Gli anni sfortunati di Palazzo Chigi di Nicola Adelfi

Gli anni sfortunati di Palazzo Chigi UN TRASLOCO CHE HA RECATO SOLO SCIAGURE Gli anni sfortunati di Palazzo Chigi Mussolini 31 anno fa volle insediarsi alla Consulta, vecchia sede delia nostra politica estera Amarissimi frutti di una diplomazia teatrale - La rovina del '43 e la ripresa a, Brindisi in una sola stanza - Oggi tredici editici non bastano più - Le ristrettezze del bilancio (Nostro servizio particolare) Roma, novembre. « Le maggiori sciagure dell' Italia cominciarono 31 anno fa, il giorno in cui la sede della nostra politica estera fu portata dal palazzo della Consultat in piazza del Quirinale, al palazzo Chigi ». Era quasi il tramonto, gonfio di drammatiche luci sulle alture romane, e il vecchio ambasciatore, monarchico per tradizione di affetti familiari e antifascista per meditata convinzione, stava con gli occhi socchiusi in un angolo del suo vasto studio; più. che a me sembrava parlasse a se stesso, cosi pacato era il tono della vóce, tanto il distacco dalle passioni di un tempo. Mussolini si insediò alla Consulta subito dopo la marcia su Roma; in quel periodo gli piaceva conformarsi all'eleganza borghese e portava ghette bianche, cappello a bombetta e colletto duro con le punte rovesciate; corteggiava il patriziato romano, e la settecentesca Consulta con le sue nobili linee e il fascino diplomatico gli parve residenza più degna del piatto, burocratico Viminale. Scegliendo la Consulta, gli sembrava poi di accentuare il carattere rivoluzionario del suo governo, dato che la tradizione dei grandi presidenti democratici era tutta viminalesca. Non vi rimase tuttavia che un paio di mesi. Lui che amava la folla, aveva l'impressione di essersi appartato nel palazzo sul colle del Quirinale; ma ancor più, fl 11111111 1M ■ 11S1111M1111111 ! 11111111111111111111111 lui che voleva essere il primo, se si affacciava a una finestra della Consulta, aveva l'immediata sensazione di essersi posto sotto la tutela del piccolo e mai amato Vittorio Emanuele III. Ai primi del 1923 si trasferì a palazzo Chigi e, mi dice il diplomatico, < consideri un po' lei come felice fu il periodo dal 1811 al 1923, gli anni della Consulta, e come sfortunati quelli di poi, gli anni di palazzo Chigi ». Caccia ai documenti Ci affacciammo a una terrazza e restammo in silenzio come per gustare il forte tramonto di ottobre, in realtà ciascuno ragionando per suo conto. Infine l'ospite aggiunse: « Non pensi che io creda al genio dei luoghi, a una vocazione o predestinazione di vie o palazzi. Tuttavia, la diplomazia portata in piazza Colonna dal colle del Quirinale, e subordinata agli effetti teatrali, sollecitata dagli applausi popolari, non poteva non recare che amarissimi frutti ». Speriamo che i più amari siano stati già colti e inghiottiti dal popolo italiano. Fu di questi giorni, undici anni fa, che il nostro ministero degli Esteri, dopo lo sconquasso del settembre 1943, trovò a Brindisi una sua sede; in tutto e per tutto consisteva in una stanza, nell'edificio della prefettura; sulla porticina c'era un cartiglio scritto a mano: < Af mistero degli Affari Esteri »; dentro, il ministro Re¬ 111111F1111 [ 11111111111111 ! 11 ! 11 ] T111111111111 r 111M i 11111111 nato Prunas, appena arrivato da Lisbona e nominato segretario generale, all'occorrenza diventava stenografo e archivista. Frattanto a Roma tedeschi avidi e sospettosi frugavano palazzo Chigi dalle soffitte alle cantine. Procedevano sistematicamente., vano per vano, senza fretta, alla ricerca di documenti diplomatici capaci di infamare il nostro Paese e nello stesso tempo permettere l'arresto, l'invio in campi di concentramento o la fucilazione di migliaia di persone in tutta l'Europa occupata. Se dunque una stanza e pochissimi uomini erano allora tutto il nostro ministero degli Esteri, e se oggi le stanze sono diventate molte centinaia e gli uomini diverse migliaia, ancora sette o otto anni fa, al tempo in cui titolari di quel ministero erano Pietro Ncnni o Carlo Sforza, triste, più che melanconico, era il quadro composto dalla nostra diplomazia. Il bel cortile cinquecentesco del palazzo Chigi, reso fastoso dalle decorazioni barocche, formava un'ironica cornice alla folla di logore biciclette, di gente spesso malvestita, di signori che si contendevano i miseri pacchi alimentari distribuiti dalla cooperativa: bottigliette con qualche decilitro di olio, pezzetti di formaggio pecorino, ingombranti cartocciate di spaghetti. Di tanto in tanto, ma sempre nei momenti meno opportuni, l'edicolante che forniva i giornali al ministero, andava a scalpitare fin nell'anti- 1 i ! I i 1111E1 [ 11M111J i 111 i 11F J1111 i 11MI i 1111111 ■ camera del ministro perchè 10 pagassero, e subito. A sera una luce elettrica avara e capricciosa s'incaricava di rendere cupi, quasi spettrali, l'ampia scalinata e i vasti saloni. Oggi al posto delle biciclette vi sono