Ieri è sorta una nuova baracca nello squallido villaggio della miseria

Ieri è sorta una nuova baracca nello squallido villaggio della miseria Il problema della infelice esistenza di 700 persone nei prati delle Molinette Ieri è sorta una nuova baracca nello squallido villaggio della miseria la gnne situazione sanitaria e igienica degli abitanti delie due «case autarchiche* - Un provvedimento di sfratto che non può essere eseguito - Gli inquilini irregolari aumentano TI Consiglio provinciale di lunedi scorso si è occupato delle Casermette di Alternano, dove sono ricoverati i profughi, gli sfrattati, coloro che per 'molte ragioni non son riusciti a trovare una casa. Rispondendo a un'interpellanza del consigliere Cerutti, che metteva in rilievo in quali misere condizioni vivono quei ricoverati,, l'assessore alle finanze Actis Perinetti ha confermato che l'erogazione di 21 milioni stanziati dalla Proviìicia non può certo rappresentare quella soluzione che tutti desiderano, ma il segno che qualcosa si fa gtd. Una spinta decisiva forse si potrà avere dalla visita che il ministro Romita compirà sul posto il mese venturo, allo scopo di studiare un piano per la costruzione dì alloggi nei quali trasferire gli ospiti delle Casermette. E' augurabile che il ministro Romita non limiti ad Altessano il suo interessamento, ma voglia estenderlo anche a Torino visitando quel villaggio della miseria e della disperazione sorto da qualche anno sui prati di corso Polonia, oltre le Molinette. Sono anzi due { villaggi: uno formato di baracche, l'altro da quei due edifici che il fascismo aveva costruito per una mostra dell'edilizia autarchica, e che oggi vengono chiamati «case autarchiche » Ci siamo occupati ripetutamente di questi due tristi e paradossali agglomerati; ci ritorniamo ancora, una. volta, perché vorremmo che da Torino sparisse questo spettacolo indecoroso dal punto di vista estetico, turistico, igienico, sociale Estetica7nente e (Mrfsftcamente non è un lusinghiero biglietto di visita che alle porte della città viene esibito al visitatore; igienicamente, per la mancanza di acqua e di latrine; socialmente, perché una città rome Torino non dovrebbe permettere l'esistenza di sistemazioni cosi precarie e meschine. Quando diciamo che dovrebbero sparire, non intendiamo certo che si caccino via gli occupanti e si distruggano le catapecchie: ma che anzitutto si costruiscano case dove trasferire quei derelitti. Tentativi di sfratto sono già stati fatti, sia da parte del municipio per le baracche, sia da parte del demanio per le «case autarchiche ». Sono /ailiti perché di fronte a gente che dice « ce ne andremo quando avremo trovato una casa*, è prevalso ti senso dell'accomodamento. Non avendo le case da dare, si è chiuso un occhio, e poi si è finito per chiudere anche l'altro. E la povera gente continua a vivere nelle baracche E ne vengono costruite di nuove. Proprio ieri, recatici sul posto, abbiamo assistito oMa rifinitura d'una nuova baracca. Due giovani stendevano sulle pareti esterne larghi fogli di carta, catramata. Sono due profughi giuliani, vengono dall'isola di Cherso. Dal \}7 al '52 hanno vissuto alle casermette. Poi hanno trovato lavoro e un alloggio piccolissimo. Si sono sposati, la famiglia è aumentata, e allora per i vecchi genitori non si è ■llllltlllllllllII11IIII11111Ulll11l11l1ll1ltllllll1II1Ilt IIIIIIIIIIIIIMMIMIIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIimillllllllllllltrovata altra soluzione che una baracca in mezzo ai prati. Li ricino. una doppia baracca. Vi abita Luigi Ferrerò, di Moretta, con la moglie e quattro figli: di sei e di tre anni, di ventidue e di tre mesi. Sono due tane comunicanti; sul pavimento di terra battuta, due reti con un materasso. Non c'è acqua, non c'è luce elettrica, non vi sono gabinetti. Luigi Ferrerò fa il sellaio, un mestiere che oggi non dà molto lavoro. Fino a tre anni fa viveva in una casa sinistrata a Leumann, fu sfrattato perchè la casa doveva essere riparata, non trovò un alloggio e venne a stabilirsi in una baracca. Più avanti c'è, in cinque o sei baracche, la tribù siciliana di Giuseppe Di Leo, da Lercara Friddi. Marito, moglie, tre figli sposati (nelle baracche ricine), tre figli da sposare (nella stessa baracca). A quanto ammonta, in totale, tra genitori, figli, nuore, generi e nipoti, la tribù Di Leot II capostipite è manovale, tutti gli uomini lavorano: ma una casa per ognuno di loro non sono dgst riusciti a trovarla. Sono venuti a Torino perché a Lercara lavoravano un giorno la settimana. « Qui lavoriamo ogni giorno, il necessario non ci manca. E per questo sinmo tanto grati a Torino che ci ha accolti ». Nelle «case autarchiche* si sta un po' meglio, qui gli occupanti hanno almeno la sensazione di vivere in una casa. Hanno la luce, hanno l'acqua (rubinetto esterno e in comune); hanno una specie di gabinetto (una garitta esterna, senza fognature). Ancora giuliani. e veneti, e calabresi; e anche torinesi. E' rappresentata la miseria di tutta Italia. Matteo Gramaglia. torinese, decoratore: tSono qui da dieci anni, sono il più anziano. Dieci anni fa sono uscito da un mucchio di morti, e son venuto a rifugiarmi qui ». Ecco una famiglia di reduci d'Africa, profughi da Derna. Hanno fatto parte dei quei famosi € ventimila coloni » di Mussolini. Stanchi del campo profughi di Cremona, son venuti a stabilirsi in due stanzette delle t case autarchiche >. Ma t pourri si azzannano fra loro. Per ottenere una o due stanze, l'inquilino entrante deve pagare « il rilievo » a quello uscente, una somma che varia da cento a duecentomila lire. Sono più di duecento famiglie, oltre un migliaio di persone, a comporre questi due tristissimi villaggi della miseria. Per loro e per la stessa dignità di Torino è necessario trovare al piti presto una sistemazione

Persone citate: Actis Perinetti, Cerutti, Giuseppe Di Leo, Lercara, Leumann, Matteo Gramaglia, Mussolini