelli che sono i colleges di Oxford e di Cambridge per gli inglesi; università religiose, e nello stesso tempo asilo per gli studenti poveri che vengono ' dalla campagna e dalle tribù. La città nuova, francese, la Ville Nouvelle, che ha si o no trent'anni di vita, non conta; quello che conta è questa, la città santa, la oit' ià fondata - il secolo IX da Idris-I della stirpe del Profeta, ricostruita, disegnata secondo un savio piano ur- banistico e arricchita di edifici dagli Almohadl, e rimasta ancora più o meno nell'aspetto come al tempo di quegli illuminati sovrani; ove vivono tuttora in policroma mescolanza come nei secoli passati i mercanti, gli artigiani, gli studiosi di religione e di diritto islamico, i sacerdoti, t letterati, i nobili, i borghesi che vantano tradizioni di cultura e di raffinatezza. Andare per la vecchia Fes non è soltanto avventura di mercato, come quando si va nei suk delle altre città; è ritrovare un fido e tradizionale vivere di cittadini, più o meno intatto quel Marocco che fece piangere De Amicis e sospirare esteticamente Pierre Loti; ma quel Marocco anche che si negò per secoli all'influenza dell'Europa, accogliendo stranieri pochi e numerati entro i suoi confini, onorati cotr.e ospiti, ma come ospiti invitati a partire appena la loro vìsita durasse troppo a lungo. Il Marocco è il solo paese islamico, che io sappia, dove sia assolutamente vietato agli europei non solo visitare le moschee e i luoghi sacri, ma anche soltanto fermarcisi vicino; basta rallentare un poco il passo per gettare un'occhiata traverso la porta aperta al marmoreo cortile di un tempio per essere guardati dalla folla con sospetto; peggio fu quando mi arrischiai a guardare per una fessura dèlia porta di legno della grande moschea di Marradeso, accorsero due minacciosi ammantellati a sollecitarmi di aller tout drpit. Ma certamente le altre città marocchine non fanno che seguire l'ortodossia severa di Fes, dove fino alla fine del secolo scorso non c'era l'ombra di una colonia europea e i pochi bianchi che vi capitavano, per quanto ospiti del Sultano, suscitavano ingiurie e imprecazioni dalle donne se si arrischiavano nelle viuzze della Kissaria, che è il cuore dei suk. Un diplomatico francese che si recò a Fes in quel tempo al seguito del suo ministro che andava a presentare le credenziali al Sultano (ma dopo questa cerimonia i ministri e i plenipotenziari europei dovevano tornare a Tàngeri, il solo luogo del regno ove la loro presenza fosse tollerata) trovò a Fes tre ufficiali francesi istruttori delle truppe del Sultano, un medico militare francese, due ufficiali inglesi, due o tre ufficiali spagnoli del Genio, e alcuni militari italiani venuti a costruire e a dirigere una fabbrica d'armi, che ha conservato ancora oggi il nome che le dettero gli indigeni udendo parlare gli italiani, la Makina; e questi erano tutti gli europei di Fes. Come l'acqua del fiume H visitatore, una volta che è penetrato nella città da una delle porte, ha l'impressione di essere trasportato da una corrente, densa agitata continua, che colma le vie le viuzze gli angiporti le gallerie, da un fluire inesorabile di gente a cui si dà di spalle di petto di gambe, senza violenza, ma con assidui contatti. Ogni tanto la corrente, come fa l'acqua del fiume intorno a un masso, si divide urtando contro un asino dalla grave soma, un facchino carico di un cassone o di un armadio che da ogni lato minaccia di scrostare il muro, un ostacolo qualunque, e subito al di là si ricompone; e chi voglia sottrarsi a quell'ineson bile pressione e muoversi per conto suo deve approdare all'orlo della via, arrestarsi sulla breve soglia di una bottega, ficcarsi nell'interno di una porta, se non lo trovi già gremito di donne accoccolate. Quello che in qualche ora della giornata è fenomeno di alcune calli di Venezia — ma non vi entrano quadrupedi nè car¬ retti nè vi si trasportano merci a soma o a dorso — è qui tumulto di tutte le ore per un intrico vastissimo di calli, di traverse, di stradette, di angiporti, di vichi tortuosi che salgono e scendono, che si infilano ogni tanto sotto il nero di una casa e diventano galleria o cunicolo, e qua e là, dove appena un poco si allargano, sono coperti di stuoie o di una armatura di travi con piante rampicanti. Un clamore discorde ed altissimo riempie perpetuamente l'aria, grida di asinai, inviti di venditori, pianto di infanti, invocazioni di mendicanti e di ciechi, nenie di artieri che accompagnano con lamentose cantilene il lavoro, clangori di metalli picchiati con violenza, addottola, cigola, scarrucola, battibecchi o anche soltanto dialoghi amichevoli sulle soglie (l'arabo alza subito la voce appena l'argomento lo interessi, sembra che alterchi, è invece soltanto portato ad urlare dalla piena dei sentimenti, affetto, amicizia, allegria); ragli