vetture, spesso di marca straniera o con carrozzerie fuori serie; i nostri diplomatici si distinguono in patria e all'estero per la buona fattura degli abiti, 11 ministro Gaetano Martino interviene con la più rigorosa parità di diritti alle prificipafi riunioni internazionali; la regina di Oran Bretagna va a pranzo dal nostro ambasciatore Manlio Brosio. E come vogliono * tempi, sempre più intimi e assidui sono diventati i legami e i rapporti fra il nostro e gli altri popoli sotto una costellazione di sigle e trattati. Parallelamente a questo mutarsi e accrescersi del panorama della politica estera, molto più estesa è diventata Ut nostra organizzazione sia in Italia che fuori. Anche se il più illustre, palazzo Chigi non è se non uno dei tredici edifici in cui sono disseyninati gli uffici che dipendono dal ministero degli Esteri; se ne trovano a villa Borghese, nei pressi della stazione Termini, ai quartieri Ludovisì, a monte Mario, in località spesso neppure supposte. Occorrono 7 miliardi Sono troppi tredici edifici per uno stesso ministero, e quanti guai ne nascono è facile immaginare sapendo la tradizionale lentezza della nostra burocrazia. Eppure, alla Farnesina, di là dal Tevere, un bianco e immenso edificio da Quindici anni è in piedi, attende solo di essere completato. A vederlo di fuori, si direbbe che basterebbe mettere gli infissi alle finestre e agli usci per renderlo abitabile; ma è solo un'illusione. A conti fatti, occorrono da sei a sette miliardi per terminare le murature, rivestirle d'intonaco, fare i pavimenti e mettere gli infissi, arredarlo ed equipaggiarlo secondo le moderne esigenze. Finora i sci o sette miliardi non sotio stati trovati. La verità è che il dopoguerra, se apparentemente è stato superato dalla nostra diplomazia, ancora pesa sul ministero degli Esteri con rigorose limitazioni finanziarie. Per i suoi servizi normali il ministero potrà spendere quest'anno poco più di 18 miliardi di lire, ossia meno dell'uno per cento della spesa totale dello Stato. Questo comporta molte e spiacevoli conseguenze: striminzite sono le nostre rappresentanze diplomatiche, insufficiente la rete consolare; se il rappresentante di Tito poteva disporre a New I ork di ottantuno milioni di lire l'anno per convincere l'opinione pubblica americana attraverso la stampa che i triestini si sentivano jugoslavi, il nostro rappresentante nella stessa città doveva contare su solo sei milioni per dimostrare il contrario. Se la nostra ANSA riceve una sovvenzione di ISO milioni di lire l'anno, l'analoga agenzia di informazioni francese ha dal suo governo un contributo venti volte maggiore. Inoltre, molte nostre rappresentanze all'estero sono situate in locali di affitto e continuamente minacciate di sfratto dai loro locatori A voler elencare i danni e le miserie imposte alla nostra politica estera dal magro bilancio, non si finirebbe mai. Basterà aggiungere che poche emigrazioni sono così male assistite còme la nostra, nonostante si tratti di un problema vitale per il nostro Paese. Come anche, la rete dei nostri uffici commerciali all'estero è- rimasta la stessa di trentanni fa, in un tempo in cui l'espansione commerciale, ossia la conquista dei mercati stranieri, è forse l'unica via per salvarci prima dalla miseria e subito dopo dal pericolo di dittature. Infine, nel capitolo delle grettezze, metteremo al primo posto quelle che affliggono i capi missione, ambasciatori e ministri; fra l'altro essi devono accollarsi metà delle spese di cancelleria, di illuminazione e di riscaldamento e per intero le spese di pulizia sia della residenza ufficiale che degli uffici. Ne deriva che oggi o i nostri ambasciatori sono ricchi per proprio conto e possono fare buona figura oppure vivono del solo stipendio e allora si fanno il nome di taccagni limitando al minimo indispensabile il numero dei ricevimenti e offrendo pasticcini caserecci e liquori di seconda qualità. Eppure, nonostante le ristrettezze finanziarie, non dovrebbe essere più lontano l'anno in cui il palazzo alla Farnesina raccoglierà gli uffici del ministero degli Esteri ora sparsi in tredici edifìci. E' così largo il palazzo incompiuto che potrà dare asilo anche a diversi enti internazionali assegnati a Roma dalle convenzioni. Se il mi7iistm Martino neppure si sogna dove trovare i sei o sette miliardi necessari a completare il palazzo di là dal Tevere, con molta insistenza vi sta invece pensando l'on. Gronchi. Montecitorio sempre più appare una dimora ristrétta ai deputati, e il presid-ente della Camera ha già pronti i piani per collegarlo con l'attiguo palazzo Chigi. L'unica questione sono quei benedetti miliardi, ma si sa che Gronchi è un uomo tenace, e che la Camera finisce sempre con l'ottenere quel che desidera. Nicola Adelfi

Persone citate: Carlo Sforza, Gaetano Martino, Gronchi, Manlio Brosio, Mussolini, Prunas, Vittorio Emanuele Iii

Luoghi citati: Brindisi, Europa, Italia, Lisbona, Roma