Gramsci e Giolitti

Gramsci e Giolitti Gramsci e Giolitti Fin qui abbiamo visto Antonio s•jGramsci in carcere, occupato isnella elaborazione e illustrazio- tne delle sue dottrine: con L'Or- g'dine nuovo: 1919-1920 (Torino, ^Einaudi, 1954) assistiamo alla sua "azione politica, sul terreno assiemine pratico e ideologico. E' uno I studio assai interessante per va: lutare la mentalità del « capo j della classe operaia » e la sua aderenza a una situazione storica che abbiamo anche noi vissuto, ;.e quindi ci è ben nota; nelle sue premesse, nei suoi sviluppi, e ahimè nelle sue conclusioni. Superfluo insistere sulla serietà del pensiero e la forza polemica : di Gramsci: se paragoniamo que, ste pagine nude e nervose, ap. passionate e raziocinanti, con i ■testi del socialismo romantico di Turati, le arguzie filosofiche di Claudio Treves, i pastoni illeggibili'di Serrati e degli altri suo: rivali di allora, la superiorità di • Gramsci è evidente. Può dispiacere il vocabolario insultante che egli prodiga agli avversari;, però è nelle più pure tradizioni mar- * xiste, e quindi non ce ne stupiremo, anche se esso si applicò a •quell'anima francescana che fu il nostro Umberto Cosmo. La situazione del 1919 che il politico Gramsci doveva affrontare era la seguente. Un paese uscito stremato da una guerra non da tutti voluta, uno Stato parlamentare già in crisi dal 1915 per il modo con cui era I avvenuto l'intervento, e sul quale le necessità belliche avevano innestato frettolose costruzioni burocratiche (che avrebber potuto costituire un embrione di economia socialisticamente controllata), diseguaglianze sociali acuite fra le varie classi secondo ch'esse erano più o meno toccate dalla guerra, fenomeni scandalosi di arricchimento, e .depressione della piccola e inedia borghesia, intrighi vaticani e internazionali in vista di una pace che doveva rivelarsi deludente. All'orizzonte, elemento messianico, i bagliori della rivoluzione russa del 1917, malamente contrastati dai rosei sogni wilsoniani di una Lega delle nazioni vinte e vittoriose. Scendendo ai particolari della realtà italiana, era facile prevedere e comprendere che i profittatori della guerra avrebbero difeso le loro rapine, e rinfocolato il nazionalismo degli ingenui, e degli scontenti; che le classi sacrificate avrebbero voluto il loro posto al sole; che la Chiesa sarebbe corsa ai ripari contro i pericoli di una rivoluzione mediante la creazione del partito più adatto a tutelarne gli interessi; che il personale politico responsabile della non buona condotta della guerra e dell'amministrazione, avrebbe cercato di ritardare e ostacolare la resa dei conti, risuscitando lo schieramento — interventisti contro neutralisti — così fruttuoso nel 1915. Il tutto in un clima di disordine morale, di conflitti sindacali, di violenza, e di illusioni apocalittiche. Antonio Gramsci credette alla agonia del capitalismo, in Italia e in Europa, e si regolò in conseguenza. Il suo campò d'azione era Torino, la città più industrializzata d'Italia. Egli poteva giovarsi della concentrazione di ingenti forze operaie in pochi gruppi industriali, disporre di maestranze che stavano all'avanguardia come preparazione politica e coscienza sindacale. L'ordine nuovo doveva venire — nel suo pensiero — da loro, con l'appoggio dei «contadini poveri », che però risiedevano nel Mezzogiorno. Gramsci quindi cercò il nucleo indispensabile per la conquista del potere da parte della classe operaia, ossia il « Consiglio di fabbrica » : la base non era più il singolo proletario, ma il reparto, la squadra, il militante irreggimentato. Esistevano, è vero, i sindacati veri e propri, ma Gramsci li schifava come' òrgani burocratici di «funzionari*, gente avvezza a trattar con gli industriali con spirito contrattuale e legalitario; i loro quadri avrebbero potuto suscitare le Trade Unions, il Labour party, non le « squadre d'assalto » e i militanti capaci di organizzare lo « Stato operaio », quello cioè in cui la dittatura operaia (o meglio dei politicanti espressi dal suo seno, o che agiscono in suo nome) prevale. Con ciò, Antonio Gramsci si gettava dietro le spalle a cuor leggero mezzo secolo di sindacalismo, al cui attivo c'erano contratti di lavoro, assicurazioni sociali, leggi per la tutela delle donne e dei fanciulli, tutto l'effenivo e considerevole miglioramento delle condizioni dei lavoratori verificatosi durante il decennio giolittiano. Ma questo movimento sindacale non sarebbe sboccato nella rivoluzione, bensì'nel vielfare state labourista, e quindi non interessava Gramsci, che voleva far piazza pulita. E' comprensibile che la rivoluzione russa lo affascinasse; tuttavia egli non avrebbe dovuto dimenticare che l'Italia aveva una struttura sociale ben diversa dalla russa, ed usciva