di asini, muggiti di vacche da qualche corte che si apre sul vicolo, e qua e là da una stanza interrata lo atrillare disarmonico di bambini che studiano ad alta voce i versetti del Corano. Aspetti anacronistici Ogni cavo nel muro, se non sia l'ingresso ad una abitazione o ad un cortile, è una bottega o un'officina di artigiano; le botteghe hanno tutta la merce esposta, piramidi di vasi, ghirlande di alberelli di profumo, panoplie di panni, collane di scarpe; ogni tanto quel dondolio è interrotto da una fontana maiolicata, fiancheggiata da colonne arabescate. Se siete con una guida che sa il fatto suo, vi invita ogni tanto a penetrare in un antro oscuro; e sbucate con meraviglia in un ampio silenzioso giardino denso di alberi, o in tranquillo cortile con una vasca quadrane golare nel mezzo, le pareti intorno con una balza di maioliche azzurre e grige e sopra fasce di intonaco bianco o di legno di cedro intagliato di arabeschi o di versetti del Corano. Si affacciano alle finestre visi indifferenti di piovani; è una medersa, ve rie sono di povere e di ricche, talune di venerabile antichità; gli ospiti sono studenti di umili famiglie, si contentano di vivere nei cubicoli che non hanno altri mobili che una stuoia o un tappeto logoro e si cuociono il mangiare da sè; e imparano a discettare per ore sopra un passo del Corano, sopra una parola dei iiiiiiiii«iiiniitiiiiiiiiiiii!>iiiiii iiiiiiiiiiiiiiii libri sacri, sopra un oscuro lemma di questo o quello scrittore di religione o di filosofia. Si ha il senso dell'immutabile antichità di questo modo di vivere; certo così dovevano apparire le strade popolari di Roma stando alle descrizioni che ne fanno Marziale e Giovenale. Non c'è strepito di motori come in altre città; ho veduto un solo negozio di apparecchi radio che aveva l'aria spaesata, quegli apparecchi eran muti, e nel fragore cittadino la voce della radio è inesistente; tutto il contrario di quanto avviene nei mercati di Egitto di Siria e di Giordania ove al contrario la radio supera tutti gli altri rumori, e sopravvive sola la aera a colmare di una assurda vita le deserte vòlte del mercato. Ma temo, peggio, sono sicuro che se tornassi fra pochi anni, troverei anche qui prepotenti questi clamori incorporei e i rombi dei motori; questi aspetti della vita quotidiana, immobili per millenni, sono già per finire; e se gli indigeni non se ne rendono conto, ai nostri occhi appaiono già anacronistici; qualche volta sembra proprio un preparato spettacolo questo brulicare di gente di cui non s'intende il motivo, i cornicioni bianchi e neri e azzurri entro cui -uomini e donne si insaccano nello stesso modo, il minuzioso trafficare, l'abilità individuale degli artieri; quale giovane verrà su a imitare l'arte di questo vasaio che sta tempestando di una fitta decorazione di virgole nere il vaso di coccio, senz'altro strumento che il dito, intinge l'indice nello scodellino del colore e lo sgocciola sul vasof Un giovanotto vestito all'europea che ho conosciuto a Casablanca mi si mette al fianco, mi dice che sarebbe onorato se visitassi la sua casa. Andiamo verso quello che egli chiama il quartiere residenziale. Le strade strette salgono fra altissime mura senza finestre; si ha talvolta l'impressione di essere in una vecchia città italiana o spagnola. Le ììotteghe sono più rare, ma il traffloo e il chiasso sono sempre gli stessi, bisogna stringersi contro 'il muro se chiede il varco con prepotenza un asinelio su cui sta seduto di tra-, verso un adiposissimo ulema. Ogni tanto s'apre un'improvvisa radura fra le case, si allarga intorno uno scenario di mura altissime, un sovrapporsi grandioso di facciate grige e gialle senza finestre, di torri, di terrazze, muraglie come di fortezza bucate dall'ingresso di vichi iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii angusti. Qui il rumore ■ cittadino si attenua, e gli dà 41 cambio un largo uguale rumoreggiare d'acque, del fiume che divide per il mezzo la città vecchia; ma è difficile vederne la ricca corrente perchè per la maggior parte del corso passa invisibile sotto le case e aUmervta i pozzi e irriga i giardini segreti. Vi descriverò in un altro articolo la casa del mio amico arabo; quel poco spazio che mi rimane devo riservarlo alle lodi che, secondo quanto mi dice l'amico, gli scrittori e i poeti hanno fatto dell'acqua di questo fiume: guarisce dal mal della pietra e dai cattivi odori, addolcisce la pelle e distruggi gli insetti; è dolce e leggera, imbianca i panni e dà loro un grato profumo; e il medico Ben Gelun afferma che bevuta a digiuno rende più facile il piacere dei sensi. — Ci devo credere? — Non so, — sorride l'amico. — Io di quest'acqua non mi fido. Io bevo acqua minerale. Paolo Monelli

Persone citate: De Amicis, Mercanti, Pierre Loti, Profeta, Ville Nouvelle