Impresario edile condannato per la morte di tre muratori

Impresario edile condannato per la morte di tre muratori Impresario edile condannato per la morte di tre muratori Due anni col condono - Il fratello è stato assolto (Dal nostro inviato speciale) Asti, 20 gennaio. Durante la costruzione dell'edificio di 11 piani in corso Dante 59, il più alto della città, l'il giugno 1953 morirono per una sciagura sul lavoro tre muratori ed un quarto riportava ferite gravissime. Quali responsabili furono rinviati a giudizio i due fratelli Gabriele e Giuseppe Masino: il primo, di 66 anni, titolare dell'impresa edile, il secondo, di sette anni meno anziano. Questa sera, il Tribunale ha condannato a due anni di reclusione Gabriele Masino, ha assolto invece il fratello Giuseppe con formula piena. Il processo si è iniziato alle 15 ed è terminato alle 21,30: tutte le fasi sono state seguite da un pubblico molto folto. I fratelli Masino sono conosciuti nell'Astigiano e la loro impresa è una delle più grandi. D'altro canto, la sciagura con tre morti ed un ferito grave, aveva destato vivissima impressione. I quattro muratori erano stati assunti da pochi giorni come cottimisti per intonacare le pareti esterne dell'edificio. Essi dovevano lavorare su un ponte mobile sospeso con funi metalliche a tronconi che sporgevano dai tetto. A mano a mano che avevano terminato di intonacare una campata — così si dice con termine tecnico una striscia di parete alta un me tro e mezzo — mettendo in azione quattro argani, dovevano ab. bassare il ponte mobile per iniziare la seconda campata. II lavoro si svolgeva dall'alto al basso: quando successe l'incidente — alle 7,30 del mattino — essi si trovavano a 33 metri di altezza. La fune metallica "Si spezzò ed i quattro precipitarono al suolo: decedettero sul colpo Firmino Badella, dì 47 anni, e Vincenzo Penna di 41 anno; Federico Lanteri di 45 anni, che era il capo squadra, spirò mentre lo trasportavano all'ospedale. Il quarto, Giulio Masoero, di 45 anni, venne salvato dai medici dopo difficili interventi chirurgici. Ancora oggi non si spieet». come abbia potuto sopraw <ere dopo un volo di 33 metri. Il Badella, da Azzano, lasciò la moglie e due figlie, il Lanteri la moglie ed una figlia, il Penna la- moglie e la madre che viveva a suo carico. All'inizio del dibattimento le famiglie delle vittime dichiararono d) ritirare la loro costitu¬ o 6 i l e a e e I i e a . e i e o ì a zione di parte civile perchè 1 patroni avv. Dapino ed Obert avevano concluso un accordo con i difensori dei due impu tati — avv. sen. Baracco, Da gasso e Rostagno — per il risarcimento dei danni materiali Gabriele Masino ha spiegato al collegio che la fune metallica l'aveva acquistata dal negoziante Ferruccio Zò, di via Cavour. Egli aveva affittato il ponte con cavo di acciaio lungo 25 metri. Poiché era corto, pensò di sostituirlo con una fune più lunga. Non avendo trovato in Asti del cavo di acciaio, si accontentò di una fune di ferro zincato. Pensava che potesse es. sere sufficiente. Purtroppo si sbagliò. Dal processo è emerso che per reggere il ponte era necessario un cavo .di acciaio di 8 millimetri di diametro con resistenza ad un carico di rottura di 4000 chili. La fune fatale era di 6,5 millimetri e cedette-ad un carico appena di 530 chilogrammi. Il P. M. Turi, affermando che la responsabilità doveva esse re divisa tra Gabriele Masino che aveva acquistata la fune ed il fratello Giuseppe, che l'aveva applicata al ponte senza accertarsi della sua idoneità, aveva chiesto per entrambi la condanna a 3 anni e 6 mesi. Il Tribunale invece (pres. Dallolio, giudici Durando e Sacchi) ha ravvisato la colpa soltanto nell'azione del titolare dell'lmpre sa, dichiarando adeguata la pena di due anni con il beneficio del condono. g. t.

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