dalla guerra in altre condizioni; Gram- sr sci si lasciava per conseguenza ingannare da superficiali affini tà, da apparenze momentanee, grave errore per un politico. Le sue ire, i suoi furori contro la piccola e media borghesia, stanno a dimostrare che egli sipeva di quale importanza fosse la barriera da superare; però il disprezzo ch'egli mostrava nei suoi riguardi, gli faceva velo nel valutarne le risorse. Così pure, si illudeva di trovare nei quadri operai e di partito, il personale capace di prender in mano la situazione, di gestire industrie, di amministrare un nuovo Stato: l'occupazione delle fabbriche fu una «sconfitta» (e lo riconobbe apertamente), e fra gli stessi fondatori dell'Ottime nuovo, «compagni» come Tasca, scantonavano. Per di più, l'opinione pubblica intelligente, non si sentiva di condividere le responsabilità dei governanti che lasciavano andar allo sbaraglio il paese, e appoggiava jl tentativo di cambiar il personale politico inetto, mediante il ritorno di Giolitti. Immune dalle responsabilità della guerra, e della cattiva pace, Giolitti, nel suo discorso di Dronero, redigeva un severo bilancio dell'operato altrui, si presentava quale possibile erede di un'attività quasi fallimentare. Ebbene, « ribaldo » è l'aggettivo scelto da Gramsci per avversarlo, «ribaldi » qualificava egli tutti coloro (e in specie questo giornale) che 10 sostenevano, con la speranza di disincagliare la nave dello Stato dalle secche dove l'avevano condotta Salandra, Sonnino e soci. Quasi metà del volume L'Ordine nuovo comprende sfoghi e improperi, false attestazioni, iniqui paralleli (fra Cavour e Giolitti) che attestano come Gramsci avesse perduto le staffe, conducesse una campagna senza esclusione di colpi. II riordinamento statale e sociale che 11 ritorno al potere di Giolitti portava inevitabilmente con sè; il crollo della espansione europea dei sovieti determinato dagli avvenimenti tedeschi >e ungheresi, producevano in Gramsci apocalittici furori. Anziché prender atto che la classe operaia italiana non era preparata agl'immensi compiti ch'egli sognava di affidarle; che l'Europa ricacciava il bolscevismo entro le sue frontiere; che la borghesia giolittiana appariva disposta a insediare al governo un socialismo ragionevole, consolidando così le sue benemerenze del passato decennio, Gramsci indulgeva al PP.I. senz'accorgersi ch'esso nascondeva, sotto aspetti demagogici, degli interessi naturalmente conservatori; tempestava contro la socialdemocrazia, vituperava il liberalismo. La sua intransigenza può sembrare oggi una bella manifestazione di sincerità ideologica; non era certo allora una attestazione di saggezza politica. L'Ordine nuovo documenta la. passionalità - di Gramsci, la sua scarsa conoscenza delle forze in contrasto, e della psicologia tradizionale italiana. E' logico che un capopopolo sia un illuminato, un veggente, è raro che il visionario concreti il suo sogno. Quando ciò accade, debbono esistere circostanze eccezionali: i generali di Cronnvell, lo sfacelo di una società. Ora, la società italiana aveva nel 1919 (comeailIIIIIlllllllllllIlllllllllllIKIIIMIIllllIlllllllllM nel 1945) un corpo statale a brandelli, e molte malattie palesi e segrete, però conservava una forza istintiva, animale, di ricupero, che una volta falliti socialisti, clericali, e liberali, si esplicò grossolanamente, rozzamente, col fascismo, e impedì comunque la dittatura di una classe non ancora in grado di assumere il potere. Gramsci non aveva meditato che la Rivoluzione francese fu possibile perchè la borghesia era preparata per i nuovi compiti, anzi già aveva occupato parecchi posti di comando AeNancien regime. E che nella Russia zarista, la classe media era un elemento trascurabile, il che dava via libera all'avventura bolscevica. La quale per parecchi decenni fu sempre lì per naufragare, e la History of the bokhevik revolution di E. H. Carr, composta da uno studioso autorevole e non sospetto, sta a dimostrarcelo. Ho voluto di proposito risparmiare citazioni sgradevoli, collezioni d'ingiurie sanguinose, attacchi asprissimi a personalità ancora viventi. Quando per Giolitti si usa l'epiteto « grandissimo ribaldo» (pag. 280), tutto è detto. Qualcuno si chiederà perchè i curatori delle opere di Gramsci abbiano voluto .risuscitare L'Ordine nuovo, che rivela la sconfitta della sua politica, i lati meno apprezzabili del suo temperamento, in una parola il suo fanatismo. Non è cosa che ci riguardi: noi siamo lieti che i testi tornino in luce, e che ciascuno possa leggere, giudicare, valutare una visione settaria del 1919-1920 che ebbe per frutto amaro il fascismo. Arrigo Cajumi ■iiiiiiiiiiiitiiiitiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii

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